Sulla differenza delle età della vita
Considerata dal punto di vista della gioventù l’esistenza è un avvenire infinitamente lungo: da quello della vecchiezza un passato assai corto, cosicché essa si offre ai nostri sguardi, sul principio come le cose guardate dalla parte dell’obbiettivo d’un cannocchiale da teatro, e sul finire come quando sono viste dall’oculare. Occorre esser vecchi, vale a dire aver vissuto lungamente, per conoscere come la vita sia corta. Quanto più si va avanti coll’età, tanto più le cose umane, qualunque si siano, ci appariscono piccole; la vita, che durante la gioventù era là, davanti a noi, ferma e quasi immobile, ci sembra ora una rapida fuga d’apparizioni effimere, e ci diventa manifesta la nullità d’ogni cosa su questa terra. Il tempo stesso, nella giovinezza, cammina d’un passo più lento; sicché il primo quarto della vita è non solamente il più felice, ma anche il più lungo; esso lascia dunque molti più ricordi, e ciascuno potrebbe all’occasione raccontare di questo primo quarto maggiori avvenimenti che non degli altri due. Nella primavera della vita come nella primavera dell’annata i giorni finiscono talvolta col divenire d’una lunghezza molesta. Nell’autunno della vita, come nell’autunno dell’annata, i giorni sono corti, ma sereni e più costanti.

Perché mai in vecchiaja la vita che si ha dietro di sé, pare così breve? Si è perché noi la stimiamo così corta come il ricordo che ne conserviamo. Infatti tutto ciò che in essa vi fu d’insignificante ed una gran parte di ciò che vi fu di penoso, sfuggirono dalla nostra memoria; vi è dunque rimasto ben poca cosa. Perocché nella stessa guisa che la nostra mente è in generale molto imperfetta, così succede pure della nostra memoria: bisogna che teniamo in esercizio le nostre cognizioni e che rinvanghiamo il nostro passato, senza di che tutto ciò sparirà nell’abisso dell’oblio. Ma noi non ritorniamo volentieri col pensiero sulle cose insignificanti, né, ordinariamente, sulle sgradevoli, ciò che tuttavia sarebbe indispensabile per conservarle nella memoria. Ora le cose insignificanti divengono sempre più numerose, perché molti fatti che a prima vista ci sembrano importanti perdono qualunque interesse ripetendosi; il ripetersi, da principio, non è frequente, ma in seguito succede spessissimo. Per questo ricordiamo i nostri giovani anni meglio di quelli che vennero poi. Quanto più lungamente viviamo, tanto meno si danno avvenimenti che ci sembrino abbastanza gravi od abbastanza significanti per meritare d’essere ripassati col pensiero, ciò che è l’unico mezzo per conservarne il ricordo; appena trascorsi, li dimentichiamo. Ed ecco perché il tempo fugge lasciando di meno in meno traccia dietro di sé.

Ma neppure ritorniamo volentieri sulle cose sgradite, sopra tutto quando esse feriscono la nostra vanità; ed è questo il caso più frequente, perocché pochi disgusti ci toccano senza nostra colpa. Noi dimentichiamo dunque egualmente molte cose penose. Si è coll’eliminazione di queste due categorie d’avvenimenti che la nostra memoria diviene così corta, e lo diviene, in proporzione, quanto più la stoffa è lunga. Come gli oggetti situati sulla riva si fanno sempre più piccoli, indeterminati e indistinti a misura che la nostra barca se ne allontana, così svaniscono gli anni passati, colle nostre avventure e colle nostre azioni.
Succede inoltre che la memoria e l’immaginazione ci presentino talora una scena della nostra vita, obliata da lungo tempo, con tanta vivacità che ci sembri avvenuta il giorno prima, e ci apparisca affatto vicina. E ciò perché ci è impossibile rappresentarci in una volta il lungo spazio di tempo che è scorso tra il passato e il presente, ed abbracciarlo collo sguardo in un solo quadro; di più gli avvenimenti compiti in questo intervallo sono in gran parte dimenticati, e non ce ne resta più che un’idea generale, in abstracto, una semplice nozione e non un’immagine. Allora questo passato lontano ed isolato si presenta tanto vicino da parer successo ieri; il tempo intermedio è sparito, e la nostra intera esistenza ci sembra d’una brevità incomprensibile. Qualche volta pure, nella vecchiaia, il lungo passato che abbiamo dietro di noi può ad un certo momento parerci favoloso; ciò che viene principalmente perché vediamo sempre davanti a noi lo stesso presente immobile. In sostanza tutti questi fenomeni interni sono fondati non su ciò che è il nostro essere per sè stesso, ma sulla sua immagine visibile, che esiste sotto la forma del tempo, e sul fatto che il presente è il punto di contatto tra il mondo esterno e noi, tra l’oggetto e il soggetto.

