Un dibattito sull'insurrezionalismoNell’aprile 2010 si è svolto un breve ma sostanziale dibattito tra il curatore di questo sito [comunizacion.org, ndt] e gli editori della fanzine Comunismo Difuso. Al centro della discussione era la portata della teoria della comunizzazione, soprattutto in relazione ad alcune correnti vicine all’anarchismo insurrezionalista.
In effetti, qualche partigiano dell’ideologia insurrezionalista rivendica in certo modo di essere l’espressione pratica della teoria della comunizzazione. I più cauti, come il Comité Invisible, suggeriscono che se un gruppo condivide un’abitazione e pubblica testi contro il sistema, esprimerebbe già la comunizzazione in atto. Altri, più esagitati, si limitano ad assemblare parole che suonano loro bene, lasciando intendere che gli attacchi insurrezionalisti sarebbero in sé azioni comunizzatrici.
Esistono fondamentalmente due modi di approcciare questo errore:
1) Scavare nella storia della corrente comunizzatrice, per verificare se quest’ultima condivide un origine comune con l’insurrezionalismo anarchico o se, in qualche punto, ci sia stato un rapporto con gruppi appartenenti a questa tendenza, e in cosa sia consistito questo rapporto.
Per un approccio generale a questa storia, consiglio la lettura de Le roman de nos origines. Allo scopo di comprendere in modo specifico le tortuose relazioni tra le idee comunizzatrici e il movimento insurrezionalista italiano, è necessario leggere Apocalisse e sopravvivenza di Francesco Santini.
2) Stigmatizzare l’errore ogni volta che si manifesta, che sia per ignoranza o per omissione. È questo, oggi, ancora una volta il caso.
A un anno di distanza dal dibattito citato, un nuovo progetto che va sotto il nome di Desvío Editorial, ha messo in circolazione un libro dal titolo Hacia la Comunidad Humana: Comunización y Revolución Social. La confezione del volume è ben riuscita, poiché include non soltanto alcuni testi prodotti dalle più importanti espressioni della corrente comunizzatrice, come la rivista Troploin, ma anche un articolo di Anselm Jappe, il quale, pur non appartenendo a questa tendenza, integra opportunamente queste teorie, aiutando a collocare le idee comunizzatrici nel più ampio contesto teorico della critica dell’economia politica marxiana.
Se ci si fosse limitati a questo, mi sarei accontentato di rallegrarmi per la diffusione di questi testi in forma di libro, mantenendo un rispettoso silenzio su un’iniziativa fin qui assai pertinente. Ma c’è di più. L’inclusione nel volume di un testo del Comité Invisible, e soprattutto il commento contenuto nella Nota editoriale, dove si insinua una parentela tra la corrente comunizzatrice e l’insurrezionalismo italiano, mi costringe ancora una volta a contestare la surrettizia associazione tra queste due correnti. Sotto il nome di comunizzazione va un insieme estremamente eterogeneo di teorie e proposizioni pratiche, tra le quali l’insurrezionalismo anarchico occupa un posto dubbio, o peggio.
La genealogia della corrente comunizzatrice – i cui primi riferimenti espliciti datano dall’inizio degli anni ’70 – ha pochi rapporti con l’anarchismo, poiché essa appartiene al lignaggio marxista delle frazioni comuniste di sinistra che si staccarono dalla Terza Internazionale, e la cui attitudine nei confronti degli anarchici ha sempre oscillato tra il disprezzo e la diffidenza… I situazionisti, che possono essere considerati gli antecedenti diretti della corrente comunizzatrice, espressero un punto di vista molto più aperto rispetto al tipo di anarchismo rappresentato, ad esempio, dalla Colonna di Ferro; tuttavia essi non rinunciarono a criticare – come Debord ne La società dello spettacolo – l’individualismo anarchico come qualcosa di semplicemente ridicolo. Su un altro versante, si potrebbe rintracciare tutt’al più qualche connessione precaria, che porta invariabilmente a una rottura o a una distanza tra comunizzatori e anarchici: è questo il caso del MIL, che intrattenne rapporti con il gruppo parigino di Jean Barrot Le Mouvement Communiste e che manifestava apertamente le sue simpatie per l’anarchismo di Durruti e di Quico Sabaté; ma l’atteggiamento del MIL nei confronti de Le Mouvement Communiste fu alquanto segnato dalla diffidenza e da un opportunismo dichiarato. Altri casi, forse più emblematici, si trovano nel testo già citato di Francesco Santini sull’esperienza gruppuscolare italiana. A questo si limitano i rapporti tra la corrente comunizzatrice e l’anarchismo. Per quanto riguarda i gruppi contemporanei che hanno condotto un’attività comunizzatrice – soprattutto in Francia e in Inghilterra – se una cosa distingue l’attività di questi gruppi, è proprio la discrezione e la pazienza, qualità che possono corrispondere a quelle di alcune tendenze dell’anarchismo sociale, ma che sono molto lontane dallo stile spaccone e dall’imprudenza dell’insurrezionalismo italiano.
