Se un uomo del 1500 si ritrovasse catapultato nella New York di oggi penserebbe di trovarsi in Paradiso. Nel 1500 il cielo non apparteneva all’uomo, mentre il 20 luglio 1969 l’uomo approdò sulla Luna! Solo nel 1674 l’occhio umano poté osservare un microrganismo, quando Anton van Leeuwenhoek pose l’occhio sul suo microscopio fatto in casa e rimase sorpreso nel vedere un intero mondo di minuscole creature affaccendate intorno ad una goccia d’acqua. Nel corso della storia, l’uomo ha scoperto leggi scientifiche per sconfiggere malattie, costruire edifici più sicuri, costruire mezzi di locomozione, per migliorare la vita dell’uomo. Ma è solo il 16 luglio del 1945, quando fu fatta esplodere la bomba atomica ad Alamogordo nel New Mexico, che l’uomo assunse la capacità di porre fine al mondo.
Durante gli ultimi 500 anni, gli umani hanno creduto sempre di più di poter accrescere le proprie capacità investendo sulla ricerca scientifica. La ricerca scientifica si basa su 3 presupposti: la disponibilità ad ammettere l’ignoranza, la centralità dell’osservazione e della matematica e l’acquisizione di nuovi poteri. I comuni mortali acquisivano conoscenza studiando le sacre scritture, se un singolo individuo ignorava un argomento poteva appellarsi al saggio, quasi sempre un prete, altrimenti se si trattava di un’ignoranza collettiva, e non individuale, significava che non erano cose importanti da sapere, altrimenti sarebbero state rivelate dai profeti, da Gesù.
Venivano fatte, nel corso del tempo, varie scoperte, ma erano casuali e non avevano un’importanza sociale. Nell’antica Cina, ad esempio, fu scoperta la polvere da sparo, per caso da due alchimisti che cercavano l’elisir di lunga vita, ma fu impiegata per la produzione di fuochi d’artificio e solo nel 1400 fu usata per dare vita al cannone. Colui che ha unito scienza e tecnologia è stato Bacone all’inizio del Seicento e questo rapporto si è consolidato in modo inscindibile nell’Ottocento.
La disponibilità, invece, ad ammettere l’ignoranza ha permesso all’uomo di indagare, confutare, ricercare.
Quando le mitologie e le scritture tradizionali esponevano leggi generali queste erano presentate in forma narrativa, quando invece Newton capì come capire e prevedere i movimenti dei corpi dimostrò che il Libro della natura è scritto nella lingua matematica.[x][x]Nel 1744, due ecclesiastici presbiteriani, Webster e Wallace, decisero di creare un fondo assicurativo, tutt’oggi esistente, e per stabilire il premio annuale che i loro clienti avrebbero dovuto versare si affidarono alle leggi della statistica, interpellando il professore di matematica dell’Università di Edimburgo, Colin Maclaurin, non lo chiesero certo al parroco e nemmeno cercarono la risposta nelle sacre scritture.[x][x]Nell’Europa medievale erano la logica, la grammatica e la retorica a formare il fulcro dell’educazione, mentre la matematica si riduceva all’aritmetica e geometria di base.[x][x]Oggi anche discipline umanistiche usano la matematica, come ad esempio sempre di più la psicologia ricorre alla statistica. Mano a mano che la scienza risolse problemi prima considerati insuperabili, l’uomo è arrivato al Progetto Gilgamesh, ovvero all’idea di sconfiggere la morte e far diventare l’uomo un essere amortale. Gilgamesh è un mito sumero e racconta di un re, Gilgamesh, che non accettando la morte del suo migliore amico si addentrò fino agli Inferi per poi scoprire che l’unica possibilità era accettare la Signora con la Falce come parte della vita.
Chi paga la scienza? Stati, enti privati e anche persone fisiche pagano i ricercatori, ma sono le esigenze della persona o del governo a determinare il campo di applicazione. Ad esempio, se il prof. Rossi è interessato a studiare una malattia che infetta le mammelle delle mucche, riducendo così la produzione del latte, nella nostra società capitalista e consumista troverà molte più chance di sovvenzioni rispetto al prof. Bianchi che intende studiare se la mucca soffre nel momento in cui viene separata dal proprio vitellino.
Il prof. Bianchi, per aumentare la probabilità di ottenere finanziamenti, dovrebbe puntare anche sull’aspetto economico, oltre che psicologico, ovvero ipotizzare che la sofferenza psichica da distacco possa influire sulla produzione del latte.
