Ho letto la vita di Tommaso Carlyle, farsa involontaria, interpretazione eroico-morale delle affezioni dispeptiche. — Carlyle, uomo dalle parole forti e dagli atteggiamenti forti, retore per necessità, tormentato incessantemente dal desiderio di una forte fede e dalla sua incapacità a conseguirla (— in questo romantico tipico!). Il desiderio di una forte fede, non ne è affatto la prova; tutt’altro! Quando si possiede codesta fede, ci si può pagare il lusso dello scetticismo: si è abbastanza sicuri, abbastanza saldi per averlo. Carlyle stordisce qualche cosa in sé stesso mediante il fortissimo della sua venerazione per gli uomini di forte fede, e della sua rabbia contro i meno stupidi; egli ha bisogno del rumore. Una slealtà verso sé stesso, costante e appassionata è ciò che gli è proprio ed è ciò che lo fa rimanere interessante. — Veramente, però, in Inghilterra lo si ammira precisamente per la sua lealtà… Ebbene: questo è molto inglese; e, se si considera che gl’inglesi sono il popolo del cant perfetto, la cosa è anche legittima e non soltanto comprensibile. In fondo, Carlyle è un ateo inglese che vuol far consistere il proprio onore nel non esserlo.
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