Rivoluzione. Chissà quante volte ognuno di noi ha sentito – o anche solo immaginato – questo concetto così denso, permeato di fascino. Come un miraggio lontano, sempre da inseguire. In pochi però, ne sono convinto, sono riusciti a vivere pienamente una rivoluzione. Esserci dentro, con tutta la differenza che fa, è un privilegio raro, grandissimo e prezioso. Solitamente tutto nasce da un gruppo, da un insieme di esseri umani che si sentono uguali tra loro e diversi da altri, occhi che si guardano e pelle che si riconosce – che vale più di ogni altro legame – uniti dal peso condiviso di un’ingiustizia apparentemente invincibile. Fino a quando si arriva al punto di non ritorno, in cui non è più possibile abortire l’idea del cambiamento: qualcosa di nuovo deve per forza accadere, perché tutti sanno che è giusto così. Tutt’a un tratto, effettivamente, accade davvero, insieme alle lacrime e alla malinconia, che lasciano il posto allo stupore e basta. Uno scoppio improvviso entra nella storia per sempre, dalle porte gigantesche della sociologia o della politica. La rivoluzione è servita, profuma già di leggenda, scorre nel sangue e rimbomba nelle parole di un leader. La cosa più difficile da credere è che un rovesciamento così grande, totale, potesse innescarsi dalle gambe forti e dai riccioli scapigliati di un calciatore piccolino. Eppure, ve lo posso assicurare, così andò.
Se non sono felice dentro, non riesco ad essere un campione
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