Chiedo avvicinandomi a una ragazzina che si sta sistemando una scarpa. Do you speak english? (Parli inglese?) Le chiedo. I speak five languages (Parlo cinque lingue) dice graziosamente e sfugge a un gruppo di altre bambine che evidentemente la stanno inseguendo. Ma come è possibile? Chiedo al mio amico Kirghiso, Ha frequentato la Casa delle lingue, dove proiettano in dieci diverse lingue i film che piacciono ai ragazzi di ogni età. Comunque tutti i nostri ragazzi parlano almeno quattro lingue. Le parlano perché nessuno gliele ha insegnate, proprio come la lingua madre. Mi accompagna ai margini del parco, spiegandomi che il meccanismo dell’imparare è permanente e più rapido di quello collegato allo studio, che, essendo quasi sempre obbligatorio, non penetra a fondo nella memoria conoscitiva e svanisce rapidamente con il trascorrere del tempo. Lo studio impone l’apprendimento e quindi non nasce da un interesse o da un desiderio, ma da un obbligo. Le nozioni che si apprendono con lo studio sono simili a fiori recisi che vengono immessi nel vaso della memoria e, pur rinnovandosi, le parole prima o poi appassiscono. Ciò che si impara invece, nasce dal desiderio di sapere ed è simile a un seme messo nella terra che poco a poco cresce, fruttifica, vive e si rinnova. Per questo, imparare è un piacere raro, mentre studiare è spesso fonte di oppressione, inquietudini e malattie. Si direbbe che lo studio abbia come scopo di creare negli esseri umani una repulsione definitiva per ogni forma di sapere.
Il seme messo in terra
Crediti
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