Il significato delle parole e delle azioniAmore, lo chiamava. Ma era da un pezzo che avevo fatto l’abitudine alle parole. Sapevo benissimo che quella parola era come tutte le altre: semplicemente una forma per riempire un vuoto; che quando fosse venuto il momento, non ci sarebbe stato bisogno di una parola, per quello, più che per l’orgoglio o per la paura.
…pensavo a come le parole volano dritte in una linea sottile, rapide e innocue, mentre le azioni strisciano terribili sulla terra, ci si attaccano, tanto che dopo un po’ le due linee si sono troppo allontanate l’una dall’altra perché la stessa persona possa tenere i piedi su entrambe; e pensavo che peccato e amore e paura erano solo dei suoni che quelli che non hanno mai peccato né amato né temuto usano al posto di quello che non hanno mai avuto e non potranno mai avere, a meno che non dimentichino le parole.
Come le nostre vite si perdono nel vuoto e nel silenzio! Gesti stanchi che si ripetono stancamente echi di vecchie costrizioni che braccia senza mani ricavano da strumenti senza corde: al tramonto cadiamo in atteggiamenti furiosi, gesti morti di bambole.
Certe volte non sono tanto sicuro di chi ha il diritto di dire quando uno è pazzo e quando no. Certe volte penso che nessuno di noi è del tutto pazzo e nessuno è del tutto normale finché il resto della gente lo convince ad andare in un senso o nell’altro. È come se non fosse tanto quello che uno fa, ma com’è che lo guarda la maggioranza di noi quando lo fa. No, non sono poi così tanto sicuro che uno abbia il diritto di dire che cos’è pazzo o che cosa non lo è. È come se dentro a ognuno ci fosse qualcuno che è al di là dell’esser normale o dell’esser pazzo, e le cose normali e le cose pazze che fa le guarda con lo stesso orrore e lo stesso stupore.
Mi ricordo quando ero giovane credevo che la morte fosse un fenomeno del corpo; ora so che è soltanto una funzione della mente – della mente, dico, di chi subisce il lutto. I nichilisti dicono che è la ?ne; i fondamentalisti, il principio; mentre in realtà non è altro che un affittuario o una famiglia che se ne va da un appartamento o da una città.
In una stanza sconosciuta ti devi svuotare per il sonno. E prima che tu sia svuotato per il sonno, che cosa sei. E quando sei svuotato per il sonno, non sei. E quando sei riempito di sonno, non sei mai stato. Io non so che cosa sono. Io non so se sono o no. Jewel sa che è, perché non sa di non sapere se è o no. Lui non può svuotarsi per il sonno perché non è quello che è e quello che non è. Al di là del muro senza lampada sento la pioggia formare il carro che è nostro, il carico che non è più di quelli che l’hanno abbattuto e segato né ancora di quelli che l’hanno comprato e che non è neanche nostro, anche se è là sul nostro carro, dato che soltanto la pioggia e il vento lo formano soltanto per Jewel e me, che non siamo addormentati. E dato che il sonno è non-è e la pioggia e il vento sono erano, non è. Eppure il carrò è. perché quando il carrò sarà era, Addie Brunden non sarà. E Jewel è, così Addie Brunden deve essere. E allora io devo essere, se no non potrei svuotarmi per il sonno in una stanza sconosciuta. E allora se ancora non sono svuotato, io sono è.
Quante volte sono rimasto disteso, con la pioggia sopra un tetto sconosciuto, a pensare a casa.

Crediti
 William Faulkner
 Mentre morivo
  A cura di Mario Materassi
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