La scienza moderna fiorì negli e grazie agli imperi europei. In precedenza, coloro che conquistavano nuove terre pensavano di avere già capito il mondo e difficilmente studiavano la flora, la fauna o le popolazioni locali. Quando Colombo arrivò alle Bahamas il 12 ottobre del 1942 credeva di essere arrivato in India, mentre fu Amerigo Vespucci a dubitare, indagare e scoprire che si trattava di un diverso territorio, un nuovo continente.[x][x]L’uomo iniziò quindi ad ammettere di conoscere ben poco del mondo e ammettere l’ignoranza significava ricercare.[x][x]I popoli Atzechi furono conquistati con l’inganno da Cortes, così come gli Inca da Pizarro.[x][x]Queste antiche popolazioni videro questi strani europei come dèi o demoni, con grandi imbarcazioni, maleodoranti, con barba e capelli biondi, pelle bianca, corazze, spade, cannoni. Quando però l’europeo colonizzava un nuovo territorio non faceva solo danni, come stermini, sfruttamenti ed oppressioni, ma studiava la loro lingua, la loro economia, la loro religione. Fu un britannico, durante il periodo di colonizzazione dell’India, a studiare l’antica lingua indiana scoprendo delle similitudini con il greco, il latino, il tedesco, il francese, l’inglese, il celtico, il gotico, il sanscrito e l’antico persiano. I biologi dell’epoca cercarono di dimostrare che la razza ariana fosse superiore e che si fosse mescolata con le altre razze durante le invasioni dell’India e della Persia, perdendo sia caratteristiche fisiche come altezza, capelli e occhi chiari, sia cognitive come raziocinio e morale.
L’economica non cresceva e si presumeva che non sarebbe cresciuta mai. Il credito ci consente di costruire il presente pagandolo nel futuro. Con la Rivoluzione scientifica e l’idea di progresso, dal concetto di arricchimento (tolgo a te per aumentare la mia torta) si passa al concetto di capitalismo (ingrandisco la mia torta e se sei più ricco te lo sono anche io), dove una parte dei profitti vengono reinvestiti e così aumentano i posti di lavoro e la ricerca scientifica.[x][x]Nel 1776, l’economista Adam Smith pubblicò “Ricerche sopra la natura e la causa della ricchezza delle nazioni” dove descrisse il capitalismo, definendolo un egoismo altruistico, grazie al quale il ricco non nasconde più la sua ricchezza sotto il materasso, ma la utilizza per accrescere l’economia, creando profitti condivisi. Da teoria descrittiva e prescrittiva, si è trasformato in etica, infatti il capitalismo sostiene che la giustizia, la libertà e la felicità dipendono dall’economia.[x][x]Anche Colombo fu in cerca di un investitore e se il re del Portogallo rifiutò, il re Ferdinando e la regina Isabella finanziarono l’impresa di Cristoforo.[x][x]Nel 1568 gli olandesi si rivoltarono contro il loro signore cattolico spagnolo e grazie all’istituto del credito riuscirono a finanziare le loro spedizioni militari, ottenendo l’indipendenza e trasformando Amsterdam in uno dei porti più importanti d’Europa.
Nel corso della storia, il credito è fluito negli stati che salvaguardano il rispetto della legge e la proprietà privata. Ma i finanziamenti devono anche avere un certo controllo da parte di appositi organi di vigilanza, altrimenti i disastri possono essere considerevoli, come la famosa Bolla del Mississipi durante la prima metà del Settecento, che mise nel lastrico numerosi francesi e rese la Francia meno credibile.
Al contrario, i britannici riuscirono a colonizzare sia New York, togliendola agli olandesi (che avevano chiamato quella nuova terra New Amsterdam), e l’India. L’India, all’inizio, fu conquistata dalla British East India Company e solo dopo un secolo la corona britannica la colonizzò. In seguito, le società per azioni non andarono più a conquistare i popoli, ma tiravano le fila direttamente dalle loro sedi amministrative: nel 1840, l’Inghilterra dichiarò guerra alla Cina poiché aveva interrotto il mercato dell’oppio, dato che gran parte della popolazione ne consumava in grandi quantità rischiando la salute e la vita.[x][x]L’Inghilterra ne uscì vittoriosa e verso le fine dell’Ottocento si stima che il 10% dei cinesi fosse tossicodipendente.[x][x]I capitalisti finanziarono anche la guerra dei greci per la loro indipendenza dall’Impero Ottomano nel 1821 e questo permise alla Grecia sì la libertà, ma un pesante debito che durò per decenni.[x][x]Il culto del mercato libero, senza uno Stato che lo controlli attraverso strumenti come il diritto sul lavoro, rischia di creare un inferno. Quando l’America fu conquistata, numerosi imprenditori compravano e vendevano milioni di africani, da sfruttare nelle piantagioni di canna da zucchero (prima di allora lo zucchero in Europa era un bene di lusso), di tabacco, cacao e thè. Nel 1876, il re Leopoldo II del Belgio, con la scusa di combattere il commercio degli schiavi in Congo e con l’aiuto di varie potenze europee, sottomise una vasta area ribattezzandola Stato Libero del Congo, ma fu veramente poco libero, in quanto le popolazioni locali furono sfruttate e se non producevano abbastanza gomma venivano giustiziati, ci furono dai 6 ai 10 milioni di morti.
