L’azione di critica irrispettosa, alla quale è sottoposto lo Stato, si esercita ugualmente contro tutte le istituzioni sociali. Il popolo non crede, proprio non crede più in nessun modo, all’origine pura della proprietà privata, prodotta, dicevano gli economisti (ora non osano più ripeterlo) dal solo lavoro personale dei proprietari; sa bene che il lavoro individuale non ha mai creato milioni sopra milioni, e che gli arricchimenti mostruosi dei nostri giorni sono tutti una conseguenza del falso assetto sociale, che dà ad un solo il diritto di appropriarsi il prodotto del lavoro di mille altre persone. Questo popolo rispetterà il pane che il lavoratore faticosamente s’è guadagnato, la capanna che s’è costruita con le proprie mani, il giardino che coltiva, ma perderà certamente ogni rispetto per le mille proprietà fittizie rappresentate dalle carte d’ogni specie depositate nelle banche.
Giorno verrà, io non ne dubito, che egli riprenderà tranquillamente possesso di tutti i prodotti del comune lavoro, miniere e poderi, officine e castelli, ferrovie, navigli e mercanzie.
Quando la moltitudine, questa moltitudine «vile» di una vigliaccheria che è la conseguenza fatale della ignoranza, avrà cessato di meritare l’aggettivo con cui la si insulta, e si sarà convinta che l’accaparramento di tanti averi immensi riposa unicamente sur una finzione chirografica sulla fede di innumerevoli e inutili carte bleu, lo stato sociale sarà minacciato molto seriamente!
In presenza della profonda evoluzione, irresistibile, che si determina in ciascun cervello d’uomo, come sciocche e senza senso comune sembrano le grida ostili da forsennati che si lanciano contro i novatori! Che importano le parole turpi rovesciate loro addosso da una stampa obbligata a compensare con tanta prosa sussidi inconfessabili, che importano anche gli insulti proferiti in buona fede contro noi da quei devoti «santi ma semplici» che portavano legna da ardere sul rogo di Giovanni Huss?
Il movimento che ci trascina non è determinato da semplici energumeni e da poveri sognatori, ma da tutta la società intera. Esso è divenuto necessario alla evoluzione del pensiero, ormai fatale, ineluttabile, come la rotazione della terra e degli astri.
Tuttavia un dubbio potrebbe sorgere, se cioè l’anarchia può mai esser altro che un ideale, un esercizio intellettuale, o un elemento di dialettica; se può avere una realizzazione concreta; se è possibile un organismo spontaneo in cui le forze libere dei compagni che lavorano in comune possano svilupparsi senza un padrone che loro comandi.
Questo dubbio può essere facilmente dissipato. Organismi libertari sono esistiti in tutti i tempi; e se ne formano incessantemente di nuovi, ogni anno più numerosi, secondo il progresso delle iniziative individuali.
Potrei, fra l’altro, citare alcune popolazioni, dette selvagge, le quali anche ai giorni nostri vivono in una perfetta armonia sociale senza bisogno di capi, di leggi, di barriere e di polizia. Ma non insisto su questi esempi, che pure hanno la loro importanza, poiché temo che mi si obbietti la poca complessività di quelle società primitive, in paragone al nostro mondo moderno, organismo immenso in cui si intersecano altri innumerevoli organismi con una complicazione infinita.
Lasciamo dunque da parte queste tribù primitive per occuparci soltanto delle nazioni già formate, aventi tutto un sistema di organizzazione politica e sociale.
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