Questa volta spinsero i Neanderthal e tutte le altre specie di umani, non soltanto fuori del Medio Oriente, ma dalla faccia della terra. Nel giro di un periodo notevolmente breve, i Sapiens raggiunsero l’Europa e l’Asia Orientale. Circa quarantacinquemila anni fa, riuscirono ad attraversare l’oceano e approdarono in Australia – un continente fino a quel momento non abitato dagli umani. Il periodo che va da settantamila fino a circa trentamila anni fa assistette all’invenzione delle imbarcazioni, delle lampade a olio, degli archi e delle frecce e degli aghi (essenziali per cucire gli indumenti che riparavano dal freddo). I primi oggetti che possono sicuramente essere chiamati oggetti d’arte e di gioielleria risalgono a quest’epoca, così come la prima incontrovertibile testimonianza che esistevano la religione, il commercio e la stratificazione sociale.
Numerosi ricercatori ritengono che tali realizzazioni senza precedenti siano state il prodotto di una rivoluzione avvenuta nelle capacità cognitive dei Sapiens. Secondo loro, il popolo che portò all’estinzione i Neanderthal si insediò in Australia, e chi scolpì l’uomoleone di Stadel era intelligente, creativo e sensibile al pari di noi. Se noi potessimo incontrare gli artisti della grotta di Stadel, potremmo imparare il loro linguaggio e loro il nostro. Riusciremmo a spiegare loro tutto quello che sappiamo – dalle avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie ai paradossi della fisica quantistica – ed essi potrebbero insegnarci come il loro popolo concepisce il mondo.
La comparsa di nuovi modi di pensare e di comunicare, nel periodo che va da settantamila a trentamila anni fa, costituisce in effetti la Rivoluzione cognitiva.
Cosa fu a determinarla? Non lo sappiamo con precisione. La teoria più diffusa sostiene che accidentali mutazioni genetiche modificarono le circonvoluzioni del cervello dei Sapiens, consentendogli di pensare in forme che prima non c’erano, e di comunicare usando nuovi tipi di linguaggio. Potremmo chiamare tale processo una mutazione dell’Albero della Conoscenza. Come mai questo accadde nel DNA dei Sapiens e non in quello dei Neanderthal? Per quanto possiamo dire, fu una questione di puro caso.
Importante, però, è capire, più ancora delle cause, le conseguenze di tale mutazione dell’Albero della Conoscenza. Cosa avvenne di talmente speciale nel linguaggio di noi Sapiens da metterci in condizione di conquistare il mondo? Non si trattava, peraltro, del primo linguaggio esistente. Ogni animale ha un suo tipo di linguaggio. Tutti gli insetti, come le api e le formiche, sanno come comunicare tra loro e lo fanno in modi sofisticati, informandosi reciprocamente sui posti dove si può trovare cibo. Né era il primo linguaggio vocale. Numerosi animali, comprese tutte le scimmie antropomorfe e non, ne avevano uno. Per esempio, il cercopiteco verde usa richiami di vario tipo con i quali comunica delle cose. Gli zoologi ne hanno identificato uno che significa “Attenzione! Aquila!”. Un richiamo leggermente differente avvisa Attenzione! Un leone!. Quando i ricercatori trasmettevano con un nastro registrato il primo di questi due richiami a un gruppo di scimmiette, tutte smettevano le loro occupazioni e guardavano in alto paurose. Quando lo stesso gruppo sentiva la registrazione del secondo richiamo, l’allarme leone, di colpo scattavano via salendo su un albero.
I Sapiens sanno riprodurre molti più suoni distinti rispetto ai cercopitechi verdi, ma balene ed elefanti posseggono capacità comunicative ugualmente impressionanti. Un pappagallo può dire tutte le cose che può dire Albert Einstein, e anche mimare i suoni del telefono che squilla, di una porta che sbatte, o l’ululato delle sirene. I vantaggi che poteva avere Einstein rispetto a un pappagallo non erano sul piano vocale. Cosa c’è quindi di così speciale nel linguaggio? La risposta più comune è che il nostro linguaggio è straordinariamente duttile. Noi possiamo connettere un numero limitato di suoni e segnali per produrre una quantità infinita di frasi, ciascuna avente un distinto significato. Così siamo in grado di introiettare, immagazzinare e comunicare una prodigiosa quantità di informazioni riguardo al mondo che ci circonda.
