Uscirono insieme, Quinto e Ampelio. Camminavano in fretta, discutendo, per le note vie, come non succedeva loro da anni, e pareva loro d’esserci sempre rimasti, d’essere due fratelli del luogo molto indaffarati, inseriti nella vita economica della città, con tutta una rete d’interessi che faceva capo a loro, gente pratica, brusca, che bada al sodo. Stavano recitando e lo sapevano: erano tutt’altre persone da quelle che pareva loro d’essere in quel momento; prima di sera sarebbero ripiombati in una scettica abulia e sarebbero ripartiti, a rinchiudersi l’uno nel laboratorio l’altro nelle polemiche degli intellettuali, come le uniche cose al mondo che contassero. Eppure in quel momento sembrava loro possibile anche essere così, e che sarebbe stato molto bello, sarebbero stati due fratelli uniti e solidali, e tante cose difficili sarebbero state facili, e avrebbero fatto grandi cose, non sapevano bene quali. Per esempio, adesso andavano a cercare Caisotti per porgli il problema, per tastare il terreno, per fare un sondaggio, per chiedergli non sapevano ancora bene cosa, insomma: non c’era da fare le cose tanto complicate, adesso sentivano un po’ Caisotti poi avrebbero deciso sul dà farsi.
Stavano recitando e lo sapevano
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