Il nostro è un mondo in cui regna la parola; parola, che sottomette il desiderio di ciascuno alla legge del desiderio dell’Altro. È dunque nella misura in cui l’intenzione o la domanda, che attraversando la catena significante, può farsi valere presso l’oggetto materno. In questa misura, il bambino, che ha costituito la madre come soggetto sul fondamento della prima simbolizzazione, si trova interamente sottomesso a ciò che possiamo chiamare, ma solo per anticipazione, la legge. La legge della madre è, beninteso, il fatto che la madre è un essere parlante, e questo basta al legittimare il fatto che io dica la legge della madre. Nondimeno questa legge è, se così posso dire, una legge incontrollata, che sta interamente nel soggetto da cui proviene, vale a dire nel buono o nel cattivo volere della madre, la buona o la cattiva madre. Il bambino perciò, si abbozza come assoggetto, perché si sperimenta sentendosi innanzitutto, come profondamente assoggettato al capriccio di ciò da cui dipende, anche se questo è un capriccio articolato. A questo punto è essenziale che la madre lasci subentrare il padre come mediatore di ciò che è al di là della sua propria legge e del suo capriccio, vale a dire, puramente e semplicemente, della legge come tale. Ed è in quanto tale che è accettato o non è accettato dal bambino, come colui che privi o non privi la madre, dell’oggetto del suo desiderio.
Quando regna la parola
Crediti
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