La violenza dei giorni del colpo di stato, la brutalità della repressione, l’avevano solo sfiorata. Anche quando ne parlava a anni di distanza; anche quando raccontava episodi sinistri o atroci le brillavano gli occhi, e diceva, sai, è strano, ma di quel periodo ho anche ricordi bellissimi. Aveva avuto fortuna. Nessun militare aveva sfondato la porta di casa sua o portato via membri della sua famiglia, non aveva visto cadaveri: il primo sarebbe stato quello di una ragazza, lanciato di notte dai militari dentro al recinto dell’ambasciata. Ma questo è successo quando Iris era già al sicuro, e anche mettersi al sicuro era stata un’avventura a lieto fine. Avevano preso un taxi, di notte, lei e una sua amica; l’amica era terrorizzata, lei no; erano scese a un paio di isolati di distanza; arrivate di corsa sul posto senza che nessuno le fermasse, Iris si era appoggiata con la schiena al muro dell’ambasciata, poco più di due metri, e aveva unito le mani facendo scaletta; l’amica aveva preso lo slancio arrivando in cima, e con una gamba di là e una di qua l’aveva aiutata a tirarsi su. Dall’altra parte avevano rischiato di atterrare addosso a uno con un braccio al collo, seduto per terra proprio sotto il muro, a fumare; le aveva perdonate con un sorriso e si era raccomandato di far piano: all’interno dormivano.
Sarà stata giovanile incoscienza, sarà stato per la tendenza delle persone per bene a negare il male se proprio non ci vanno a sbattere contro, ma Iris non ricorda di aver avuto paura in quei giorni.
Nell’ambasciata c’era di tutto: dirigenti socialisti e comunisti di mezz’età insieme a ragazzi finiti nei guai per aver scritto uno slogan su un muro; adolescenti soli e famiglie con bambini; i severi militanti di partito e i cosiddetti cani sciolti, che non facevano parte di nessuna organizzazione e le criticavano tutte. Qualcuno di loro era stato arrestato, qualcuno torturato. Tutti ce l’avevano fatta per un pelo, nessuno sapeva come sarebbe andata a finire; ma c’era anche allegria: si respirava, dice Iris, non tanto la sconfitta (a quella ci avrebbero pensato dopo), ma il profumo della vita che, a dispetto di tutto, va avanti. Ecco che non c’erano più lezioni, serate noiose in famiglia, zie beghine che cautamente indagavano sulla sua vita sentimentale. Quasi tutti nell’ambasciata erano simpatici; tutti erano preoccupati, molto; e alcuni, i cosiddetti contagiosi, trasmettevano agli altri la loro agitazione; ma bastava spostarsi di venti metri per trovare un gruppetto dove si cantava una canzone o si discuteva di letteratura. In quei giorni Iris ha perso la verginità: probabilmente in simultanea e, dice, praticamente a contatto di gomito con un paio di altre ragazze. Si dormiva per terra, su materassi forniti dalla croce rossa, in tanti in ogni stanza. Il personale dell’ambasciata aveva cercato di mettere un po’ d’ordine, per esempio destinando a ragazzi e ragazze due piani diversi della palazzina, con in mezzo, a separarli, le famiglie. L’unica conseguenza era stata, ogni notte, un intenso traffico sulle scale. Ovviamente, arrivati a destinazione, di intimità neanche a parlarne; ma, dice Iris, a quell’età ci si adatta a cose ben peggiori.
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