«Be’, immagina per un attimo, che io ammetta l’esistenza di Dio», scoppiò a ridere Ivan, «sarebbe una sorpresa per te, non è vero?»
«Naturalmente sì, sempre che tu non stia scherzando».
«Vedi, caro, c’era un vecchio peccatore del diciottesimo secolo, il quale dichiarò che se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo, s’il n’existait pas Dieu il faudrait l’inventer. E l’uomo ha davvero inventato Dio. E ciò che è strano, ciò che dovrebbe destare stupore, non è che Dio possa esistere veramente, ma che questa idea, l’idea della necessità di Dio, abbia potuto infiltrarsi nella mente di un animale così selvaggio e cattivo come l’uomo – a tal punto è santa, commovente e saggia questa idea, a tal punto essa fa onore all’uomo.
Per quanto riguarda me, ho smesso da un pezzo di pormi la domanda se è stato Dio a creare l’uomo o l’uomo a creare Dio. E non starò qui a prendere in esame tutti gli assiomi che a questo proposito hanno formulato i ragazzi russi di oggi, tutti per altro tratti da ipotesi europee; perché ciò che per gli altri è un’ipotesi, per il ragazzo russo diventa subito un assioma, e non soltanto per i ragazzi, ma anche forse per alcuni loro professori, dal momento che i professori russi sono molto spesso dei ragazzi pure loro. E quindi ometterò tutte le ipotesi.
Qual è dunque il compito che abbiamo dinanzi, io e te? Io sto cercando di spiegarti, il più rapidamente possibile, la mia natura, cioè che uomo sono, in che cosa credo, che cosa spero, è questo, non è vero?
E quindi ti dico che accetto Dio semplicemente, direttamente.
Ma ecco, quello che dobbiamo notare: se Dio esiste e se è stato davvero lui a creare la terra, allora l’ha creata, come sappiamo tutti, secondo la geometria di Euclide, e ha creato la mente umana con la concezione delle sole tre dimensioni spaziali. Eppure ci sono stati, e ci sono ancora, matematici e filosofi, e anche fra i più illustri, che mettono in dubbio che il mondo, o per dirla in termini più ampi, l’universo sia stato creato unicamente in conformità alla geometria euclidea; osano persino ipotizzare che due linee parallele, che secondo la geometria euclidea non possono incontrarsi mai, possano in realtà incontrarsi in qualche punto dell’infinito.
Io, fratellino caro, sono giunto alla conclusione che, se non riesco a capire nemmeno questo, come posso aspettarmi di comprendere l’idea di Dio? Riconosco umilmente di non avere le capacità necessarie per risolvere tali questioni, ho una mente euclidea, terrena, come faccio dunque a risolvere problemi che non sono di questo mondo? E consiglio anche a te di non pensarci mai, caro Alëša, soprattutto riguardo all’esistenza di Dio. Tutte queste domande sono del tutto fuori luogo per una mente creata con la concezione di uno spazio puramente tridimensionale.
E quindi accetto Dio, e ne sono pure contento e, quel che più conta, accetto la sua saggezza, il suo fine, assolutamente imperscrutabile per la nostra mente; credo nell’ordine, nel significato della vita, credo nell’armonia eterna nella quale un giorno, dicono, ci dovremo fonder tutti, credo nel Verbo al quale aspira l’universo intero, il Verbo che era “presso Dio” e che era Dio e così via all’infinito. Sono state formulate molte espressioni a riguardo.
Pare che io sia sulla buona strada, vero?
Eppure, pensa un po’, alla fine dei conti io non accetto affatto questo mondo creato da Dio, non lo accetto e anche se so che esso esiste, non lo approvo per niente. Non è che io non creda a Dio, cerca di capirmi, è il mondo che egli ha creato, il mondo di Dio che io non accetto e non posso accettare.
Lasciami spiegare meglio: io credo, come un bambino, che le sofferenze saranno lenite e ricompensate, che tutta l’umiliante assurdità delle contraddizioni umane svanirà come un miraggio pietoso, come il prodotto deplorevole di una mente umana euclidea impotente e infinitamente piccolo, come l’atomo; che in ultimo, alla fine del mondo, nel momento dell’armonia eterna, apparirà qualcosa di così prezioso che sarà sufficiente per tutti i cuori, di conforto a tutti i risentimenti, di riscatto per tutti i misfatti degli uomini, per tutto il sangue da essi versato, che renderà possibile non solo a tutti di perdonare tutto, ma anche di giustificare tutto quello che è accaduto agli uomini – sì, che tutto questo accada e si riveli, ma io non lo accetto e non lo voglio accettare! Che si incontrino pure le parallele, anche davanti ai miei occhi: vedrò e dirò che si sono incontrate, eppure non lo accetterò.
Ecco qual è il mio essere, Alëša, ecco la mia tesi. Ti ho parlato sinceramente. Ho cominciato apposta questa nostra conversazione nella maniera più stupida che si potesse immaginare, ma questo ha condotto alla mia confessione ed era questo che tu volevi. Tu non volevi sapere se credo o no in Dio, volevi solo scoprire di che vive il fratello che tu ami. Eccoti servito».
Ivan concluse questa sua lunga tirata con un fervore inatteso e del tutto particolare.
«E perché hai iniziato nella maniera più stupida che si potesse immaginare?», domandò Alëša, guardandolo pensieroso.
«Prima di tutto perché sono russo: le conversazioni dei russi su questi argomenti vengono sempre condotte nella maniera più stupida che si possa immaginare. In secondo luogo, più stupido sei, più sei vicino alla realtà. Quanto più stupido sei, più sei chiaro. La stupidità è breve e ingenua, mentre l’intelligenza si perde intorno all’argomento e si nasconde. L’intelletto è vile, mentre la stupidità è schietta e sincera. Ho condotto la discussione sulla mia disperazione e quanto più stupidamente l’ho presentata tanto meglio per me».
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