Tra le peculiarità rilevanti dei nostri sensi c’è il fatto che non possono tradursi l’uno nell’altro — nessun suono può essere visto, nessuna immagine udita, e così via —, benché li colleghi il senso comune, che per questa sola ragione è il più ampio. A questo proposito si ricorderà la definizione di Tommaso d’Aquino: «la facoltà unica [che] si estende a tutti gli oggetti dei cinque sensi», In corrispondenza o in conformità col senso comune, il linguaggio denomina un oggetto con il suo nome comune: tale comunanza non solo costituisce il fattore determinante della comunicazione intersoggettiva — lo stesso oggetto è percepito da persone differenti ed è loro comune — ma serve parimenti a identificare un dato che appare in modo completamente diverso a ognuno dei cinque sensi: duro o morbido al tatto, dolce o amaro al gusto, scuro o luminoso allo sguardo, risuonante in diversi toni all’orecchio. Nessuna di tali sensazioni può essere descritta adeguatamente con le parole. E i sensi della conoscenza, vista e udito, non hanno con le parole un’affinità tanto più stretta dei sensi inferiori. Qualcosa odora come una rosa, ha il sapore di una zuppa di piselli, è soffice come il velluto. Più in là non si può andare: «una rosa è una rosa è una rosa».
Sensi intraducibili
Crediti
Quotes per Hannah Arendt
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