Dopo essersi sottoposto a severe penitenze e prolungate meditazioni, il saggio Vyasa, che per tutta la sua vita aveva sempre mantenuto fede ai propri voti e osservato le pratiche delle ascesi spirituali, studiò con grande attenzione e serietà l’eterna conoscenza contenuta nei Veda, testi che a quel tempo non erano ancora stati messi per iscritto, ma erano ripetuti solo in forma orale. Consapevole delle difficoltà in cui sarebbe incorsa la gran parte della gente, di regola poco incline al ragionamento analitico, cercò di rendere in maniera semplice e chiara i concetti filosofici ivi espressi.
Intanto gli avvenimenti che il rishi si accingeva a narrare erano in pieno svolgimento e la presenza di Shri Krishna sul pianeta gli diede l’ispirazione giusta per delineare nella sua mastodontica opera anche i principi fondamentali della spiritualità. E nella sua mente vasta e profonda come l’oceano, la storia che avrebbe poi chiamato Maha-bharata prese corpo, con tutte le sue delicate forme espressive e i suoi concetti divini racchiusi nell’incalzare delle vicende.
Dal giorno in cui il saggio aveva cominciato a meditare e a richiamare nella sua mente il Maha-bharata erano trascorsi diversi anni e, quando alla fine lo ebbe terminato, ritenne opportuno metterlo per iscritto in modo da divulgarlo tra le genti. In quei giorni in suo aiuto venne il Deva Ganesha che fu ben felice di accettare l’incarico di scrivano; e ben presto l’intera opera divenne una meravigliosa realtà. Il Maha-bharata fu diviso in 18 Parva e 1.929 sezioni, con un totale approssimativo di 100.000 versi.
Ben tre anni trascorsero prima che l’intero lavoro fosse compiuto. Sappiate, o saggi dal cuore totalmente libero dalle terribili contaminazioni della lussuria e della rabbia, che mai in questo mondo fu messa per iscritto un’opera più sublime. Ascoltate con attenzione mentre la recito.
Giudizio di un pensiero pacificato Dalla collera viene lo smarrimento completo. Dallo smarrimento, lo sconvolgimento della memoria; dal disordine della memoria, la rovina del giudizio e della decisione; dalla rovina del giudizio, la perdita dell'uomo. Ma chi [si muove] fra gli oggetti sensibili con le funzioni sensoriali sottratte all'amore come all'odio e [tenute] sotto il suo dominio, questi, anima disciplinata, accede alla serenità suprema. Nella serenità tutti i dolori si annientano, perché il giudizio di un pensiero pacificato trova subito stabilità. Bhagavadgītā
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