In questo sogno, richiamandosi a un suo sogno precedente, Verso Damasco, l’Autore ha cercato di imitare la forma sconnessa ma apparentemente logica del sogno. Tutto può avvenire, tutto è possibile e probabile. Tempo e spazio non esistono; su una base minima di realtà, l’immaginazione disegna motivi nuovi: un misto di ricordi, esperienze, invenzioni, assurdità e improvvisazioni.
I personaggi si scindono, si raddoppiano, si sdoppiano, svaniscono, prendono coscienza, si sciolgono e si ricompongono. Una coscienza, tuttavia, sovrasta tutto, quella del sognatore: per essa non ci sono segreti, incongruenze, scrupoli, leggi. Egli non condanna, non assolve; riferisce: e poiché il sogno, il più delle volte, è doloroso e solo di rado lieto, una nota di malinconia e pietà verso quanto è vivente attraversa il vacillante racconto. Il sonno, questo liberatore, diventa spesso doloroso, ma quando il tormento arriva all’estremo, ecco il risveglio a conciliare il sofferente con la realtà. E la realtà, per penosa che sia, in quel momento costituisce pur sempre un sollievo, rispetto al sogno tormentoso.
Che anche la vita sia un sogno, ci sembrava una volta un sogno poetico di Calderón. Ma quando Shakespeare fa dire a Prospero, nella Tempesta, che siamo tutti della stoffa di cui sono fatti i sogni, quando il Savio inglese enuncia, per bocca di Macbeth, che la vita “è una favola, raccontata da un folle”, è il momento per cominciare a riflettere sulla questione.
Chi accompagnerà l’Autore, nel corso di questi brevi ore, lungo il suo cammino di sonnambulo, troverà forse una somiglianza tra il caos apparente del sogno e il tappeto multicolore della vita indomabile, eseguito dalla tessitrice del mondo, che dispone prima l’ordito dei destini umani e fa poi la trama con i nostri interventi in contrasto e le nostre passioni incostanti.
Chi rileverà questa somiglianza, avrà il diritto di dire a sé stesso: forse è così.
Per quanto riguarda la forma libera, sconnessa, del dramma, anche qui si tratta solo di apparenza. A ben guardare, infatti, la composizione risulta abbastanza solida – una sinfonia polifonica che qua e là si fonde con il motivo principale di continuo riaffiorante, ripetuto, variato in tutti i toni da più di trenta voci. Nessun a solo con accompagnamento, nessun ruolo, niente caratteri né caricature, niente intrighi, nessun finale d’atto con dispositivo per l’applauso. La direzione delle voci è tracciata con rigore, nella scena finale del sacrificio trascorre tutto il passato, i motivi sono ancora una volta compendiati come deve fare la vita, in ogni particolare, nell’ora della morte…Ancora una somiglianza! Ma guardiamo, ora, ascoltiamo: con un po’ di buona volontà, la partita è vinta a mezzo, e non cerchiamo di più.
Tessitrice del mondo
Crediti
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