Interrogarsi sulla natura del tempo, cercando di darne una spiegazione razionale in rapporto alla storia e, perché no, alla nostra quotidianità, è molto complicato. Sebbene la concezione del tempo sia andata trasformandosi nel corso della storia in modo frequentissimo e spesso radicale, cronologicamente possiamo cominciare l’analisi dello spinoso argomento da due teorie tra loro opposte di matrice antichissima: la concezione ciclica del tempo, risalente alla tradizione del mondo classico pagano, e la concezione lineare, appartenente ai costumi giudaico-cristiani antichi.

La dimensione umana in questo processo di anakylosis è quella di un semplice elemento finito in armonia con il tutto, culturalmente lontano dalla volontà di dominare la natura e il tempo. Ma è veramente soddisfacente per il genere umano avere la consapevolezza di vivere in un mondo senza inizio, fine, né scopo? La vita umana che si propone di giungere a un compimento, di perseguire un fine, può essere inscritta in un tale universo?
Le conseguenze di questo epocale cambio di rotta si ripercuotono visibilmente sulla concezione di storia e di uomo, dotando avvenimenti e persone delle caratteristiche di unicità ed irripetibilità: il tempo diventa unico e assoluto e la tripartizione passato-presente-futuro già comparsa nella tradizione classica viene ripresa e riproposta in chiave differente.
…quando noi percepiamo l’istante come unità e non già come un prima e un poi nel movimento e neppure come quell’entità che sia la fine del prima e il principio del poi, allora non ci sembra che alcun tempo abbia compiuto il suo corso, in quanto non vi è neppure movimento. Quando, invece, percepiamo il prima e il poi, allora diciamo che il tempo c’è.
Con queste parole, Seneca attribuisce un valore particolare all’aspetto in divenire della temporalità, definita come un movimento effettivo dall’attimo appena passato all’attimo appena futuro, e la grande attenzione riposta nel passaggio dall’uno all’altro momento vuole porre l’accento sulla fluidità del tempo rispetto ad una tendenza alla frammentazione di esso (la quale verrà successivamente denominata tempo della scienza) insita nella natura umana, anche attraverso l’introduzione delle finalità di cui prima, versa a fare combaciare l’individuo (e il suo tempo) con il mondo. Ma l’opposizione a questa concezione va inscritta nella storia e contestualizzata all’epoca in cui Seneca la scrisse: il movimento temporale che l’autore ci presenta introducendo il concetto di prima-adesso-poi è funzionale ed in accordo con la teoria del tempo cosmico, da cogliere come unità non frammentabile ed eterna rispetto all’ancestrale tendenza a soffermarsi sull’aspetto quantitativo del tempo inteso come ammontare di avvenimenti (secondi, minuti, ore…) piuttosto che sulla qualità della vita intesa come fluire incessante, divenire. Nella simbologia romana antica concernente il tempo, troviamo tre elementi posti a metafora delle sue tre caratteristiche più importanti: il fiume, il punto e l’abisso. Il fiume rappresenta il movimento perpetuo, il divenire inarrestabile già affrontato; il punto si riconduce alla brevità del tempo stesso; l’abisso, in senso metafisico, simboleggia il passato e il futuro, i due vuoti entro cui la vita avanza sospesa. Il saggio che riesce a trionfare sul tempo è impegnato esattamente nel valorizzare la vita: non è la quantità di tempo a disposizione, ma precisamente il modo in cui quel tempo viene vissuto e, di conseguenza, non ha bisogno né della concezione di passato né di futuro, ponendo la propria attenzione sul presente per realizzare la perfezione morale. Si può dire per Seneca che l’oggi del saggio è atemporale e comprende nell’atemporalità sia passato che futuro.
