Anche ammettendo, sulla linea di Montaigne, che lo scritto originario del Discorso sia da collocare verso il 1546 o 1548, la stesura definitiva, come si è già avuto modo di notare, non può essere anteriore al 1552.
Sono gli anni in cui La Boétie studia diritto ad Orléans. «È noto quel che erano allora gli studi di diritto: una disamina dotta e vivace dei problemi essenziali impliciti nei testi antichi e nelle ordinanze del tempo, un insegnamento filosofico nel pieno senso della parola, in cui venivano contemporaneamente sottoposti a critica il fondamento delle leggi e il valore dell’indagine razionale» P. Mesnard in «La Boétie critico della tirannide» in L’essor de la philosophie politique au seizième siècle, J. Vrin, Paris 1951; tr. it. Il pensiero politico rinascimentale, Laterza, Bari, 1963, vol. 2, pagine 4-5.. Inoltre La Boétie ebbe la fortuna di avere come maestro Anne du Bourg, che doveva poi diventare ministro del regno di Francia, il quale lo educò non solo al gusto dell’eloquenza erudita ma anche alla profondità dell’analisi. Secondo la testimonianza di uno studente di quegli stessi anni L. Daneau, De iurisdictione iudicum, citato da Mesnard, ibidem. i giovani costituirono una specie di cenacolo dove si discuteva di diritto, ma anche di letteratura, di filosofia, e soprattutto di teologia e di politica.
Riferimenti e discussioni che possiamo ritrovare nel Discorso, e che ne spiegano quei che a prima vista sembrerebbero due aspetti contradditori: il carattere accademico dello scritto e nello stesso tempo la passione irruente con la quale vengono affrontate le questioni. Il manoscritto passò così di mano in mano a giuristi e letterati, sia cattolici che protestanti, fino ad arrivare anche ad un parlamentare di Bordeaux, Montaigne. La Boétie visse intensamente la sua ricerca di verità e di libertà in un clima di grande apertura mentale e, cosa rara in quei tempi, di grandissima tolleranza: Anne du Bourg diede soluzione ai suoi problemi filosofici e teologici passando alla Riforma e così pure alcuni suoi studenti. La Boétie rimase cattolico convinto, ma sulla linea dei più grandi umanisti sognò sempre una riconciliazione universale fra gli uomini. A questo proposito basterebbe leggere l’altro suo scritto che la storia ci ha lasciato: il Mémoire touchant l’Edit du Janvier 1562 Riportato nella «Collection des chefs-d’oeuvre méconnus», Bossard, Paris 1922.. Si tratta di un commento all’editto della reggente Caterina dÈ Medici in cui si tentava di raggiungere un compromesso con gli ugonotti: veniva accordata ai calvinisti francesi la libertà di assemblea fuori dalle mura cittadine e il libero culto nelle case private. L’editto, che rifiutava l’autorizzazione agli ugonotti per nuove chiese ma nello stesso tempo sospendeva tutte le misure penali precedenti contro di loro, fu ben accolto dai riformati. Il commento di La Boétie è molto favorevole e sottolinea a più riprese la necessità della tolleranza. Ma mentre per Caterina dÈ Medici la tolleranza era un metodo politico per poter meglio governare sfruttando le divisioni interne (secondo l’antico motto «divide et impera»), La Boétie formula con passione il suo amore per la libertà e ritenendo che sia i cattolici come i riformati desiderino sinceramente ricercare la verità, si sforza di proporre una conciliazione delle antinomie e dei punti divergenti, quasi come un nuovo Pico della Mirandola.
È noto come la posizione tollerante ma nello stesso tempo appassionata alla verità, propria di La Boétie come di altri umanisti cattolici, sia stata perdente. La Boétie sembra intuire che i contrasti fra cattolici e ugonotti, nel caso di una loro degenerazione in guerra civile, come avverrà di fatto pochi anni dopo la sua morte, conducono alla negazione della libertà per tutti. Questo magistrato, così stimato dalla Corte per la sua moderazione e il suo senso di equilibrio, sembra nutrire preoccupazione per l’involuzione della struttura statale avviata ormai verso un sempre più rigido accentramento che diverrà poi assolutismo.
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