Si può ancora domandarsi perché, in gioventù, la vita sembri estendersi davanti noi a perdita d’occhio. Ciò dipende da prima perché ci occorre il posto da mettere le speranze illimitate di cui la popoliamo, e per la cui realizzazione Matusalem sarebbe morto troppo giovane; poi perché prendiamo per scala della sua misura il piccolo numero d’anni che abbiamo già dietro a noi; ma il ricordo di essi è ricco in materiali, e per conseguenza lungo, perché la novità ha dato importanza a tutti gli avvenimenti che vi si compierono; perciò vi ritorniamo volentieri col pensiero, li richiamiamo spesso in mente, e finiamo col fissarveli.

Ci sembra qualche volta di desiderare ardentemente di trovarci in un luogo lontano, mentre in realtà non facciamo che rimpiangere il tempo che vi abbiamo passato quando eravamo più giovani e più freschi. Ecco in qual maniera il tempo ci trae in inganno sotto la maschera dello spazio. Portiamoci sul luogo tanto bramato e ci renderemo conto dell’illusione.

Vi sono due vie per arrivare ad un’età avanzata, a condizione sine qua non tuttavia di possedere una costituzione senza difetto; per spiegarci, prendiamo l’esempio di due lampade che ardono: una brucerà a lungo perché, con poco olio, ha lo stoppino assai sottile; l’altra perché anche avendo un lucignolo molto grosso ha pure molto olio: l’olio è la forza vitale, lo stoppino ne è l’impiego applicato a qualsivoglia uso.

Sotto il rapporto della forza vitale possiamo paragonarci, fino al nostro trentesimo sesto anno, a coloro che vivono coll’interesse d’un capitale; ciò che si spende oggi, si trova rimesso l’indomani. A partire di qui, somigliamo ad un capitalista che comincia a toccare il suo capitale. In sul principio la cosa non è sensibile; la più gran parte della spesa viene ancora a supplire a sé stessa, e il piccolissimo deficit che ne risulta passa inosservato. Ma a poco a poco esso ingrandisce, diviene apparente e il suo stesso accrescimento cresce ogni giorno, e c’invade di continuo in grado maggiore; l’oggi è sempre più povero del giorno che lo precedette, e non v’ha speranza che la faccenda si arresti. Come la caduta dei corpi, la perdita si accelererà velocemente fino alla scomparsa totale. Il caso più triste è quello in cui tutte e due, forza vitale e ricchezza, questa non come termine di confronto, ma in realtà, sono in via di sparire simultaneamente; per questo l’amore al danaro aumenta coll’età. In cambio nei nostri primi anni fino alla età maggiore, ed anche un po’ al di là, noi siamo, sotto il rapporto della forza vitale, simili a coloro che sugl’interessi aggiungono ancora qualche cosa al capitale: non solo ciò che si spende si rimette da sé, ma il capitale stesso aumenta. Questo succede qualche volta anche per il danaro in grazia delle cure previdenti d’un tutore galantuomo. O gioventù fortunata! O triste vecchiaia! Bisogna, ad onta di tutto ciò, risparmiare le forze della gioventù. Aristotele osserva Politica, Libro ultimo, Cap. 5 che fra i lottatori ai giuochi Olimpici, non se ne sono trovati che due o tre i quali, vincitori una volta da giovani, abbiano trionfato anche come uomini, perché gli sforzi prematuri che esigono gli esercizi preparatori, esauriscono talmente le forze che più tardi, nell’età virile, esse fanno difetto. Se ciò è vero per la forza muscolare lo è assai maggiormente per la forza nervosa, manifestazione della quale sono tutte le produzioni intellettuali: ecco perché gli ingenia praecocia, i fanciulli-prodigio, questi frutti d’un allevamento di serra calda, che fanno stupire nella loro prima età, diventano — in seguito — teste perfettamente volgari. È anche possibilissimo che un eccesso d’applicazione precoce e forzata nello studio delle lingue antiche sia la causa che ha fatto cadere più tardi tanti eruditi in uno stato di paralisi e d’infanzia intellettuale.