Possiamo non amare il capitalismo, ma non possiamo viverne senza. Ciò che è necessario è che vi sia un controllo su di esso. Lo Stato non può non intervenire.
Prima della Rivoluzione industriale, si bruciava il legno allo scopo di fondere il ferro, scaldare le case e cucinare, si sfruttava il movimento dell’acqua per azionare i mulini e macinare il grano, così come veniva sfruttato il vento per navigare. Ma le piante, l’acqua e il vento non sono sempre disponibili. Gli unici corpi che trasformavano un qualcosa in energia erano i corpi umani. Ma quando l’acqua bolliva e il vapore faceva muovere il coperchio della pentola nessuno, per centinaia di anni, gli dette importanza.
Un parziale progresso nella conversione del calore in moto avvenne in Cina con la polvere da sparo, ma passarono 600 anni prima che fosse usata per l’artiglieria. Una nuova tecnologia nacque in Germania e nelle miniere di carbone della Gran Bretagna. La Gran Bretagna venne a soffrire di una penuria sempre più grave di legna da ardere, cominciò così a sostituirla con il carbone. Ma poi scoprirono che bruciando il carbone e usando il suo calore per bollire l’acqua questo si espandeva fino a spingere un pistone. Ed ecco che nascono pompe d’acqua, macchinari tessili, ferrovie. Il 15 settembre 1830 venne inauguratala prima ferrovia commerciale che collegava Liverpool con Manchester.
Un’altra scoperta cruciale fu il motore a combustione interna che impiegò poco più di una generazione per rivoluzionare i trasporti e trasformare il petrolio in un potere politico liquido. Il petrolio era conosciuto da migliaia di anni, ma veniva impiegato per lubrificare o rendere i tetti impermeabili. Si andava in guerra per l’oro, le spezie, gli schiavi, non per il petrolio. La scoperta dell’energia elettrica fu ancora più sorprendente. E non fu solo una rivoluzione industriale, ma anche agricola. Con la rivoluzione industriale anni dopo anni nascono macchinari in grado di sostituire l’uomo nei campi e se prima il 90% della popolazione era impegnata nell’agricoltura, adesso negli USA lo è solo il 2% e quel 2% riesce a soddisfare non solo gli americani, ma anche ad esportare.
I chimici scoprirono l’alluminio solo negli anni Venti dell’Ottocento ma era difficile separare il metallo dal materiale grezzo e per questo era carissimo. Napoleone III teneva le posate di alluminio solo per gli ospiti di maggior riguardo, gli altri si dovevano accontentare di posate d’oro. Oggi rimarrebbe sbalordito ed incredulo nel vedere che arrotoliamo i nostri panini in fogli di alluminio.
Durante la prima guerra mondiale, la Germania soffriva di una grave penuria di materie prime compreso il salnitro che si trovava in India e Medio Oriente, necessario per la polvere da sparo. Poteva essere sostituito con l’ammoniaca solo che la produzione era costosa, ma fu un chimico ebreo di nome Fritz Haber a scoprire nel 1908 un procedimento per produrre l’ammoniaca ricavandola direttamente dall’aria.
L’energia elettrica ha accelerato l’economia e reso molto più economici i prodotti, andando a creare milioni di oggetti anche inutili all’uomo. Questa è la prima era della storia dove l’offerta supera la domanda. Dove il ricco investe e il proletariato si affanna per poter comprare le ultime novità. Se in epoca medievale i ricchi sperperavano e i poveri risparmiavano, adesso vi è uno shopping compulsivo da parte di tutta la popolazione che si riempie di cose inutili, di cui non ha veramente bisogno e i valori etici e morali non sono più ricercati e bramati come una volta.
L’economia sfrenata, inoltre, ha danneggiato il benessere fisico e psichico degli animali.
