È questa, più o meno, la sintesi fondamentale del mito. Ho tralasciato i particolari più scabrosi, come l’amputazione di Horos e la decapitazione di Iside, e credo di non dovertene certo spiegare il perché. Se gli Egiziani attribuiscono realtà a questi fatti e ne parlano come di azioni veramente compiute o subite da una natura beata e incorruttibile, quella cioè che noi riferiamo unanimemente al concetto di divinità, allora davvero, seguendo le parole di Eschilo, bisogna sputare e pulirsi la bocca. So bene infatti che anche tu disprezzi quelli che hanno degli dèi un’opinione così assurda e primitiva. Penso però che tu capisca da sola come tali concezioni non somiglino affatto a quelle fantastiche invenzioni, tanto vuote e inconsistenti, che poeti e scrittori, producendo da se stessi, proprio come i ragni, delle novità prive di sostanza, continuano a tessere e ad allungare: perché all’interno dei miti
è racchiuso invece un tentativo di spiegare i propri dubbi e le proprie esperienze. I fisici dicono che l’arcobaleno è dovuto a un fenomeno di riflessione del sole, e che i suoi colori si rivelano solo se noi lo osserviamo contro uno sfondo nuvoloso: così per noi mortali il mito non è altro che il riflesso di una realtà trascendente, che obbliga la nostra intelligenza a rivolgersi verso altri oggetti. È questo che vuol significare il riflesso triste e luttuoso che caratterizza i sacrifici egiziani, e anche l’architettura stessa dei templi, che ora si alzano verso il cielo in passaggi aperti e luminosi, ora invece si inabissano in sacrestie nascoste e piene di tenebra, simili a tane o a celle funerarie.
Sintesi fondamentale del mito
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