Ma è probabile che quasi tutti, ad un esame rigoroso, si sentano talmente disgregati dallo spirito critico-storico della nostra cultura, da concepire come credibile l’esistenza passata del mito forse solo per via erudita, mediante la mediazione di astrazioni. Senza mito, però ogni civiltà perde la sua sana e creativa forza naturale: solamente un orizzonte attorniato da miti può raccogliere in unità un intero movimento di civiltà. […]
Si metta ora accanto a ciò l’uomo astratto, non guidato da miti, l’educazione astratta, il costume astratto, il diritto astratto, lo Stato astratto; s’immagini il vagare senza regole della fantasia artistica, non frenato da alcun mito patrio; ci si rappresenti una cultura senza alcuna sede originaria fissa e sacra, condannata a consumare tutte le possibilità e a nutrirsi miseramente di tutte le culture – questo è il presente, il risultato di quel socratismo teso all’annientamento del mito. E ora l’uomo privo di miti sta in mezzo a tutti i passati, eternamente affamato, e scavando e frugando cerca radici, anche a costo di rintracciarle nelle antichità più remote. Cosa esprime l’enorme bisogno storico dell’insoddisfatta cultura moderna, il sovrapporsi di innumerevoli altre culture, la divorante volontà di conoscere, se non la perdita del mito, la perdita della patria mitica, del mitico grembo materno? Ci si chiede se il movimento febbrile e così perturbante di questa cultura sia qualcosa di diverso dall’avidità di un uomo affamato che cerca di afferrare e di ghermire cibo – e chi vorrebbe dare ancora qualcosa ad una tale cultura, che da tutto ciò che ingoia non è mai saziata, e al cui contatto il nutrimento più sostanzioso e salubre suole mutarsi in storia e critica.
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