Giuseppe Maria Crespi

Il problema del male sconcerta veramente solo qualche delicato, qualche scettico, indignato dal modo in cui il cristiano vi si adatta o lo elude. A costoro dunque si rivolgono in primo luogo le teodicee, tentativi di umanizzare Dio, acrobazie disperate che falliscono e si compromettono sul campo, smentite come sono a ogni istante dall’esperienza. Esse hanno un bel adoperarsi a persuaderli che la Provvidenza è giusta, non ci riescono; costoro la dichiarano sospetta, la incriminano e le chiedono spiegazioni, in nome di un’evidenza: quella del male, evidenza che un Maistre cercherà di negare. Tutto è male ci insegnava; tuttavia il male, si affretta ad aggiungere, si riconduce a una forza puramente negativa che nulla ha in comune con l’esistenza, a uno scisma dell’essere, a un accidente. Altri invece penseranno che, altrettanto costitutivo dell’essere quando il bene e altrettanto reale, esso è natura, ingrediente essenziale dell’esistenza e per nulla affatto fenomeno accessorio, e che i problemi che solleva divengono insolubili dal momento in cui ci si rifiuta di introdurlo, di situarlo nella composizione della sostanza divina. Come la malattia non è un’assenza di salute, ma una realtà positiva e durevole quanto la salute, così il male vale il bene, anzi lo supera in indistruttibilità e pienezza. Un principio buono e un principio cattivo coesistono e si mescolano in Dio, come coesistono e si mescolano nel mondo. L’idea della colpevolezza di Dio non è un’idea gratuita, ma necessaria e perfettamente compatibile con quella della sua onnipotenza: essa sola conferisce una certa intelligibilità allo svolgimento storico, a tutto ciò che esso contiene di mostruoso, di insensato e di derisorio. Attribuire all’autore del divenire la purezza e la bontà significa rinunciare a comprendere la maggior parte degli eventi e in particolare il più importante: la Creazione. Dio non poteva sottrarsi all’influenza del male, molla degli atti, agente indispensabile a chiunque, stanco di riposare in sé, aspiri a uscire da sé stesso per espandersi e avvilirsi nel tempo. Se il male, segreto del nostro dinamismo, si ritirasse dalla nostra vita, vegeteremmo in quella perfezione monotona del bene che, a giudicare dalla Genesi, esasperava l’Essere stesso. Lo scontro fra i due principi, buono e cattivo, si disputa a tutti i livelli dell’esistenza, eternità compresa. Siamo immersi nell’avventura della Creazione, avvenimento dei più terribili, senza fini morali e forse senza significato; e, benché l’idea e l’iniziativa risalgano a Dio, non potremmo volergliene, tanto è grande ai nostri occhi il suo prestigio di primo colpevole. Facendo di noi i suoi complici, ci associò a quell’immenso movimento di solidarietà nel male, che sostiene e rinsalda la confusione universale.

Crediti
 Emil Cioran
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Quotes per Emil Cioran

Smise di scrivere: non aveva più niente da nascondere.

Quando qualcosa non va, mi stendo sul letto, tiro le tende e aspetto.
Per la verità non aspetto niente, faccio il vuoto dentro di me, cerco di dimenticare tutto ciò che mi angustia, uomini o cose, cerco di dimenticare anche me, e resto disteso come se fossi in una bara in fondo all'universo. È questa la terapia della vacuità: rendersi assenti a tutto, immergersi nel più profondo di questa assenza e purificarvisi di tutte le brutture che offuscano e ingombrano la mente.  Quaderni

Fra tutti coloro che cercano, soltanto il mistico ha trovato, ma, prezzo di un favore così eccezionale, non potrà mai dire che cosa, benché egli abbia la certezza che conferisce unicamente il sapere incomunicabile (il vero sapere insomma). La strada sulla quale egli vi inviterà a seguirlo sbocca su una vacuità senza uguali ma, ed è questa la meraviglia, una vacuità che vi colma, poiché si sostituisce a tutti gli universi aboliti. Ciò di cui si tratta in questo caso è un'impresa, la più radicale che sia stata tentata, per ancorarsi in qualcosa di più puro dell'essere.  Fascinazione della cenere

Io credo che un libro debba essere davvero una ferita, che debba cambiare in qualche modo la vita del lettore. Il mio intento, quando scrivo un libro, è di svegliare qualcuno, di fustigarlo. Poiché i libri che ho scritto sono nati dai miei malesseri, per non dire dalle mie sofferenze, è proprio questo che devono trasmettere in qualche maniera al lettore. No, non mi piacciono i libri che si leggono come si legge un giornale: un libro deve sconvolgere tutto, rimettere tutto in discussione.

Devo fabbricarmi un sorriso, munirmene, mettermi sotto la sua protezione, frapporre qualcosa tra il mondo e me, camuffare le mie ferite, imparare, insomma, ad usare la maschera.