La tripartizione giudaico-cristiana, invece, poggia su differenti fondamenta. Se sappiamo che l’inizio del libro della Genesi chiarisce ogni dubbio e produce uno spaccato profondissimo tra le due concezioni di tempo analizzate il tempo ha un principio che coincide con la creazione del cielo e della terra, abbiamo un punto di partenza dal quale analizzare la linea del tempo giudaico-cristiana per attribuirle i valori di cui, durante la storia, si è caricata. Essi sono essenzialmente (e nuovamente) riducibili a tre: la creazione, la vita terrena, la vita eterna. Tre come il trinomio passato-presente-futuro, e non a caso sono a grandi linee corrispondenti in ordine l’uno all’altro, con qualche ulteriore e brevissimo passaggio. In breve, appunto, la tradizione vuole che una volta creato l’uomo e posto nella condizione a lui ideale, Dio l’abbia punito in seguito al celebre peccato originale, condannandolo alla mortalità. La pena maggiore da scontare è la vita terrena, nella quale l’uomo deve seguire una condotta giusta e integerrima, votarsi alla carità e all’amore del prossimo in vista di una vita successiva in cui tutti i suoi sforzi e le sue preghiere verranno ripagate eternamente: di qui risulta semplice (e sicuramente semplicistico), nello specifico, determinare la tripartizione della linea del tempo cristiana secondo il modello passato-peccato (originale), presente-temporaneo riscatto e futuro-speranza (in un eterno appagamento) comunemente riconosciuto. Diffusissima e storicamente fondamentale, questa concezione ha accompagnato, accompagna e accompagnerà l’uomo cristiano per tutta la sua esistenza, costituendone un valore fondamentale. Ma vi sono alcuni sviluppi di essa particolarmente interessanti, come miriadi di teorie contrastanti. Sant’Agostino, per esempio, elabora un pensiero che trova nella linea del tempo cristiano un fondamento, ma per certi versi se ne distacca, introducendo, in primo luogo, un altro concetto: il tempo dell’anima, il tempo percepito.
(…)solo impropriamente si dice che i tempi sono tre, passato, presente e futuro (…), più corretto forse sarebbe dire che i tempi sono tre in questo senso: presente di ciò che è passato, presente di ciò che è presente e presente di ciò che è futuro. Sì, questi tre sono in un certo senso nell’anima e non vedo dove possano essere altrove: il presente di ciò che è passato è la memoria, di ciò che è presente è la percezione, di ciò che è futuro l’aspettativa. (…) di qui mi pare che il tempo non sia altro che estensione.
Da questo passo si nota l’elemento profondamente innovativo introdotto dal vescovo romano: egli dà una lettura del tempo che chiama in causa la soggettività, che relaziona ogni possibile intervallo temporale ad un singolo momento presente, irrimediabilmente collegato ad un soggetto preciso. Inoltre, parliamo di intervallo temporale e di estensione temporale, più che di singoli istanti. In questo modo il passato sarà un processo innescato dal soggetto che, nel presente, ricorda un avvenimento accaduto in precedenza, mentre il futuro sarà un’anticipazione immaginaria di ciò che potrà accadere al soggetto tra qualche ora (giorno, anno…); il presente di ciò che è presente rappresenta la percezione immediata. In questo disegno il soggetto è, in una certa misura, padrone del tempo: sta all’individuo attualizzare il passato interpretandolo attraverso sé stesso e valorizzandolo a seconda delle esperienze vissute, in vista delle quali sarà legittimato a scegliere il suo presente ed immaginare o decidere il suo futuro. A cambiare, oltre al ruolo umano nel disegno del tempo, è il valore attribuito al passato, come esperienza qualitativa impressa nell’individuo e a sua completa (o quasi) disposizione attraverso la memoria. Seneca l’aveva citata per indicare il posto in cui ritrovare il passato ben vissuto e libero dal rimorso, ma Agostino fa della memoria il grande spazio dell’interiorità soggettiva, dove oltre alle immagini corrispondenti alle percezioni sensoriali raccolte attraverso l’esperienza dall’individuo stanno la memoria dei numeri e dei principi primi del sapere. Le modalità attraverso le quali queste immagini e concetti sono entrate all’interno della memoria sono fatte risalire a una sorta di capacità innata con la quale all’uomo è dato di riordinare i dati già presenti in essa (di chiara derivazione platonica). Tra queste, e qui il vescovo romano si riallaccia alla cultura cristiana, vi sono i ricordi della felicità e della verità che sant’Agostino identifica con Dio, il Bene sommo che risponde ad ogni esigenza, creatore di tutte le cose e del Tempo, da cui eravamo partiti, riposto all’interno dell’anima di ognuno.