Polli, galline, maiali, mucche costretti a vivere in uno spazio ridotto, dove non possono socializzare, giocare, curiosare, dominare. I cuccioli vengono subito strappati dalle loro madri. E l’animale soffre, come è stato affermato da alcune ricerche scientifiche. Celebre quella di Harlow, la scimmia e le due madri surrogate: la scimmia passava il suo tempo con la madre rivestita da un panno soffice, mentre quella con il fil di ferro veniva ricercata solo per mangiare.
L’agricoltura tradizionale si fondava sui cicli naturali delle stagioni, nessuno sapeva l’ora esatta e neanche l’anno esatto, si calcolavano le cose pressapoco, non c’era precisione e non importava a nessuno. Oggi invece la nostra vita è fatta di orari precisi: il turno di lavoro, l’orario dei tram o del nostro programma televisivo preferito, l’orario scolastico, la pausa pranzo. Tutto questo serve per far funzionare gli ingranaggi del sistema in modo fluido. Pensate ad una fabbrica: ogni operaio lavora in uno specifico settore, se quel settore si ferma, tutta la macchina produttrice si ferma. Se un tempo l’ora era scandita dal campanile delle chiese, oggi troviamo l’ora nella sveglia, nel cellulare, nel computer, in televisione, ovunque. Ed è la stessa ora valida per tutti.
Con la Rivoluzione industriale, con il capitalismo e il consumismo sono crollate anche le famiglie nucleari, allargate e la comunità ristretta. Un tempo gli affari di famiglia, i contenziosi civili e penali venivano gestiti all’interno delle faide familiari, oggi invece interviene lo Stato, anche nella cura dei figli: i figli non sono più proprietà del pater familias, non possono essere picchiati, venduti, sfruttati, devono essere mandati a scuola. Un tempo tutto ciò era impensabile. Oggi non solo si dà dignità e indipendenza ad ogni individuo, si pensi anche alle donne che oggi possono votare, divorziare, ricoprire cariche pubbliche, lavorare senza il permesso del marito, ma lo si incita anche ad allontanarsi dalla famiglia perché tanto lo Stato pensa alla sua educazione, alla sua salute, alla sua protezione, ai suoi interessi, al suo capitale. Tutto ciò però ha prodotto anche una sorta di alienazione, dove l’individuo si sente parte di una nazione, di una comunità, che in realtà è anonima ed è un puro costrutto psicologico.
Dopo il 1945, dobbiamo comunque dire che grazie all’unione degli Stati, alla ricerca scientifica e al potenziamento dell’economia, non ci sono più guerre mondiali, ma solo conflitti interni o conflitti riguardanti i confini da parte degli Stati più arretrati. La maggior parte di noi non si rende conto di quanto in realtà sia pacifica l’epoca in cui viviamo. Nel 2000, le guerre hanno causato la morte dell’1,5% degli individui deceduti durante l’anno, è quindi molto più probabile morire suicida, in un incidente stradale o per mano di un proprio familiare. E comunque l’assistenza statale ha ridotto il numero delle vittime di omicidi: se nell’Europa medievale 40 persone ogni 100 mila abitanti erano vittime di omicidi durante un anno, oggi solo 9 persone su 100 mila.
Inoltre dopo il 1945, le soluzioni a conflitti internazionali si sono risolte pacificamente basti pensare al ritiro dei britannici dalle loro colonie, stessa cosa per i francesi, o alla caduta del muro di Berlino. Le guerre ormai sono troppo costose, agli uomini non interessa più il saccheggio, ma la produttività, l’industria, la ricerca e queste sono garantite dal capitale umano. Inoltre, l’invenzione della bomba atomica ha scongiurato possibili conflitti di natura mondiale, in quanto gli Stati andrebbero in contro ad un suicidio: l’inventore della bomba atomica, Robert Oppenheimer, avrebbe dovuto ricevere un premio Nobel per la pace.
Durante gli ultimi duecento anni, i metodi della produzione industriale diventarono il punto di forza dell’agricoltura. Macchine quali i trattori cominciarono a svolgere compiti che in precedenza erano eseguiti per mezzo della forza muscolare, oppure non eseguiti affatto. Sia i terreni sia gli animali si fecero enormemente più produttivi grazie ai fertilizzanti artificiali, agli insetticidi industriali e a un arsenale di ormoni e di medicine.
Frigoriferi, navi e aerei hanno reso possibile stivare i prodotti per mesi, e trasportarli velocemente ed economicamente dall’altra parte del mondo. Gli europei cominciarono a mangiare manzo argentino e sushi giapponese.
