Il Discorso sulla servitù volontaria è una di quelle opere dallo strano destino: ignorata per lunghi periodi improvvisamente riesce ad accendere non solo dispute fra storici ma anche passioni politiche, per poi ricadere nell’ombra della dimenticanza. Ogni epoca se n’è così appropriata l’interpretazione autentica o la lettura più acuta portandola all’interno delle misure usate per giudicare le lotte del momento. Non si tratta qui dell’ovvia constatazione che ogni rilettura o riscoperta è legata all’interesse fondamentale di colui che muove alla ricerca del significato di una determinata scrittura: ogni testo in una certa misura acquista rilievo all’interno di una precomprensione, di un pre-testo che ne costituisce l’orizzonte. Il fatto è che molte volte laddove il problema posto non si chiude in una soluzione ma viene lasciato come interrogativo, come questione fondamentale aperta (ed è appunto il caso del Discorso), il lettore non riesce a sopportare questo stato di sospensione e riduce il testo ad un pretesto, senza alcun rispetto per l’origine e la struttura interna che dà coerenza allo scritto. Nel caso del Discorso sulla servitù volontaria inoltre questo gioco di reinterpretazioni si complica per il fatto che vi è incertezza già sull’origine e sulla struttura dell’opera: essa ci appare trasversalmente, emergente in testi di altra natura, quasi fosse stata trafugata di nascosto oppure inventata per l’occasione ma in modo da rimandare ad un’aura di mistero L’ipotesi che il Contr’un fosse stato scritto da Montaigne sotto il nome di La Boétie è stata sostenuta nel 1906 da Armaingaud in La Boétie, Montaigne et le Contr’un, Revue politique et parlamentaire, ma si è rivelata del tutto infondata..
La figura dominante in tutta la vicenda non è l’autore, Etienne De La Boétie, ma il suo grande amico, Michel De Montaigne. Prima di morire La Boétie affida a Montaigne tutti i suoi scritti che vengono poi pubblicati nel 1571, comprese alcune traduzioni di testi classici compiute dall’autore e alcune sue poesie. Non compare però il Discorso sulla servitù volontaria; Montaigne pensa di dare rilievo a questo scritto inserendolo come pezzo centrale nei suoi Essais. Ma allorché nel 1580 appaiono i primi due libri degli Essais al posto del Discorso troviamo ventinove sonetti dell’amico, che rimarranno ancora nell’edizione definitiva del 1588. Era successo infatti quel che oggi chiameremmo un tipico caso di pirateria editoriale: il testo inedito era venuto in mano ad alcuni ugonotti che nella loro feroce polemica contro la monarchia francese non esitarono ad inserire alcune parti del Discorso, dove si descrive lo strapotere del tiranno e la condizione miserevole dei sudditi, in un loro pamphlet anonimo: Le Reveille-matin des François et des leurs voisins, fatto circolare nel 1574. Due anni più tardi il testo integrale veniva pubblicato in Mesmoires des Estats de France sous Charles le Neuviesme con il titolo Contr’un, all’interno di una raccolta di vari scritti anti-monarchici a cura del calvinista ginevrino Goulard.
Il destino dell’opera di La Boétie è ormai segnato: il Discorso diventa uno dei tanti pamphlets politici d’ispirazione anti-monarchica e «democratica» ante-litteram del Cinquecento francese. Pubblicato negli anni che vedono l’acuirsi delle guerre di religione in Francia dopo il massacro degli ugonotti nella notte di S. Bartolomeo, il Contr’un viene letto come un trattato filosofico-giuridico in cui si teorizza la giusta resistenza al re. Allo stesso modo alcuni anni più tardi, quando la fazione ugonotta dei nobili capeggiata da Enrico di Borbone riesce ad impossessarsi della monarchia, il libretto di La Boétie può essere usato dai cattolici della Lega santa nella loro lotta contro il re ed è certamente presente ai vari giuristi che dopo l’assassinio di Enrico Terzo sostengono il diritto di uccidere il sovrano che si è messo contro Dio. E del resto non è proprio nella Lega cattolica che il movimento popolare dei contadini in Francia, sul finire del sedicesimo secolo, pone le sue speranze di cambiamento e la sua volontà di ribellione? Cfr. in proposito quanto scrive Boris Porchnev nel testo, ormai divenuto un classico in materia, sulle rivolte popolari in Francia: B. Porchnev, Les soulèvements populaires en France au dixhuitième siècle, Flammarion, Paris 1972, cap. 1 pagine 49-55 Così La Boétie può diventare il teorico delle prime rivoluzioni contro lo Stato nell’era moderna, bloccate tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento per l’intervento del dispotismo e dell’assolutismo della monarchia, ma riemerse nel 1789: La Boétie insomma come uno dei primi avvocati della causa del popolo, eroico antesignano della rivoluzione francese Questo giudizio si può ritrovare letteralmente nella prefazione al Contr’un scritta da Auguste Vermorel per l’edizione del 1863, ed. Dubuisson, Paris..
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