Questa sospensione indotta dal coronavirus ci mette in uno stato di stand by abbastanza disagevole e non solo perché le attività vengono interrotte. Infatti le attività non sono solo produzione, lavoro, profitto, cose tutte legittime. Noi riusciamo a vivere rassicurati nelle nostre abitudini quotidiane, e quando queste si interrompono cominciamo a chiederci chi siamo.
Questo deve essere un momento di interiorizzazione. Se uno non scappa da sé come dal peggior nemico può essere una buona occasione per cominciare a riflettere sulla propria vita. Sarebbe il caso che ciascuno, proprio in questa dimensione stagnante, cominciasse a pensare se la sua vita è stata quella che avrebbe voluto oppure se è delegata agli apparati che ti danno, oltre allo stipendio, anche l’identità e tutto il resto.
La mia impressione è invece che la gente abbia paura di indagare sé stessa e questo lo possiamo dedurre anche dal fatto che, se è vero che il sabato e la domenica potrei usarli per leggere un libro, per vedere altri orizzonti, per assistere ad altri scenari, per capire quali sono le forme autentiche di relazione e di sentimento, in realtà non va così. Il week end è una fuga all’esterno, non un viaggio all’interno. Bisognerebbe cominciare a farlo da piccoli, insegnare ai bambini a capire e gustare chi si è, cosa si fa, e che cosa si vuole fare domani nel mondo. Perché vivere a propria insaputa è la cosa peggiore che possa accadere nella propria esistenza.
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