L'ascesa delle Superpotenze continentali secondo SpykmanEmerge dalla «profezia» di Spykman sull’ascesa delle Superpotenze continentali una delle ragioni del fascino della Geopolitica della prima metà del Novecento. Nello stesso momento in cui sollecitava le Relazioni Internazionali a soffermarsi sugli elementi della vita internazionale meno permeabili al mutamento – appunto i fattori geografici come la topografia, il clima, la distribuzione dei continenti e degli oceani – essa sgorgava da una nitida percezione delle formidabili trasformazioni in corso nel sistema internazionale, e anzi del carattere drammaticamente inedito della politica internazionale del Ventesimo secolo.
Significativamente, la celebre conferenza di Mackinder del 1904, The Geographical Pivot of History, vero e proprio atto di fondazione della Geopolitica inglese – nel cui solco si è collocata la prestazione teorica dello Spykman geopolitico – è innanzitutto una rassegna delle ragioni di discontinuità della politica internazionale all’alba del Novecento. Per la prima volta, annotava Mackinder, il mondo era interamente esplorato, conosciuto, «mappato» e afferrato nella sua unità e coerenza interna, a chiudere l’epoca «colombiana» delle esplorazioni e delle scoperte geografiche H.J. Mackinder, The Geographical Pivot of History, in «The Geographical Journal», 23 (1094), n. 4, pp. 421-444.. Per la prima volta il mondo intero era un luogo «saturo», chiuso, ovvero privo di una frontiera aperta o di uno spazio «vuoto» (nel senso di agevolmente appropriabile e disponibile) in cui fosse possibile riversare la sovrabbondanza di energie, «appetiti» e ambizioni dei principali attori e potenze dell’arena internazionale. Proprio a causa di questa chiusura e «saturazione» esso diventava, ormai privo di valvole di sfogo, un luogo estremamente pericoloso, il teatro di urti e contraccolpi che avrebbero finito per travolgere gli attori meno solidi e potenti: «C’è una grande differenza di effetti – è l’efficace analogia alla quale ricorre Mackinder – tra la caduta di una granata in un terrapieno e la sua caduta in uno spazio chiuso e nelle strutture rigide di un grande edificio o di una nave», per cui nel nuovo sistema globale chiuso e interconnesso «ogni esplosione di forze sociali, invece di essere dissipata in un cerchio circostante di spazi ignoti e caos barbarico, rimbalzerà improvvisamente dalle periferie del mondo, e gli elementi più deboli nell’organismo politico ed economico saranno di conseguenza frantumati» Ivi, p. 422.. Per la prima volta il mondo intero era insomma legato in una capillare interdipendenza dell’insicurezza e dell’instabilità, in cui fatti e fenomeni apparentemente locali avrebbero generato conseguenze di grande momento al livello globale.
Ancora, per la prima volta, complice la tecnologia (sottospecie della ferrovia transiberiana), diventava possibile unificare sotto il controllo di un unico e moderno potere statuale (e non sotto l’effimero potere imperiale delle popolazioni nomadi che vi avevano scorrazzato fin dalla notte dei tempi) il cuore continentale (heartland) di Eurasia – smisurato continente da concepire a sua volta come un unico scacchiere geopolitico di cui l’Europa era una semplice appendice peninsulare Ivi, p. 431.. Per la prima volta, sfruttando le immense risorse naturali nonché la posizione centrale dell’heartland medesimo (e il vantaggio delle linee interne di comunicazione), la potenza lì insediata avrebbe potuto irradiare la propria influenza politica verso la «mezzaluna» delle regioni costiere (inner or marginal crescent) che si allunga dall’Europa occidentale fino all’Asia orientale, e chiudere infine l’intera Eurasia dentro un unico perimetro egemonico. Ma allora per la prima volta era plausibile lo scenario della formazione di un impero mondiale.


Crediti
 Corrado Stefanachi
 Nicholas John Spykman e la nascita del realismo politico americano
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