Un cercopiteco verde può sì gridare ai suoi compagni Attenzione! Un leone!. Ma un umano moderno può dire ai suoi amici che questa mattina, vicino all’ansa del fiume, ha visto un leone che stava puntando un branco di bisonti. Ed è anche in grado di descrivere l’ubicazione esatta, compresi i differenti percorsi per arrivare nella zona. Con questa informazione, i membri del suo gruppo possono consultarsi e discutere sull’opportunità o meno di avvicinarsi al fiume per mettere in fuga il leone e dare la caccia a un bisonte.
Una seconda teoria conviene sul fatto che il nostro linguaggio impareggiabile si è sviluppato come mezzo per condividere informazioni sul mondo. Ma le informazioni più importanti che occorreva trasmettere riguardavano gli umani, non i leoni o i bisonti. Il nostro linguaggio si è formato sui pettegolezzi. Secondo questa teoria, l’Homo sapiens è innanzitutto un animale sociale. La cooperazione sociale è la nostra chiave della sopravvivenza e della riproduzione. A ogni uomo o donna presi a sé non basta sapere dove ci sono i leoni o i bisonti. Molto più importante per loro è sapere chi, nel loro gruppo, odia chi, chi dorme con chi, chi è onesto, e chi è un imbroglione.
La quantità di informazioni che un individuo deve ottenere e immagazzinare allo scopo di essere al corrente dei rapporti sempre mutanti che esistono tra le poche decine di membri del suo gruppo è sbalorditiva. (In un gruppo di cinquanta individui, si possono contare 1225 rapporti biunivoci, e innumerevoli altre combinazioni sociali complesse.) Tutti i primati mostrano uno spiccato interesse per questo tipo di informazione sociale, ma in effetti chiacchierano con difficoltà.
I Neanderthal e l’Homo sapiens arcaico avevano probabilmente problemi a parlare alle spalle di qualcuno – una capacità che gode di cattiva fama ma che di fatto è essenziale per cooperare nel grande numero. La nuova perizia di linguaggio che i Sapiens acquisirono circa settantamila anni fa consentì loro di chiacchierare per ore senza interruzione. Il fatto di avere informazioni attendibili riguardo agli individui di cui ci si poteva fidare dette l’opportunità di ampliare i ranghi del gruppo, e i Sapiens poterono sviluppare più stretti e più sofisticati tipi di cooperazione.
Questa teoria incentrata sul pettegolezzo potrebbe anche sembrare uno scherzo, eppure è stata supportata da numerosi studi. Ancora oggi, gran parte della comunicazione umana – nella forma delle email, delle conversazioni telefoniche o delle rubriche sui giornali – è gossip. Chiacchierare ci viene così naturale da farci pensare che il nostro linguaggio si sia sviluppato proprio per questo scopo.
Pensate forse che i professori di storia, quando s’incontrano a pranzo, stiano a discutere delle ragioni per cui è scoppiata la prima guerra mondiale, o che i fisici nucleari, alle conferenze scientifiche, passino il tempo della pausa caffè a parlare dei quark? Qualche volta, sì. Ma più spesso chiacchierano della professoressa che ha sorpreso il marito a tradirla, o della disputa tra il capo di dipartimento e il preside, o delle voci che corrono sul fatto che un collega ha usato i suoi fondi destinati alla ricerca per comprarsi una Lexus.
Di solito, infatti, il gossip s’incentra sulle malefatte. Il vero quarto stato sono le malelingue e i cronisti, che tengono infornata la società e così la proteggono dagli imbroglioni e dai parassiti.
