Per l’intenzione (intendere di dire), l’espressione “io intendo” equivale a io penso. Non appena dico io penso, implicitamente dico anche io mi penso aspetto sottaciuto da Cartesio, ma evidentissimo. Io mi penso, ma intendo pensarmi così come sono io, ossia intendo pensarmi come pensante, mentre mi penso come pensato. Intendo pensarmi come io e non come me (come oggetto o pensato), ma in quanto mi penso come oggetto (come me), non mi penso affatto, né mi dico, ma mi indico, mi oggettivizzo e nessuna oggettivazione coincide con il suo oggettivato. Nessuna analisi mi restituisce l’io pensante né la psicoanalisi, né una Recherche di tipo proustiano, cfr. Du côté de chez Swann. In quanto pensandomi come me, intendo pensarmi come io, sono io che penso e penso effettivamente, ma tutto ciò che oggettivandomi (indicandomi) trovo di volta in volta (processo temporale) è l’oggettivazione che è in me. L’oggettivazione che è in me è la radice del cosiddetto soggettivismo, inteso come isolarsi degli io singoli nella forma storica del mio io che diventa l’io che appartiene a me, ossia nella forma oggettivante che fa dell’io un posseduto alla stregua della cosa, ossia, più propriamente, alla stregua degli oggetti. La stessa espressione salvare la propria anima rischia di cadere nel senso “salvare il mio egoismo”.
Quotes per Giovanni Romano BacchinLa presenza è tale anche nell'eventuale pretesa della sua assenza, come intima all'essere dell'assente […]: essa presenzia anche il suo oblio, il suo rifiuto, la sua tentata negazione.
Nei confronti della presenza non v'è libertà, nel senso che non v'è possibilità di non dipenderne; […] essere liberi nei confronti della presenza è non-essere. Anypotheton
La profondità che l'uomo crede di trovare nel ripiegarsi e nel contemplarsi è il rischio dell'equivoco nel pensare umano: se l'uomo è, in quanto tende, non in sé stesso egli si trova, ma nel non trovarsi.
Non è la verità che si svela alla coscienza: è la coscienza che non ha veli per la verità.
L'antico tema della filosofia, unico attraverso il negato tempo che lo oscura ma non lo toglie, che Platone eredita consapevolmente dal tremendo Parmenide ed affida ad Aristotele è quello che esaspera in sé ogni particolare ricerca, quale sapere di non sapere; l'autentico problema umano che ne resta illuminato in tutta la sua estensione indivisa è non più la serie di problemi, adattate esistenze nel mondo esigente astuzia e scienza, ma l'essere se stesso problema, problema in cui l'uomo, già configurato come suo portatore indiscusso, si discute come da esso portato alla meraviglia di essere, che è meravigliosamente sapersi inessente.
Niente (il non-ente) resiste al pensare e lo limita, opponendovisi, così che esso resti al di qua del pensiero, oscuro ed impenetrabile. Ciò che limita il pensare è limite inerente al rappresentare, ma all'interno del rappresentare stesso, che è rappresentazione del proprio limite, limite rappresentato, non posto, ma presupposto.
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