Bisogna superare le totalità, le salvezze, i fini-della-storia e le verità-ultime, tutti gli «incantesimi» così come tutte le «soluzioni finali». Bisogna imparare che questi incantesimi sono dietro di noi, perché non sono più nostri, non incantano più nulla. Bisogna anche pensare che nel cuore di ogni affermazione dei mondi antichi ci fu sempre anche, in ultima istanza, un sapere del nulla. Sempre, in qualche modo, e in ogni aspetto del reale, un sapere di non-sapere o un sapere del nulla era intimamente presente nelle credenze, e forse come loro ultima e sovrana verità. Il nichilismo non ha solo spopolato il cielo e desertificato la terra: ha anche esposto questa verità più antica di sé. L’ha messa a nudo. Per il presente del nostro tempo, e per il suo avvenire prossimo, bisogna stare in questa nudità. Non bisogna rivestirla: bisogna guardarla, come ogni nudità, con il pudore che esige ciò che non si lascia afferrare.
Questo pensiero è difficile. È «terribile» nella misura in cui non colma il baratro né l’angoscia del nulla. Non si confonde con un carpe diem. Non affronta neppure il niente con aria di sfida o di arroganza, né col piacere amaro di votarsi al peggio. Pensa un sapere che, in conclusione, sa di non essere altro che non-sapere. Ma, giungendo in questo modo fino alla propria estremità di pensiero e sperimentando la difficoltà del suo gesto, sa anche che tocca la verità. L’affermazione di questa verità si sottrae non appena la si tocca, e in questo è vera.
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