È assai probabile, comunque, che siano valide entrambe le teorie, quella del gossip e quella del c’è-un-leone-vicino-al-fiume. Tuttavia, la caratteristica davvero unica del nostro linguaggio non è la capacità di trasmettere informazione su uomini e leoni. È piuttosto la capacità di trasmettere informazione su cose che non esistono affatto.
Per quanto ne sappiamo, solo i Sapiens sono in grado di parlare di intere categorie di cose che non hanno mai visto, toccato o odorato.
Leggende, miti, dèi e religioni comparvero per la prima volta con la Rivoluzione cognitiva.
In precedenza molti animali e molte specie umane erano in grado di dire: Attenzione! Un leone!. Grazie alla Rivoluzione cognitiva, l’Homo sapiens acquisì la capacità di dire: Il leone è lo spirito guardiano della nostra tribù. Tale capacità di parlare di fantasie inventate è il tratto più esclusivo del linguaggio sapiens.
È relativamente facile concordare sul fatto che solo l’Homo sapiens può parlare di cose che non esistono veramente, e di mettersi in testa cose impossibili appena sveglio. Non riuscireste mai a convincere una scimmietta a darvi una banana promettendole che nel paradiso delle scimmiette, dopo morta, avrà tutte le banane che vorrà. Ma come mai è così importante? Dopotutto, la finzione può essere ingannevole o pericolosa. Chi vaga per la foresta alla ricerca di fate e unicorni avrà certo meno chance di sopravvivenza rispetto a chi ci va per trovare funghi e cervi. E chi passa ore a pregare inesistenti spiriti guardiani, non spreca tempo prezioso, che sarebbe meglio dedicare a cercare cibo, a combattere o a fornicare? Ma la finzione ci ha consentito non solo di immaginare le cose, ma di farlo collettivamente. Possiamo intessere miti condivisi come quelli della storia biblica della creazione, quelli del Tempo del Sogno elaborati dagli aborigeni australiani, e quelli nazionalisti degli stati moderni. Questi miti conferiscono ai Sapiens la capacità senza precedenti di cooperare tra grandi numeri di individui. Anche formiche e api possono lavorare insieme in grandi numeri, ma lo fanno in forme estremamente rigide e solo all’interno di strette parentele. I lupi e gli scimpanzé cooperano in maniera molto più flessibile rispetto alle formiche, ma lo possono fare solo con piccoli numeri di altri individui che conoscono intimamente. I Sapiens sono in grado di cooperare in modi estremamente flessibili con un numero indefinito di estranei.
Ecco perché i Sapiens governano il mondo, mentre le formiche mangiano i nostri avanzi e gli scimpanzé sono in mostra negli zoo o vengono osservati nei laboratori di ricerca.
Qualsiasi cooperazione umana su vasta scala – si tratti di uno stato moderno, di una chiesa medioevale, di una città antica o di una tribù arcaica – è radicata in miti comuni che esistono solo nell’immaginazione collettiva. Le chiese sono radicate in miti religiosi comuni. Due cattolici che non si sono mai incontrati prima possono ciò nonostante partire insieme per una crociata o raccogliere fondi per costruire un ospedale perché entrambi credono che Dio si sia fatto carne e sangue e si sia sacrificato sulla croce per redimere i nostri peccati.
Gli stati si fondano su miti nazionali condivisi. Due serbi che non si sono mai visti prima possono rischiare la propria vita l’uno per salvare la vita dell’altro perché credono entrambi nell’esistenza di una nazione serba, nella madrepatria serba e nella bandiera serba. I sistemi giudiziari sono radicati in miti legali comuni. Due avvocati mai incontratisi prima possono, ciò malgrado, concertare i loro sforzi per difendere un totale estraneo, perché hanno fede nell’esistenza delle leggi, della giustizia, dei diritti umani – e nel denaro pagato per le loro parcelle.