Ho notato che presso la maggior parte degli uomini il carattere sembra essere più particolarmente adattato ad una delle età della vita, di modo che in tale età essi presentansi sotto la luce più favorevole. Gli uni sono giovanotti amabili, e poi è finito; altri nella loro maturità si mostrano uomini energici ed attivi, ma in tarda età perderanno ogni valore; e altri infine appariscono più vantaggiosamente in vecchiaia, durante la quale sono più cari perché hanno maggior esperienza e maggior calma: è questo il caso più frequente presso i Francesi. Così deve avvenire perché il carattere ha per sè stesso un certo che di giovanile, di virile o di senile in armonia coll’età corrispondente, o corretto da essa.


Crediti
 Arthur Schopenhauer
 Aforismi sulla saggezza nella vita
  Traduzione Oscar D. Chilesotti
  Sulla differenza delle età della vita
 SchieleArt •   • 




Quotes per Arthur Schopenhauer

Un ottimista mi dice di aprire gli occhi e di vedere come sia bello il mondo con le sue montagne, le sue piante, l'aria, gli animali e così via. Queste cose sono certamente belle a vedersi, ma esserle è qualche cosa di completamente diverso. Il mondo è forse un caleidoscopio?  O si pensa o si crede

È molto limitato ciò che la ricchezza in sé, cioè l'eccesso di beni, può contribuire alla nostra felicità; da qui il motivo per cui molti ricchi si sentono infelici; perché sono privi di una vera formazione dello spirito, di conoscenza, cioè di qualche interesse oggettivo che permetta loro di esercitare un'attività spirituale.

E come le bestie pericolose si temono ma non si odiano, così io faccio con gli uomini. Non voglio essere μισάνθρωπος [un odia-uomini], bensì καταφρονάνθρωπος [uno sprezza-uomini]. Per poter disprezzare, come è giusto, coloro che lo meritano, cioè cinque sesti dell’umanità, la prima condizione è non odiarli.  L’arte di conoscere se stessi

Chiunque desidererebbe raggiungere la beatitudine eterna e il regno dei cieli, ma non con le proprie gambe, bensì trasportato dal corso della natura. Questo però è impossibile.
La natura è l'ombra della nostra volontà: certo, essa non ci fa cadere né ci annienta, ma non ci può portare da nessuna parte, se non ancora in seno alla natura. E quanto sia triste essere una parte della natura lo può sperimentare ognuno di noi durante la propria vita.  Il mio oriente

Soltanto chi diventa vecchio acquista una rappresentazione concreta e pertinente della vita, dominandola nella sua totalità e nel suo sviluppo naturale, e soprattutto considerandola, non soltanto come gli altri secondo una prospettiva iniziale, ma anche secondo quella finale, tanto da riconoscere in tal modo completamente la sua nullità.  L'arte di invecchiare