A Fabrizio, mi legava un sincero rapporto di amicizia, nato alla fine degli anni ’60. Quando sono tornato da un viaggio-studio in Inghilterra, mi ha chiamato, perché doveva organizzare questo primo concerto a Viareggio. Ricordo che mi disse: «Sarai sempre con me, vero?».
In realtà, entrambi pensavamo che sarebbe stato il primo e l’ultimo, e invece, è iniziata questa bella avventura.
Ci conoscevamo già da prima del 1975, quando iniziai a lavorare con lui. Era più grande di me di dieci anni. Un mio cugino era il sassofonista del suo primo gruppo. Era un rapporto di famiglia, oltre che di amicizia.
Ho iniziato con le luci. Non ero ancora il regista. Io, più che altro, ero un amico che seguiva Fabrizio.
Mi ricordo che, di notte, seguiva con me le prove delle luci e della scenografia. Tutte le idee e le cose che facevamo, le sceglievamo insieme. Quando si è abituato alla macchina teatrale, era diventato curioso. Era entrato nel meccanismo.
Prima di salire sul palco, per trovare la concentrazione, spesso giocava a carte con gli altri della band. Era sempre agitato e mi chiedeva continuamente: «A che ora, si inizia?».
Sul palco, era puntuale. Per lui, era una forma di rispetto, quasi ossessiva, verso il suo pubblico. Se, sul manifesto, c’era scritto che il concerto iniziava alle nove, lui non sentiva ragioni e, alle nove in punto, cominciava a suonare.
C’era un’attenzione particolare ai suoi concerti, che non ho mai visto con nessun artista. Tre ore di silenzio. Tutti erano attenti a farsi coinvolgere dalla sua figura, quando appariva in controluce sul palco. Vedevi una specie di capo indiano e capivi che era lui.
Non era facile, per uno come lui, farlo alzare dalla sedia e cantare seduto a terra. Poi, ritornava nel suo ufficio. Aveva tutto a portata di mano, la sedia, il portacenere, il leggio. In questa sua dimensione, si sentiva protetto.
Aveva sempre il terrore di salire sul palco per la sua timidezza, perché non voleva deludere il suo pubblico.
Ci sono voluti tanti escamotage, per convincerlo, ma, una volta, che era lì, doveva rimanere. Era molto affascinato dal palco, dai ringraziamenti, dagli inchini a fine concerto e della struttura teatrale, perché, in fondo, Fabrizio era diventato un uomo di teatro.
Quando, nel tour, Le Nuvole, doveva esibirsi con il brano Ottocento, travestito con il frac, mi rimproverava, prima di salire sul palco, per averlo ridotto come un pagliaccio. Lo potevi vestire da balena e lui accettava. Era molto autoironico, oltre che carismatico.
Negli ultimi anni, ha smesso di fumare sul palco dei teatri in cui si esibiva, per rispetto del pubblico. Nell’intervallo, era capace di fumare dieci sigarette.
De André sapeva lavorare in gruppo. Chiedeva consigli. Era molto aperto. Un vero professionista.
Una volta, mi ricordo che, in una pausa di una tournée de Le Nuvole, ci sfidammo a pugilato nella palestra di uno stadio. Mi disse: «ti faccio nero» e, mentre gli stavo sistemando i guantoni, lui cominciava a darmi qualche cazzotto. C’è una foto in cui è soddisfatto. In un’altra, invece, appare suonato, perché anch’io gliene avevo date.
Tanti sono i ricordi che mi legano a Fabrizio, come quando, una volta, era sul timone di una barca davanti a Napoli. Alla guida, era molto preoccupante. Beccò un cinghiale in Sardegna, con la campagnola.
Sono stato privilegiato ad essere suo amico. Certo, ci sono anche stati dei momenti di scontri che, poi, si risolvevano nel giro di poco. Con lui, per fortuna, si faceva subito pace.
Il momento più brutto è stato la notte della sua scomparsa. Non mi resi subito conto di quello che era accaduto. Organizzare il suo funerale, per me, fu come organizzare un concerto. La botta arrivò all’improvviso, qualche giorno dopo. E fu tremenda.
De André. La storia di un cantautore di Cesare Gatti
Questo libro racconta la vita e la carriera di Fabrizio De André, ricostruendo la sua biografia attraverso testimonianze, documenti e aneddoti. Gatti analizza le sue canzoni, il suo stile, le sue influenze e il suo rapporto con il pubblico. Il libro offre una visione completa e approfondita della figura di De André, artista e uomo.
Fabrizio De André. La biografia di Paolo Villaggio
Paolo Villaggio, amico e stimatore di De André, offre un ritratto intimo e personale del cantautore genovese. Il libro non si limita a ripercorrere la sua carriera, ma approfondisce la sua personalità, la sua sensibilità e i suoi valori. Villaggio racconta aneddoti inediti e riflessioni sulla sua amicizia con De André, offrendo una prospettiva unica e privilegiata.
Fabrizio De André. Il racconto di una vita di Roberto De André
Roberto De André, figlio di Fabrizio, racconta la vita del padre attraverso ricordi personali e testimonianze familiari. Il libro offre un ritratto intimo e familiare, rivelando aspetti inediti della sua personalità e del suo percorso artistico. Si tratta di un racconto commovente e autentico, che restituisce l’immagine di un uomo complesso e affascinante.
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