Eppure nessuna di queste cose esiste al di fuori delle storie che le persone si inventano e si raccontano vicendevolmente. Nell’universo non esistono dèi, non esistono nazioni né denaro né diritti umani né leggi, e non esiste alcuna giustizia che non sia nella immaginazione comune degli esseri umani.
Non si fa fatica a capire che i primitivi cementano il loro ordine sociale attraverso la credenza di fantasmi e spiriti, raccogliendosi a danzare intorno al fuoco le notti di luna piena. Quello che non riusciamo a cogliere è che le nostre moderne istituzioni funzionano esattamente sulla stessa base. Si consideri per esempio il mondo delle grandi società finanziarie. I moderni uomini d’affari e avvocati sono, in realtà, potenti stregoni contemporanei. La differenza principale tra essi e gli sciamani tribali è che gli avvocati moderni raccontano storie assai più bizzarre. La leggenda della Peugeot fornisce un buon esempio.
Un’icona che assomiglia in qualche modo al leone-uomo di Stadel compare oggi su automobili, camion e motociclette, a Parigi come a Sydney. È lo stemma araldico che adorna i veicoli costruiti dalla Peugeot, una delle più antiche e più grandi fabbriche automobilistiche d’Europa. La Peugeot ha cominciato come una piccola azienda familiare nel villaggio di Valentigney, che si trova giusto a 300 chilometri dalla grotta di Stadel.
Oggi la società ha circa duecentomila dipendenti sparsi nel mondo, che nella stragrande maggioranza sono totali estranei tra loro. Questi sconosciuti cooperano così efficacemente che nel 2008 la Peugeot ha prodotto oltre un milione e mezzo di automobili, con introiti di circa 55 miliardi di euro.
In che senso possiamo affermare che la Peugeot SA (la denominazione ufficiale dell’azienda) esiste? Ci sono molti veicoli Peugeot, ma questi ovviamente non sono la stessa cosa dell’azienda. Anche se ogni Peugeot nel mondo fosse fatta a pezzi e venduta come rottame di ferro, la Peugeot SA non scomparirebbe. Continuerebbe a fabbricare nuove auto e a emettere i suoi rapporti annuali. La società in questione possiede fabbriche, macchinari e showroom, e impiega meccanici, contabili e segretarie, ma tutti questi insieme non costituiscono la Peugeot. Un disastro potrebbe uccidere ogni singolo impiegato della Peugeot, e proseguire col distruggere tutte le catene di montaggio e tutti gli uffici direzionali. Anche allora, la società potrebbe ottenere finanziamenti, assumere nuovi impiegati, costruire nuovi stabilimenti, e comprare nuovi macchinari. La Peugeot ha manager e azionisti, ma né gli uni né gli altri costituiscono di per sé la compagnia. Tutti i manager potrebbero essere liquidati e tutte le azioni potrebbero essere vendute, ma la società di per sé resterebbe intatta.
Questo non significa che la Peugeot SA sia invulnerabile o immortale. Se un giudice dichiarasse lo scioglimento della società, le sue fabbriche resterebbero in piedi, e i suoi operai, contabili, manager e azionisti continuerebbero a esistere – mentre la Peugeot SA svanirebbe immediatamente. In breve, la Peugeot SA pare non avere alcuna connessione essenziale con il mondo fisico. Possiamo dire che esiste veramente? La Peugeot è un’invenzione della nostra immaginazione collettiva. Gli uomini di legge chiamano ciò finzione giuridica. Non può essere indicata; non è un oggetto fisico.
Esiste come entità giuridica. Al pari di te e di me, è vincolata alle leggi dei Paesi in cui opera. Può aprire un conto in banca e avere delle proprietà. Paga le tasse, e può essere citata in giudizio e anche perseguita separatamente da coloro che la posseggono o che vi lavorano.
La Peugeot appartiene a un particolare genere di finzioni giuridiche chiamate “società a responsabilità limitata”. Il concetto che sta dietro queste società è tra le più ingegnose invenzioni dell’umanità.