Anche le piante e gli animali si meccanizzarono. Più o meno nel tempo in cui l’Homo sapiens fu elevato al rango divino da parte delle religioni umaniste, gli animali di fattoria cessarono essere visti come creature viventi che potevano sentire dolore e sofferenza, e cominciarono a essere trattati come macchine. Oggi, questi animali sono spesso prodotti in serie in strutture che sembrano delle fabbriche, e i loro corpi vengono modellati secondo le necessità industriali. Passano la loro intera esistenza come ingranaggi di una gigantesca filiera di produzione, e la lunghezza e qualità della loro vita è determinata dalla logica del profitto e della perdita. Anche quando l’industria bada a tenerli vivi, ragionevolmente sani e ben alimentati, non ha alcun interesse intrinseco per i bisogni sociali e psicologici degli animali (a meno che questi fattori non abbiano un effetto diretto sulla produzione).[x][x]Le galline da uova, per esempio, hanno necessità comportamentali e impulsi complessi.[x][x]Hanno forti stimoli a perlustrare l’ambiente, ad andare in cerca di cibo, a beccare il terreno, a stabilire gerarchie sociali, a costruire nidi e a passarsi il becco tra le piume. Ma le aziende che si occupano della produzione di uova spesso le chiudono in minuscole gabbie, e non è raro che ne mettano quattro in una stessa gabbia, per cui a ciascuna gallina spetta una superficie di pavimento pari a 25 per 22 centimetri circa. Viene dato loro cibo sufficiente, ma non sono in grado di rivendicare un proprio territorio, costruire un nido o svolgere una qualsiasi attività naturale. In effetti, la gabbia è così piccola che in tanti casi le galline non riescono neppure a sventolare le ali o stare completamente erette.
I maiali sono tra i mammiferi più intelligenti e curiosi, secondi forse solo alle grandi scimmie. Eppure gli allevamenti industrializzati di solito confinano le scrofe e i maialini in stalli così ristretti che loro non riescono a fare il minimo di movimento, e tanto meno a camminare o andare in cerca di cibo Le scrofe vengono tenute in queste gabbie giorno e notte per quattro settimane dopo aver partorito. La loro prole le viene poi portata via e messa all’ingrasso, mentre le scrofe vengono inseminate per la figliata successiva.
Molte mucche da latte passano quasi tutta l’esistenza loro assegnata dentro un minuscolo recinto, dove restano in piedi o sdraiate e dormono nella loro urina e nei loro escrementi.
La loro misura di cibo, ormoni e medicine viene dispensata loro da una serie di macchine, mentre altre provvedono alla mungitura ogni poche ore. La mucca è considerata in sostanza come poco più che una bocca che assume materie prime e una mammella che produce un bene commerciale. Trattare come macchine creature viventi che posseggono complessi mondi emozionali vuol dire causare loro, verosimilmente, non soltanto del disagio fisico, ma anche un forte stress sociale e una frustrazione psicologica.
Come il commercio degli schiavi attraverso l’Atlantico non nasceva da odio nei confronti degli africani, così la moderna industria animale non è motivata dall’animosità, ma dall’indifferenza. La maggior parte delle persone che producono e consumano uova, latte e carne, è raro che si fermino a pensare al destino delle galline, delle mucche o dei maiali delle cui carni e prodotti si nutrono. Quelli lo fanno, sostengono in molti casi che in fondo gli animali differiscono ben poco dalle macchine, prive di sensazioni e di emozioni, incapaci di soffrire. Ironia vuole che le stesse discipline scientifiche che hanno modellato le macchine per la mungitura e per la raccolta delle uova hanno dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che mammiferi e uccelli posseggono una complessa struttura sensoria ed emozionale. Non solo sentono il dolore fisico, ma possono anche soffrire di stress emotivi.
La psicologia evoluzionistica ci dice che le necessità emozionali e sociali degli animali agricoli si evolsero allo stato selvaggio, quando questi bisogni erano essenziali per la sopravvivenza e la riproduzione. Per esempio una mucca selvatica aveva bisogno di sapere come si formano relazioni con altre mucche e con i tori, altrimenti non avrebbe potuto sopravvivere e riprodursi. Affinché si sviluppassero tali capacità, i processi evolutivi instillarono nei vitelli – e nei cuccioli di tutti gli altri mammiferi sociali – una forte pulsione al gioco, che nei mammiferi è il modo per imparare il comportamento sociale. E in essi impiantarono un desiderio ancora più forte di essere uniti alle loro madri, il cui latte e le cui attenzioni erano essenziali per la sopravvivenza.