Tra gli altri molteplici critici del Positivismo di fine ‘800-inizio ‘900 si distingue per importanza la figura del pensatore francese Henri Bergson, il quale fa del tempo uno dei suoi principali oggetti di studio. Seguace in giovinezza del positivista Herbert Spencer, è interessato particolarmente alla sua teoria evoluzionistica del divenire, del movimento perpetuo, del progresso. Ma è proprio attraverso l’attenta analisi che compie di questa teoria che gli balzano agli occhi le grandi contraddizioni del sistema positivista: prima tra tutte, la stessa concezione del tempo. Se 1500 anni prima Sant’Agostino denunciava la tendenza umana alla frammentazione della temporalità quotidiana Bergson lo chiamerà tempo degli orologi a scapito di un tempo percepito ed interiore di tutt’altra natura, le evoluzioni e i progressi tecnologici compiuti in tanti anni di storia portano ad un periodo di follia amorosa per la scienza, così legittimata ad applicare il suo metodo ad ogni ambito della conoscenza umana, perdendo completamente di vista ciò di cui il vescovo romano ci voleva fare accorgere. L’esagerazione di questa tendenza comportò, come spesso accade, il ribaltamento del fronte, portando un’ondata di critiche e fallimenti che ne provocarono il declino. All’interno di essa, Bergson ricopre un ruolo fondamentale con la riscoperta del concetto di durée réelle e la nuova investitura, da parte della filosofia, dell’individuo come diversa chiave di lettura di un universo soggettivizzato che appassiona letterati e gente comune e diviene principale argomento delle grandi letterature europee e degli studi filosofici del periodo.
Nel suo Saggio sui dati immediati della coscienza Bergson distingue il tempo della scienza (il tempo degli orologi) dal tempo della coscienza, poco più che il tempo interiore teorizzato da Sant’Agostino. L’uno successione meccanica ed universale di attimi distinti, dei quali non rimane nulla al passaggio; l’altro unico ed indistinguibile flusso vitale composto della compenetrazione di passato, presente e futuro legati da relazioni inscindibili nella nostra coscienza, nonché durata vera, estensione temporale dotata delle qualità e dei valori soggettivi che individualmente attribuiamo loro. Si tratta della distinzione tra molteplicità numerica di tempo e spazio delle scienze, in cui si ha una successione di elementi quantitativi, e molteplicità qualitativa del tempo vissuto dalla coscienza con l’insorgere di qualcosa di sempre nuovo e mai prevedibile. Personale, soggettivo. In Introduzione alla Metafisica dello stesso autore, si legge che se il tempo della scienza si può rappresentare con una collana di perle separate e tutte uguali, il tempo della vita è come un gomitolo di filo o una valanga, che continuamente mutano e crescono su se medesimi.
Precisato il periodo storico e sociale in cui si collocano questi scritti di Bergson, viene facile credere il larghissimo appoggio e seguito riscontrato in quegli anni da letterati, studiosi e non solo. Letterature e teatro cominciano ad interessarsi agli aspetti più personali e intimi, all’uomo in accordo con una visione generale improntata in modo marcato sulla soggettività come diretta conseguenza di queste teorie e delle altre del periodo, basti pensare ai risultati di Freud e Jung in materia psicologica. Autori del calibro di James Joyce, Virginia Woolf, Luigi Pirandello, Franz Kafka fanno della questione della temporalità un pilastro per la loro ricerca intellettuale e letteraria con sperimentazione di nuove tecniche e introduzione di nuovi metodi di scrittura (la stream-of-consciousness technique, il divenire nell’universo pirandelliano e la dicotomia volto-maschera. Tra tutti, autore di fama internazionale e di celebre importanza, Marcel Proust, che della memoria e del ricordo ha fatto il nocciolo delle sue più celebri produzioni attingendo in massima parte alle teorie di Bergson.
L’idea di compenetrazione di passato, presente e futuro all’interno della coscienza umana è alla base del rapporto tra percezione e ricordo, approfondito dal filosofo francese nel saggio Materia e Memoria, risalente al 1896, nel quale le due cose sono specificatamente distinte, poiché ciascuna applicata a una differente temporalità di riferimento.
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