Churchill, dopo un’iniziale sbandata per Mussolini (da lui ammirato anche per aver saputo tenere a bada il bolscevismo), disprezza gli italiani, li considera opportunisti e inaffidabili. L’autrice inglese Caroline Moorehead nel suo La casa in montagna. Storia di quattro partigiane scrive: «Churchill non nutriva grande considerazione neanche per i capi dei movimenti liberali che stavano facendo ritorno dopo anni di esilio, da lui liquidati come storpi politici, e metteva in guardia contro qualunque accordo avesse costretto i britannici a reggere sulle proprie spalle chi invece avrebbe dovuto reggersi da solo: gli italiani avrebbero dovuto lavorare sodo prima di poter sedere al banco delle nazioni con potere decisionale. Quello che i britannici volevano davvero era il controllo indiscusso del Mediterraneo e, alla fine, un trattato che privasse l’Italia delle sue colonie. A questo proposito venne anche coniato un acronimo: KID, ossia Keep the Italians Down (teniamo a bada gli italiani)».
Ricorda il disprezzo di Churchill verso gli italiani anche lo storico inglese Paul Ginsborg, autore della Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi: «Churchill dava poca importanza all’antifascismo italiano. Di Croce aveva detto che era un professore nano e nel febbraio 1944 fece un discorso famoso e offensivo, schierandosi a favore della monarchia e contro il CLN». Diverso è l’atteggiamento degli alleati americani, che, al contrario, tengono in una certa considerazione il CLN e sono meno prevenuti e preoccupati degli inglesi rispetto alla rapida crescita dei comunisti italiani. Ancora Ginsborg: «In questo momento la differenza tra i due alleati può forse venire espressa confrontando i differenti slogan politici da essi coniati per l’Italia. Gli inglesi proclamavano la loro intenzione di prevenire epidemie e disordini, gli americani di creare stabilità e prosperità. Non vi è dubbio su chi fosse più lungimirante».
I rapporti sono complicati, dunque.
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