Dallo spettacolo orale librettistico della versione shakespeariana all’esecuzione teatrale, protagonista onnivora è, come mai in precedenza, l’attorialità automatica del corpo fisiologicamente inteso, in che la voce sola (la differenziazione dei ruoli è variazione fonetica-umorale) è senza lingua; questo interno del corpo è fragorio (salivazione, peto, rutto, gorgoglio, etc.) amplificato dei resti della parola-suono masticata e vomitata, sbavata all’orlo della bocca. L’afasia di tanta orale umoristica, in questo intestimoniabile (s)concerto (… strepito e furia / che non vuol dire niente /) raddoppia l’aprassia d’un corpo, mummia velata e/o ricoperta di triplice armatura, che cieca brancola, nella cerca vana d’un orgasmo a svanire, tra gli espedienti dell’orrore (il terrore ridotto a fuoco fatuo) e dell’autospavento.
Terrore ridotto a fuoco fatuo
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