Siamo tutti consumatoriIl consumismo ha lavorato sodo, con l’aiuto della psicologia popolare (Fallo e basta!) per convincere la gente che l’indulgenza fa bene, mentre la frugalità è una forma di masochismo.
La cosa ha avuto successo. Siamo tutti consumatori. Compriamo innumerevoli prodotti di cui non abbiamo veramente bisogno e che, fino a ieri, non sapevamo neppure che esistessero. I fabbricanti progettano deliberatamente prodotti che non devono essere di lunga durata, e inventano nuovi e inutili modelli di prodotti che andavano benissimo ma che bisogna per forza comprare se si vuole essere “in“. Lo shopping è diventato uno dei passatempi favoriti, e i beni di consumo sono diventati mediatori essenziali nei rapporti tra i membri della famiglia, i coniugi e gli amici. Feste religiose come il Natale sono diventate un festival dello shopping. Negli Stati Uniti persino il Memorial Day che in origine era una ricorrenza solenne per ricordare i soldati caduti – è ora occasione di saldi speciali. Molte persone scelgono questo giorno per andare a far spese, forse per dimostrare che i difensori della libertà non sono morti invano.
La fioritura dell’etica consumistica si manifesta con particolare evidenza nel mercato alimentare. Le tradizionali società agricole vivevano sotto la spada di Damocle della fame. Nella società opulenta di oggi uno dei principali problemi della salute pubblica è l’obesità, che colpisce i poveri (che si riempiono di hamburger e pizza) anche più seriamente dei ricchi (che mangiano insalate e frullati di frutta). Ogni anno la popolazione degli Stati Uniti spende più soldi in diete di quanto basterebbero per alimentare tutta la gente affamata nel resto del mondo. L’obesità rappresenta per il consumismo una doppia vittoria. Invece di mangiare poco, cosa che porterebbe alla contrazione economica, la gente mangia troppo, per cui compra anche i prodotti per la dieta, contribuendo doppiamente alla crescita economica.
Come possiamo conciliare l’etica consumistica con l’etica capitalistica dell’uomo d’affari, secondo la quale i profitti non dovrebbero mai essere sprecati ma reinvestiti nella produzione? È semplice. Come nelle epoche precedenti, c’è oggi una divisione del lavoro tra le élite e le masse. Nell’Europa medioevale gli aristocratici spendevano con noncuranza i loro soldi in lussi stravaganti, mentre i contadini vivevano frugalmente stando attenti al centesimo. Oggi lo schema si è rovesciato. I ricchi si prendono gran cura di gestire bene i propri beni e investimenti, mentre i meno abbienti fanno debiti per comprare macchine e televisori di cui non hanno veramente bisogno.
L’etica capitalistica e quella consumistica sono due facce della stessa moneta, una fusione dei due comandamenti. Il comandamento supremo del ricco è Investi!. Il comandamento supremo di tutti noi è Compra!.
L’etica capitalistico-consumistica è rivoluzionaria sotto un altro aspetto. Quasi tutti i sistemi etici presentavano agli uomini un patto piuttosto oneroso. Promettevano il paradiso, ma solo se avessero coltivato la compassione e la tolleranza, vinto la bramosia e l’ira, contenuto i propri interessi egoistici. Per i più era una lotta dura. La storia dell’etica è una triste rassegna di splendidi ideali cui nessuno è riuscito a tener fede. La maggior parte dei cristiani non ha imitato Cristo, la maggior parte dei buddhisti non ha seguito l’esempio di Buddha e la maggior parte dei confuciani avrebbero fatto venire uno scatto di nervi a Confucio.
Per contrasto, quasi tutti oggi seguono con successo l’ideale capitalistico-consumistico. La nuova etica promette il paradiso a condizione che i ricchi restino avidi e spendano il loro tempo a fare ancora più soldi, e che le masse diano libero sfogo alle loro voglie e passioni – e comprino di più, sempre di più. Questa è la prima religione nella storia i cui seguaci fanno effettivamente quello che viene chiesto loro di fare. Come facciamo però a sapere che in cambio avremo il paradiso?
L’abbiamo visto in televisione.

Crediti
 Yuval Noah Harari
 Breve storia dell'umanità
  Da animali a dèi
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