Io e Anna Maria ce semo visti il film Straziami ma di baci saziami. Stemo ancora ridenne e mo ve lo raccontemo. Anna è marchiggiana doc (o marchisciana) e io ce sto a provà, ché a me quella lingua me piace tanto.
Eccoli dunque, che carini che so, e pure ingenui però, fanno na tenerezza… e certi giri ce stanno pure, come l’ostacolo che non po’ mancà. Prima er padre de lei se oppone, ma la divina provvidenza che ce sta a fa? Appunto, e siccome dio vede e provvede, quando se deve ripiglià sti due giovani che pare proprio che se vogliono suicidà, se riprende er… no siamo nelle Marche e se dice “lo” vecchio, ecco, ma non è che poi tutto po’ andà liscio come l’olio, e come se dice lo diavolo ce mette lo zampino, certo che se tirava via questo invece del vecchio, cioè tutto lo diavolo eh, no solo lo zampino come al solito, ma se sa, quei due glie piace giocà a rimpiattino co noi, e i tifosi de parte se ne accorgono mica, e procedono, pe modo de dì, verso un altro ostacolo. Eh sì, quello delle malelingue, ce n’è sempre una, che invaghita de Marino, glie fa crede che la sua Marisa mica se l’è tanto pura, qui mi sa so sforato co lo dialetto, facciamo che sia della malalingua via! E se torna a Roma, oh yea, questo deve esse no strascico de Closer, perché Marisa sconvolta qua se trasferisce, e così Marino dietro pe tornà da do era partito. E ne passa de tempo prima che i due se rincontrano, e quanno succede, l’amore se riaccenne sì, ma che te pareva, ecco nartro ostacolo, un certo Umberto sarto sordomuto che Marisa s’è sposato. Staorda però, perché è proprio vero che chi te toglie da l’impicci te c’ha messo, o pe nun da la soddisfazione a due creature umane de risolvelo da loro, perché pure il libero arbitrio, qui ar contrario, se dice ma nun se da, e se fa pe niente, dunque e pe questo a venì, decisi gli amanti a toglie de mezzo Umberto, il cosiddetto terzo incomodo, che poi fa comodo, da qui i sensi de corpa che poi so de indecisiò, mettono in atto de fa saltà la cucina e co questa pe aria il povero sarto, ma questo che te fa? invece de morì s’è preso solo un forte shock e non te racquista udito e parola? perdendo de diritto la moglie però eh sì, perché mo’ cià da scioglie er voto, come desiderio della madre, e se deve da fa frate cappuccino, e così… glie tocca pure da benedì “er” e “lo” matrimonio de Marino e Marisa.
Marino (ntelligente, struito, che trovò di collocare il suo lavoro a Sacrofante) a un scerto punto va a cercà la fidanzata fuggita a Roma, dopo averla ‘ngiustamente accusata di essere stata pe l’alberghi con Scortichini Guido Komarovskij (che se tu sei il Gigante di Rodi io non so il nanetto de Biancaneve; ‘n campana). Fa il cameriere ma finisce in disgrazia e si butta nel Tevere. Prima però cerca conforto nel Telefono Amico:
– Psichiatra: Chi è Marisa?
– Marino: Eh… è la mia fid…
– Psichiatra: No, Marisa è la mamma!
– Marino: La mamma?
– Psichiatra: Il bisogno della mamma che lei probabilmente avrà perduto giovanissima…
– Marino: 86 anni.
– Psichiatra: Ecco, vede?”
Mo me tocca però che ve spiego il titolo mio: Marino comincia a strillà Marisa, Marisa… e uno che c’aveva le recchie comme lu somaru, gli risponde: facce toccà la sisa. Poco gentili questi romani; ma nelle Marche c’erano l’etruschi e apposta je l’hanno date. A me le sise me piacciono, per carità, ma non ne parlamo che il discorso è troppo spregiudicante. ‘Ntanto Marisa s’è sposata con Umberto Ciceri, sarto sordomuto che ordina il caffè fischiando e cucina come nonna quando te tocca la panza e dice: viè qua, che te la riempio. So corna e Marino gioca i numeri all’otto (fanno 58 e chissà poi perché); la vita è pur sempre una roda che gira e li sordi e l’anni non se rifiuteno mai. Torna ricco e spietato a riprendersi i ricordi, il sapore dei baci, un disco per l’estate, le domeniche a Macerata e la prima frase che mi scambiasti: gradisce una gomma alla licurizia? No, grazie annerisce i denti. Marisa cede (la musica è finita, gli amici se ne vanno, impossibile resistere al melodramma) e come nei romanzi d’amore progettano l’inzano gesto, liberarsi del sor Ciceri (ma il rimorso arriva subito: il nostro amore ce stava portando su una brutta china, come tante volte si legge sulla cronaca degli amanti diabolici).
Umberto Ciceri, all’apparenza omo mite e marito premuroso ma violento tra le lenzola: come si chiama uno (chiede Marisa) che nell’intimità mena la moglie? E che ne so, nervoso? Ma no, è un vizio, una perversità. Ma allora è un notanaso… un nasochista ! Ma il film va visto tutto, che qua con le parole famo notte.
Marisa, facce toccà la sisa
Ora noi facciamo fatica a capire, ma anche quello era un modo per fare la corte. L’uomo era omo e pertanto mariulo, anche con le parole. Per quanto sgradevole, l’approccio urlato veniva comunque digerito in un mondo che parlava una lingua povera, contadina, almaccata dai fotoromanzi e dalle epiche del cinematografo, svincolata dai fasti grammaticali (che sono roba da signori). Ma è possibile che in tre mesi di questa schermaglia neanche un bacio? Tempo al tempo, Casanuovo. Una sintassi affrancata dalla scola, che si capisce meglio. Il sintagma percorreva la catena dei significanti e per metonimia la “sisa” prima che una metafora sessuale condensava il fotogramma della femmina (il profumo della tua pelle me fa ‘mpazzì… voglio ‘nfangà, voglio ‘nfangà). Storicizzandola anche. Corposa, materna, sostanziosa (ti mangerei; fallo… fallo). Perché la fame era fame e pure quello era un modo per saziarsi. Almeno l’occhi, come direbbe Marino. La lingua rurale tracciava la passione tra Marino e Marisa collocando la donna in un ambiente domestico e riproduttivo (Marisa mia, mia… mia… no sono la signora Ciceri; sempre di qualcuno ‘nzomma era). All’interno di un contesto familiare (pulito e immacolato: me so comportato sempre da gentilomo), il corpo femminile veniva abitato da significati che andavano al di là delle parole, diventando un modo per dare voce prima che ai ruoli tra maschio e femmina (so mai venuta qualche volta con te? Non ce sei venuta ma ce potevi venì, perché io so ‘n cavaliere e non ho ‘nsistito), a una narrazione romanzosentimentale come nel libro (o meglio nel film con Omar Sharif) di Pasternak, che ordinava la scena muovendo da un desiderio che pure c’era (hai voluto solo il mio corpo, non avrai la mia anima). Perché sempre di sceneggiata e di letteratura comunque si trattava.
Pe concludere: Straziami ma di baci saziami racconta le peripezie rocambolesche di du giovani innamorati come Lara e Živago e del fantasma della gelosia che ha i muscoli di Scortichini Guido. Se ride e se piagne nel film, però se ride de più. E tu Anna cara, te la si fatta ‘na risata con me?
Interpreti • Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Pamela Tiffin, Gigi Ballista, Moira Orfei, Ettore Garofolo
Giancarlo Buonofiglio
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