L’Homo sapiens è vissuto per innumerevoli millenni senza che se ne sentisse il bisogno.
Durante la maggior parte della storia, la proprietà poteva dirsi attribuibile solo a chi era di carne e sangue umani, erto su due gambe e con un grosso cervello. Nella Francia del tredicesimo secolo, Jean impiantò un laboratorio in cui costruire carri: era la sua specialità. Se un carro da lui fabbricato si rompeva una settimana dopo che era stato comprato, l’acquirente insoddisfatto poteva citare in giudizio Jean personalmente. Se Jean si era fatto prestare mille monete d’oro per impiantare il suo laboratorio e l’attività falliva, egli avrebbe ripagato il prestito avuto vendendo le sue proprietà private – la sua casa, la sua mucca, la sua terra. Forse sarebbe stato costretto a vendere anche i suoi figli mettendoli a servitù. Se non ce la faceva a coprire tutto il debito, poteva esser tradotto in prigione dalle autorità dello stato o messo in schiavitù dai suoi creditori. Era pienamente responsabile, senza limiti, di tutti gli impegni cui il suo laboratorio doveva rispondere.
Se foste vissuti a quel tempo, probabilmente ci avreste pensato due volte prima di avviare un’impresa per vostro conto. E infatti questa situazione giuridica scoraggiava l’imprenditorialità. La gente aveva paura di avviare un’attività e di prendersi i rischi economici che comportava. Non pareva certo che valesse la pena di affrontare l’eventualità che le proprie famiglie finissero in totale miseria.
Ecco perché si cominciò a immaginare la formazione di società a responsabilità limitata.
Tali aziende erano giuridicamente indipendenti dalle persone che le avevano impiantate, che vi avevano investito soldi o che le gestivano.
Durante gli ultimi secoli, le società di questo tipo sono diventate le principali protagoniste dell’arena economica, e sono diventate per noi così famigliari da farci dimenticare che esistono solo nella nostra immaginazione. Negli Stati Uniti, il termine tecnico per una società a responsabilità limitata è corporation, termine quanto mai ironico visto che deriva dal latino corpus – e che il corpo fisico è proprio la cosa che manca a queste corporations. Benché non abbiano alcun vero corpo, il sistema giuridico americano tratta le corporations come persone giuridiche, come se fossero esseri umani in carne e ossa.
E così fece il sistema giuridico francese nel 1896, quando Armand Peugeot, che aveva ereditato dai genitori un’officina meccanica che produceva molle, seghe e biciclette, decise di entrare nel campo delle automobili. Con tale obiettivo, fondò una società a responsabilità limitata. La chiamò con il proprio nome, ma essa era qualcosa di indipendente dalla sua persona. Se una macchina si rompeva, l’acquirente poteva far causa alla Peugeot, non ad Armand Peugeot. Se la società si faceva prestare milioni di franchi e poi andava in rovina, Armand Peugeot non doveva dare un singolo franco ai creditori dell’azienda. Quel finanziamento, dopo tutto, era stato dato alla Peugeot, l’azienda, e non ad Armand Peugeot, l’Homo sapiens. Armand Peugeot morì nel 1915. La Peugeot SA è tuttora viva e vegeta.
Come aveva fatto Armand Peugeot, la persona, a creare Peugeot, la società? In modo molto simile a quello in cui i sacerdoti e gli stregoni hanno creato dèi e demoni nel corso della storia, e in cui migliaia di curati francesi creavano il corpo di Cristo ogni domenica nelle chiese parrocchiali. Tutto ruotava intorno al fatto di raccontare storie, e di convincere gli altri a crederci. Nel caso dei curati francesi, la storia cruciale era quella della vita e morte di Cristo come viene trasmessa dalla Chiesa cattolica. Secondo questa narrazione, se un prete cattolico, vestito dei paramenti sacri, pronunciava le parole giuste nel momento giusto, il pane e il vino di questa terra si trasformavano nel corpo e sangue di Dio. Il prete esclamava Hoc est corpus meum!, cioè questo è il mio corpo, e, abracadabra, il pane diventava la carne di Cristo. Constatando che il prete aveva osservato tutte le procedure, milioni di devoti cattolici francesi agivano come se Dio fosse esistito realmente nel pane e nel vino consacrati.