In effetti, tra la corrente comunizzatrice e l’insurrezionalismo, non esiste soltanto un’evidente differenza di stile; ciò che soprattutto li distingue, è la loro maniera di comprendere praticamente e teoricamente il capitalismo e il significato dell’essere anticapitalisti.
Mentre i comunizzatori cercano e tentano dei modi di esistenza antagonisti al sistema, gli insurrezionalisti non fanno che esaltare spasmodicamente la loro propria deriva esistenziale, innamorati come sono dei due tratti che distinguono la loro personalità, e quella di tutti gli uomini mercantilizzati: l’impazienza e l’individualismo.
Su un piano più generale, mentre la corrente comunizzatrice tende a situarsi storicamente, facendo dipendere la propria prospettiva da un insieme di possibilità pratiche, l’insurrezionalismo non fa che agitarsi attorno ad alcune nozioni pragmatiche e immediatiste, senza che le sue pubblicazioni abbiano mai teorizzato la comunizzazione, o anche soltanto qualche cosa che vi si avvicini. Basta leggere Alfredo Bonanno, la sua eminenza teorica, per rendersene conto.
Perché allora insistere a collegare due prospettive così differenti? La ragione è che l’insurrezionalismo è del tutto sprovvisto di qualsivoglia base teorica solida ciò che assomiglia di più a questa base, sono le idee di Bonanno sulla fine delle classi sociali e le interminabili idiozie di Pombo da Silva. E siccome nessun movimento può appoggiarsi esclusivamente al proprio martirologio, l’insurrezionalismo ha finito per chiedere aiuto alla teoria della comunizzazione, per fabbricare l’immagine fittizia di un movimento provvisto di un’autentica base teorica. La realtà è che non esiste alcun punto di contatto tra la teoria comunizzatrice e l’insurrezionalismo.
Tutt’al più si può parlare di un’assimilazione superficiale della prima da parte del secondo. Qualcuno interessato alla questione, potrà dimostrare facilmente che gli insurrezionalisti sono i soli a compiacersi di indossare gli abiti delle teorie della comunizzazione. Sul versante della corrente comunizzatrice – che io sappia – non vi sono né individui né gruppi che simpatizzino per l’insurrezionalismo; né esistono elementi teorici che possano offrire un sostegno alle pretese degli insurrezionalisti.
Desvío Editorial ha voluto lavare il bambino nell’acqua sporca del cesso. In effetti, assumere come punto di partenza il fatto che i movimenti anticapitalisti hanno abbandonato l’orbita del marxismo-leninismo per abbracciare l’influenza dell’insurrezionalismo italiano, significa cadere in errore fin dalla prima pagina, lasciando briglia sciolta all’ingenuità magniloquente che caratterizza Ai ferri corti… Il declino del marxismo- leninismo ha certamente aperto la strada a un’infinità di pratiche e di teorie anticapitaliste, che hanno assunto grande vigore; tuttavia l’insurrezionalismo italiano è lungi dal poter essere annoverato tra le migliori di esse.
La ristrutturazione delle logiche politico-organizzative dei movimenti anticapitalisti è un fatto. Nondimeno, questo cambiamento può difficilmente essere attribuito a una pratica che è incapace di produrre la sua propria spiegazione, che adotta in modo incongruente teorie che rifiuta di discutere, e che a malapena sopravvive grazie alla visibilità mediatica che gli garantiscono i suoi attentati all’esplosivo.
È ben più probabile che, in modo impercettibile, le intense discussioni della corrente comunizzatrice stiano facendo il loro corso ed esercitino la loro influenza in seno ai movimenti anticapitalisti, proprio perché coinvolgono persone che non cedono alla disperazione e che hanno saputo mantenere vive le qualità che da sempre distinguono i rivoluzionari: modestia, serenità, visione d’insieme e senso storico dell’azione.


Crediti
 Simone Lanza
 Frammenti di teoria del comunismo
  Il lato cattivo
  Un dibattito sull'insurrezionalismo
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Quotes casuali

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fiore s'inchina, stanco, nell'arsura,

ché la ferita del cristallo duro
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Guido Gozzano
Nulla minaccia la tua libertà quanto il misterioso trasporto che una creatura prova verso un'altra creatura, ad esempio un uomo verso una donna, o una donna verso un uomo. Non vi sono cinghie né catene né sbarre che ti costringano a una schiavitù più cieca, a un'impotenza più disperata.Oriana Fallaci
Non era orgoglioso di essere un uomo straordinario. Era solo smodatamente orgoglioso di essere un uomo ordinario.Gilbert Keith Chesterton
Robert Browning

Riferimenti