«Il problema comunque non è solo l’impreparazione dei medici» interviene, con la sua voce sempre rauca, il signor Colnaghi, «ma la loro incompetenza».
«Che differenza c’è?» chiede con stupore ostentato il pediatra.
«Che se uno conosce i propri limiti ricorre a uno specialista» risponde il signor Colnaghi, cercando con gli occhi il consenso della dottoressa. «Ma se non li conosce fa la diagnosi lui. Capisce le conseguenze?»
La dottoressa incalza:
«Qui arrivano bambini di quattro, cinque anni, alcuni di più. Si è perso tempo prezioso, bastava uno specialista».
Il medico la ascolta senza rispondere, con una inespressività professionale.
«Lei che cosa ne dice, professor Frigerio?» la dottoressa si volta verso di me. «È un problema di cultura?»
«Credo proprio di sì» rispondo. Mi sento un alunno chiamato a convalidare quello che dice il professore. È un copione che mi imbarazza, soprattutto con l’ospite. Siamo sempre chiamati a recitare una parte che non è la nostra. «Io credo che la cultura sia il presentimento di quello che non si sa».
Sono diventato, senza volerlo, un piccolo Socrate (ci capita quando parliamo in pubblico). Tento disperatamente una svolta:
«Un medico deve essere prudente perché non può sbagliare. Chieda l’aiuto di altri, faccia la parte dell’ignorante. Non può compromettere una persona per tutta la vita!»
«Ritorniamo al punto di partenza» il medico incrocia le braccia. «Lei non sbaglia mai?»
«Ma il mio mestiere è un altro!» reagisco concitato.
«Se sbaglio una virgola se ne accorge uno su dieci. E non succede niente. Ma se si sbaglia con un bambino, diventa un cerebroleso! Io non faccio il medico. E non faccio neanche il pilota di un jet».
«Che cosa c’entra un jet?» mi chiede càustico.
«Il pilota di un jet non si distrae, almeno quando atterra, altrimenti non sopravvivrebbero né lui né i passeggeri».
«E lei vuole paragonare un bambino a un jet?»
«No, io paragono i due piloti» rispondo. I battiti del cuore stanno accelerando, le vene pulsano. È evidente che per lui un bambino è meno importante di un jet. «Perché ha scelto di fare il medico? Chi aiuta un bambino a nascere sta guidando un jet».
Il medico ha abbassato la testa, ha percepito la mia emozione. Capisce che non è il momento di contraddirmi. È così che molti risolvono i problemi.
Cerco di controllarmi:
«Un bambino è più importante di un jet».
«Sono d’accordo» acconsente lui paziente, guardandomi sinceramente stupefatto.
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