Cosa succede invece se gli allevatori prendono una vitella, la separano dalla madre, la mettono in una gabbia chiusa, la nutrono le fanno le iniezioni contro le malattie e poi, appena raggiunge l’età giusta, la inseminano con lo sperma di un toro? Da un punto di vista oggettivo, per sopravvivere e riprodursi questa vitella non ha più bisogno né dei legami con la madre, né della presenza di compagni e compagne di gioco. Ma da un punto di vista soggettivo, la vitella sente ancora un impulso molto forte di stare vicina alla madre e di giocare con i suoi simili. Se queste pulsioni non vengono soddisfatte, la vitella soffrirà grandemente. Ecco dunque la lezione fondamentale della psicologia evoluzionistica: un bisogno formatosi allo stato naturale continua ad alimentarsi soggettivamente anche quando non è più indispensabile per la sopravvivenza e la riproduzione. La tragedia dell’agricoltura industriale sta nel fatto che si prende molta cura delle necessità oggettive degli animali, trascurando quelle soggettive.
L’autenticità di questa teoria è riconosciuta per lo meno dagli anni Cinquanta del Novecento, quando uno psicologo americano, Harry Harlow, studiò lo sviluppo delle scimmie. Harlow separò i cuccioli dalle loro madri diverse ore dopo la nascita, isolandoli all’interno di gabbie e lasciandoli crescere accanto a mamme fantoccio. In ogni gabbia Harlow aveva collocato due finte mamme. Una era fatta con fili di metallo e in essa era inserita una bottiglia di latte con la tettarella, da cui la piccola scimmia avrebbe potuto succhiare. L’altra mamma fantoccio era fatta di legno e ricoperta di tessuto: in qualche modo somigliare a una vera scimmia madre, ma non forniva al cucciolo alcun sostentamento. Si presupponeva che i cuccioli di scimmia si sarebbero arrampicati sulla mamma di metallo che forniva nutrimento, e non sull’altra.
Con sorpresa di Harlow, i cuccioli di scimmia mostrarono una marcata preferenza per la madre di legno e stoffa, passando la maggior parte del tempo con lei. Quando le due finte mamme furono collocate vicine l’una all’altra, i cuccioli tendevano a rimanere attaccati alla madre di stoffa anche mentre si sporgevano per succhiare il latte dalla madre di metallo. Harlow ipotizzò che i cuccioli si comportavano in questo modo perché forse avevano freddo. Così, inserì una lampadina che emetteva calore dentro la madre di fil di ferro. Ebbene, la maggior parte delle scimmiette, a parte quelle molto piccole, continuarono a preferire la mamma di pezza.
Successive ricerche dimostrarono che le scimmie senza mamma crescevano sviluppando disturbi emozionali, anche se ricevendo tutto il nutrimento necessario. Non riuscirono mai a inserirsi nella società dei loro simili, avevano difficoltà di comunicazione con le altre scimmie e soffrivano di stati di ansietà e di aggressività piuttosto marcati. La conclusione era inequivocabile: evidentemente le scimmie dovevano avere necessità e desideri di natura psicologica che andavano al di là delle loro condizioni materiali, e se queste esigenze non venivano corrisposte, le scimmie soffrivano grandemente. Nei decenni successivi numerosi studi dimostrarono che queste conclusioni si applicavano non soltanto alle scimmie, ma anche agli altri mammiferi e agli uccelli. Attualmente milioni di animali da fattoria sono sottoposti alle stesse condizioni delle scimmie di Harlow, poiché gli agricoltori separano dalle loro madri i vitelli, i capretti e gli altri cuccioli di vari animali, per allevarli a parte.
Nel complesso, miliardi di animali da cortile vivono oggi come parte della catena di montaggio meccanizzata, e ogni anno ne vengono macellati circa dieci miliardi. Tali metodi industriali di trattamento e utilizzazione del bestiame hanno portato a un netto incremento della produzione agricola e delle riserve alimentari per l’uomo. Insieme alla meccanizzazione delle colture, la zootecnia industriale costituisce la base per l’intero sistema socio-economico moderno. Prima dell’industrializzazione dell’agricoltura, la maggior parte del cibo prodotto sui campi e nelle fattorie “andava perso”, cioè consumato per l’alimentazione dei contadini e degli animali da cortile. Solo una piccola percentuale si rendeva disponibile per l’alimentazione di artigiani, insegnanti, preti e burocrati. Per cui si capisce come, in quasi tutte le società, i contadini comprendessero oltre il 90 per cento della popolazione.[x][x]Con l’industrializzazione della agricoltura, un numero sempre più contenuto di agricoltori è sufficiente ad alimentare un numero crescente di impiegati e di manodopera operaia.[x][x]Oggi, negli Stati Uniti, solo il due per cento della popolazione si procura da vivere con l’agricoltura, eppure questo due per cento produce abbastanza per alimentare non solo l’intera popolazione degli Stati Uniti, ma per esportare le eccedenze nel resto del mondo.[x][x]Senza l’industrializzazione dell’agricoltura, la Rivoluzione industriale urbana non avrebbe mai avuto luogo: non ci sarebbero state abbastanza menti e le braccia per riempire fabbriche e uffici.[x][x]Mentre le fabbriche e gli uffici assorbivano i miliardi di braccia e di menti resi liberi dal lavoro sui campi, sul mercato cominciò a riversarsi una valanga di prodotti quale non si era mai vista. Oggi si produce molto più acciaio, si confeziona molto più vestiario e si costruiscono molte più strutture che in passato. Inoltre, si produce un’impressionante varietà di beni prima inimmaginabili, quali le lampadine, i cellulari, le cineprese e le lavastoviglie. Per la prima volta nella storia umana, l’offerta ha sopravanzato la domanda.
