Alla fine, i mercanti si rifugiarono nel quartiere delle cucine, e discussero sul modo migliore di arrivare alla caverna degli zaffiri. Erano di continuo disturbati dal va e vieni dei portatori d’acqua e un cane coperto di rogna venne a lambire i monconi blu delle dita mutilate del mercante italiano. Finalmente videro emergere dalla sala della cantina una giovane schiava che portava ghiaccio tritato in una ciotola di vetro opaco. Costei posò la ciotola a caso, su una colonna d’aria, per aver modo di alzare le mani in segno di saluto all’altezza della fronte che recava tatuata la stella dei Magi. I capelli neroblu le spiovevano dalle tempie sulle spalle; gli occhi chiari guardavano il mondo attraverso due lacrime, e la bocca non era che una lividura blu. La veste di tela color lavanda che indossava, sbiadita da troppo frequenti bucati, era tutta lacera alle ginocchia, perché la schiava aveva l’abitudine di prosternarsi senza posa in preghiera. Siccome era sordomuta, poco importava che non comprendesse la lingua dei mercanti. Scosse gravemente il capo quando a gesti le mostrarono volta a volta il colore dei suoi occhi in uno specchio e la traccia dei suoi passi sulla polvere del corridoio. Il mercante greco le propose i suoi talismani: lei li rifiutò come una donna felice, ma con il sorriso di una donna disperata; il mercante olandese le porse un sacchetto pieno di gioie, ma lei fece una riverenza allargando ambo le mani sulla veste tutta buchi, e i mercanti non compresero se si riteneva troppo povera o troppo ricca per quegli splendori.
La schiava alzò la nottola di una porta mediante un filo d’erba, e i mercanti si ritrovarono in un cortile rotondo come l’interno di un secchio, riempito fino all’orlo dalla fredda luce mattutina. La giovane donna si avvalse del mignolo per aprire una seconda porta che dava sulla piana e, uno dopo l’altro, i mercanti si addentrarono nel cuore dell’isola lungo una strada bordata da una sequela di ciuffi di aloe. Le loro ombre si aggrappavano ai calcagni, piccole e nere come vipere. Solo la giovane schiava ne era completamente priva, cosa che li indusse a credere che era forse un fantasma.
Le colline, azzurre in lontanza, avvicinandosi divenivano nere, brune e grigie, ma il mercante della Turenna non si perdeva di coraggio e intonava, per confortarsi, arie del suo paese. Il mercante castigliano fu punto due volte da uno scorpione. La gambe gli si gonfiarono fino alle ginocchia e assunsero il colore delle melanzane mature, senza che egli provasse dolore alcuno, e anzi camminava con passo più deciso e più solenne degli altri, quando si sentisse sorretto da due spessi pilastri di basalto blu. Il mercante irlandese piangeva perché gocce di sangue pallido stillavano ai talloni della giovane donna che marciava piè nudi su cocci di porcellana e vetro.
Dovettero strisciare sulle ginocchia per entrare nella caverna che spalancava sul mondo solo un’imboccatura stretta e frastagliata. Ma la gola profonda era più spaziosa di quanto non si sarebbe creduto, e quando i loro occhi ebbero fatto amicizia con le tenebre, scoprirono frammenti di cielo tra le fessure della roccia. Un lago purissimo occupava il centro del sotterraneo, e quando il mercante italiano vi gettò una moneta per saggiarne la profondità, non la si udì cadere, ma bolle si formarono alla superficie, quasi che una sirena improvvisamente ridesta avesse espirato tutta l’aria che le riempiva gli azzurri polmoni.
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