Il distacco delle élite dalla società ha generato una sfiducia nelle istituzioni che, come Christopher Lasch evidenzia con chiarezza, non è solo un sintomo di malcontento, ma una ferita profonda nel corpo della democrazia. Le istituzioni – governo, scuola, giustizia, media – un tempo percepite come pilastri di un ordine condiviso, oggi appaiono ai più come strumenti al servizio di una minoranza privilegiata, lontana dai bisogni e dalle voci della gente comune. Questa erosione della fiducia non nasce dal nulla: è il frutto di un tradimento, di una promessa non mantenuta, che Lasch legge come il segno di una crisi più ampia, sociale e spirituale.
Storicamente, le istituzioni hanno sempre avuto un ruolo ambivalente: garanti di stabilità, ma anche di disuguaglianze. Tuttavia, fino a un certo punto, mantenevano un patto implicito con i cittadini: protezione e rappresentanza in cambio di lealtà. La modernità avanzata ha spezzato questo equilibrio. Le élite, ritirandosi nei loro mondi esclusivi, hanno trasformato le istituzioni in macchine autoreferenziali, più attente a perpetuare il loro potere che a rispondere alle esigenze collettive. La globalizzazione ha peggiorato le cose: decisioni cruciali vengono prese in sedi lontane, da tecnocrati non eletti, mentre i parlamenti nazionali si riducono a teatri di facciata. Lasch vede qui un passaggio epocale: le istituzioni non sono più nostre, ma loro.
Psicologicamente, questa sfiducia si traduce in un misto di rabbia e apatia. La gente si sente tradita, esclusa da un sistema che dovrebbe appartenerle. È una dinamica che richiama il concetto di alienazione: non solo dal lavoro, ma dalla polis stessa. Quando le istituzioni smettono di riflettere i valori e le esperienze di chi le sostiene, diventano estranee, ostili. Lasch suggerisce che questa frattura abbia un costo emotivo: la perdita di fiducia genera cinismo, un ritiro dalla vita pubblica che lascia spazio a manipolazioni e derive autoritarie. L’individuo, abbandonato, oscilla tra il risentimento e la rassegnazione, incapace di credere in un cambiamento.
Filosoficamente, la sfiducia nelle istituzioni pone una questione radicale: può una società reggersi senza un minimo di fede comune? Lasch si avvicina a Rousseau: il contratto sociale richiede un senso di reciprocità, una legittimità percepita. Quando questa svanisce, ciò che resta è un guscio vuoto, un potere che si regge sulla forza o sull’inerzia. Le élite, con il loro disprezzo per le masse e la loro fede nel progresso astratto, hanno minato questa legittimità. Promuovono un’ideologia che celebra l’efficienza e l’innovazione, ma ignora il bisogno umano di appartenenza e riconoscimento. Il risultato è un divorzio tra chi comanda e chi subisce, un vuoto che nessuna retorica può colmare.
Le élite, in questo scenario, sono sia causa che beneficiarie della sfiducia. Vivendo in una realtà separata, non sentono il peso del disincanto: le istituzioni funzionano per loro, garantendo privilegi e sicurezza. Ma per chi sta fuori, il quadro è diverso. La scuola forma i figli delle élite, non i lavoratori; la giustizia protegge i potenti, non i deboli; i media raccontano il mondo dal loro punto di vista. Lasch denuncia questa ipocrisia: la sfiducia non è un capriccio populista, ma una reazione logica a un sistema truccato. Le élite, però, la liquidano come ignoranza, rafforzando il loro isolamento.
Culturalmente, la sfiducia si riflette in un rifiuto delle narrazioni ufficiali. Le promesse di benessere universale suonano false; le elezioni sembrano spettacoli senza sostanza. Lasch ci spinge a vedere il pericolo: una società che non crede più nelle sue istituzioni è vulnerabile, pronta a cedere a demagoghi o a sprofondare nell’indifferenza. Non basta riformare: serve ricostruire un legame, un senso di appartenenza che le élite hanno spezzato. Senza questo, la democrazia diventa un’illusione, un gioco di specchi dove la fiducia è solo un ricordo. La sfida, per Lasch, è ritrovare un terreno comune, prima che il vuoto divori tutto.
*La ribellione delle élite. Il tradimento della democrazia* di Christopher Lasch è un'analisi critica della società contemporanea, dove l'autore argomenta che le élite, anziché essere un modello per la società, si sono allontanate dai valori democratici, creando una frattura con il resto della popolazione.
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Questo testo critica il sistema economico moderno che favorisce le élite, trascurando i bisogni collettivi. Galbraith esplora come le istituzioni perdano credibilità quando servono solo i privilegiati, un tema che si intreccia con la denuncia di Lasch sul tradimento democratico e sull’erosione della fiducia popolare.
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Un classico che analizza il patto sociale e il ruolo delle istituzioni nel garantire ordine. Hobbes offre una lente per capire la crisi di legittimità descritta da Lasch: senza fiducia, il contratto si spezza, lasciando spazio al caos o al dominio autoritario, un rischio della modernità.
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