Ed è nato un problema totalmente nuovo: chi si comprerà tutta questa roba?
L’agricoltura tradizionale si fondava sui cicli naturali delle stagioni e dello sviluppo organico. Numerose società umane erano incapaci di fare precise misurazioni dei tempi, né se ne preoccupavano molto. Il mondo andava avanti senza orologi e tabelle di marcia, obbedendo semplicemente al movimento del Sole e ai cicli di crescita delle piante. Non c’era una giornata lavorativa sempre uguale, e tutte le cose che si facevano in una data stagione potevano cambiare drasticamente nella stagione successiva. La gente sapeva in quale posizione era il Sole e aspettava con apprensione la stagione delle piogge e il tempo di raccolto, ma non sapeva che ore fossero, e neppure si curava molto dell’anno in cui viveva. Se, persa la cognizione del tempo, un viaggiatore si fosse fermato in un villaggio medioevale e avesse chiesto a un passante: “In che anno siamo?”, questi sarebbe rimasto perplesso tanto dalla domanda quanto dal ridicolo abbigliamento dello straniero.
Al contrario del contadino o del calzolaio del medioevo, all’industria moderna importa poco del Sole e delle stagioni. Essa santifica la precisione e l’uniformità. In un laboratorio medioevale ogni calzolaio faceva tutta la scarpa, dalla suola alla fibbia. Se un calzolaio era in ritardo con il lavoro, ciò non bloccava gli altri. Invece, nella linea di assemblaggio di un’industria calzaturiera moderna, ogni operaio manovra una macchina che produce solo una piccola parte della scarpa, che passa poi a una macchina successiva. Se l’operaio addetto alla macchina numero 5 non si è svegliato in tempo, sono costrette a fermarsi tutte le altre macchine. Allo scopo di prevenire tali calamità, tutti quanti devono seguire una precisa tabella di marcia. Ogni operaio arriva al lavoro esattamente insieme altri.
Nell’intervallo della mensa, vanno a mangiare tutti insieme, che abbiano fame o meno. E tutti smettono e vanno a casa quando un fischio annuncia che il turno è finito, non quando hanno finito ciò che stanno fabbricando.
La Rivoluzione industriale fece della tabella di marcia e della catena di montaggio il modulo cui dovevano uniformarsi praticamente tutte le attività umane. Poco dopo che le fabbriche imposero al comportamento umano le loro tabelle dei tempi, anche le scuole adottarono orari precisi, seguite da ospedali, uffici governativi, negozi e così via. Persino in posti dove non c’erano catene di montaggio e macchine, l’orario divenne re. Se il turno in fabbrica finiva alle cinque pomeridiane, il pub locale faceva bene a essere già aperto alle cinque e due minuti.