Nel caso della Peugeot SA, la storia cruciale stava nel codice francese, quale era stato scritto dal Parlamento francese. Secondo i legislatori francesi, se un legale abilitato seguiva la debita liturgia e procedura, scriveva tutte le formule e proposizioni richieste su un pezzo di carta meravigliosamente ornato, allora, abracadabra, nasceva una nuova società. Quando nel 1896 Armand Peugeot volle creare una società, pagò un avvocato affinché espletasse tutte queste sacre procedure. Una volta che il legale eseguì tutti i rituali giusti e pronunciato tutte le debite formule, milioni di retti francesi si comportarono come se la società Peugeot esistesse veramente.
Raccontare finzioni che funzionino non è facile. La difficoltà non sta nel raccontare la storia, ma nel convincere tutti gli altri a crederci. Gran parte della storia gira intorno a questa domanda: come si fa a convincere milioni di persone a credere a storie tanto particolari circa gli dèi, o le nazioni, o le società a responsabilità limitata? Però, quando succede, ciò conferisce ai Sapiens un immenso potere, poiché fa sì che milioni di estranei cooperino e agiscano in direzione di obiettivi comuni. Si provi solo a immaginare quanto sarebbe stato difficile creare stati, Chiese o sistemi giuridici, se noi riuscissimo a parlare soltanto delle cose che esistono veramente, come fiumi, alberi e leoni.
Nel corso del tempo, abbiamo intessuto una rete di storie incredibilmente grande e complessa. In seno a questa rete, finzioni come quella della Peugeot, non solo esistono, ma accumulano un immenso potere. I tipi di cose che la gente crea attraverso questa rete di storie vengono chiamate, nei circoli accademici, costrutti sociali o realtà immaginate. Una realtà immaginata non è una bugia. Io mento se dico che c’è un leone vicino al fiume pur sapendo perfettamente che lì non c’è nessun leone. Le bugie non sono qualcosa di speciale. I cercopitechi verdi e gli scimpanzé sanno mentire. Si è visto, per esempio, un cercopiteco verde lanciare il grido Attenzione! Un leone! senza che nei dintorni non ci fosse alcun leone. Questo allarme fece scappare un compagno cercopiteco che aveva appena trovato una banana, così il mentitore poté restare a godersi da solo il bottino.
A differenza della menzogna, la realtà immaginata è qualcosa in cui tutti credono, e, fintantoché questa credenza comune persiste, la realtà immaginata esercita una determinata forza nella situazione in cui essa si esplica.
È possibile che lo scultore della grotta di Stadel credesse sinceramente nell’esistenza di un uomo-leone come spirito guardiano. Alcuni stregoni sono ciarlatani, ma in gran parte credono davvero nella esistenza di dèi e demoni. Molti milionari credono sinceramente nell’esistenza del denaro e delle società a responsabilità limitata. Molti attivisti credono sinceramente nell’esistenza dei diritti umani. Nessuno mentiva quando, nel 2011, le Nazioni Unite richiesero che il governo libico rispettasse i diritti umani dei suoi cittadini, anche se le Nazioni Unite, la Libia e i diritti umani sono invenzioni della nostra fertile immaginazione.
Dall’inizio della Rivoluzione cognitiva, l’Homo sapiens ha dunque vissuto una realtà duale.
Da un lato, la realtà oggettiva di fiumi, alberi e leoni; dall’altra, la realtà immaginata di dèi, nazioni, e società per azioni. Col passare del tempo, la realtà immaginata è diventata via via sempre più potente, così oggi la sopravvivenza stessa di fiumi, alberi e leoni dipende dalla benevolenza di entità quali gli dèi, le nazioni, e le società per azioni.
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