Naturalmente c’è un nesso cruciale tra la diffusione del sistema degli orari e lo sviluppo dei trasporti pubblici. Se gli operai dovevano cominciare il loro turno di lavoro alle otto, il treno o autobus dovevano arrivare davanti ai cancelli della fabbrica alle sette e cinquantacinque. Anche pochi minuti di ritardo avrebbero rallentato la produzione e forse portato al licenziamento degli sventurati che erano arrivati tardi. Nel 1784 cominciò ad operare in Gran Bretagna un servizio di trasporto pubblico con la diligenza che pubblicò il suo orario. Questo specificava solo l’ora della partenza, non dell’arrivo. A quel tempo, ogni città o cittadina britannica aveva la sua ora locale, che poteva differire dall’ora di Londra anche di una trentina di minuti. Quando a Londra era mezzogiorno esatto, a Liverpool erano forse le dodici e venti e a Canterbury le undici e cinquanta. Non essendoci telefoni, né radio o televisione, né treni veloci, chi lo poteva sapere e a chi sarebbe importato mai? Il primo servizio ferroviario commerciale cominciò a operare tra Liverpool e Manchester nel 1830. Dieci anni dopo venne pubblicato il primo orario. I treni correvano molto più forte delle carrozze di posta, per cui le bizzarre differenze dell’ora locale nelle diverse città diventarono un serio impaccio. Nel 1847 le società ferroviarie britanniche organizzarono una riunione dei loro responsabili nella quale si convenne che da quel momento in poi gli orari dei treni sarebbero stati calcolati sull’ora dell’osservatorio di Greenwich e non sulle varie ore locali di Liverpool, Manchester o Glasgow. Un numero sempre maggiore di istituzioni seguirono l’esempio delle società ferroviarie. Infine, nel 1880, il governo britannico compì l’inusitato passo di fissare per legge che tutti gli orari della Gran Bretagna dovevano uniformarsi all’ora Greenwich. Per la prima volta nella storia, un paese adottava un’ora nazionale ufficiale e obbligava la sua popolazione a vivere secondo un orologio artificiale invece che su quello locale che seguiva i cicli del sorgere del Sole e del tramonto.
Questo esordio tutto sommato modesto crebbe fino a diventare una rete globale di orari, sincronizzati fino alle più piccole frazioni di secondo. Quando i mezzi di trasmissione fecero il loro debutto – prima la radio e poi la televisione –, entrarono in un mondo di orari di cui divennero i principali propugnatori. Tra le prime cose trasmesse dalle stazioni radio c’era il segnale orario, il cui bip consentiva a luoghi remoti e alle navi in mare di fissare i loro orologi. In seguito le stazioni radio adottarono l’abitudine di trasmettere le notizie ogni ora. Oggi la prima cosa che viene detta nella lettura del giornale radio – più importante anche dello scoppio di una guerra – è l’ora. Durante la seconda guerra mondiale, le notizie della BBC venivano trasmesse nell’Europa occupata dai nazisti. Ogni programma si apriva con il rintocco dal vivo del Big Ben che batteva l’ora – il magico suono della libertà. Alcuni ingegnosi fisici tedeschi scoprirono il modo per determinare le condizioni atmosferiche di Londra basandosi sulle minuscole differenze di tono nella trasmissione dei rintocchi. Questa informazione forniva un prezioso aiuto alla Luftwaffe.
Quando il servizio segreto britannico se ne accorse, i rintocchi dal vivo del famoso orologio furono rimpiazzati da una serie di rintocchi registrati.
Allo scopo di tenere sotto controllo tutti i tempi e orari necessari, diventarono onnipresenti gli orologi portatili, economici ma precisi. Nelle città assire, sassanidi o inca, ci sarà stata probabilmente solo qualche rara meridiana. Nelle città medioevali europee c’era di solito un solo orologio – una gigantesca macchina del tempo montata in cima all’alta torre nella piazza della città. Questi orologi erano notoriamente poco precisi, ma, poiché in giro non c’erano altri, non faceva alcuna differenza. Oggi, una singola famiglia benestante possiede in casa più misuratori del tempo di quanti ce ne fossero in un intero paese medioevale. Puoi vedere che ore sono dando un’occhiata all’orologio da polso, sbirciando il cellulare, scrutando al buio la sveglia sul comodino accanto al letto, guardando l’orologio appeso alla parete in cucina, dove anche il microonde segna l’ora, a meno che tu non abbia già fatto cadere l’occhio sulla televisione o il lettore DVD, o che con la coda dell’occhio non abbia potuto fare a meno di vedere ora-minuti-giorno nella barra dei comandi di del computer. Lo sforzo, oggi, bisogna farlo non per sapere che ore sono, ma per non sapere che ore sono.
Normalmente una persona consulta l’ora diverse decine di volte al giorno, poiché quasi tutto ciò che facciamo deve essere fatto in tempo. L’allarme della sveglia suona poniamo alle sette, per cinquanta secondi esatti scaldiamo nel microonde il croissant congelato, ci spazzoliamo i denti per tre minuti finché lo spazzolino elettrico non emette un bip, alle sette e quaranta saltiamo sul treno che ci porta al lavoro, corriamo sul tapis roulant della palestra finché il beeper segnala che è finita la mezz’ora, alle diciannove sediamo davanti al televisore a guardare il nostro show favorito, che verrà interrotto in momenti prestabiliti da annunci commerciali che costano mille dollari al secondo, e alla fine scarichiamo tutta la nostra angoscia sul terapeuta, che argina le nostre ciance entro i cinquanta minuti canonici della seduta terapeutica.
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