Lo stesso di lui, comare – rispose -: fare il mio dovere. Il primo ottobre, all’alba, il colonnello Aureliano Buendía, con mille uomini ben armati, attaccò Macondo e la guarnigione ricevette l’ordine di resistere fino alla fine. A mezzogiorno, mentre il generale Moncada pranzava con Úrsula, un colpo di cannone ribelle che rimbombò in tutto il paese polverizzò la facciata della tesoreria municipale. Sono armati bene quanto noi – sospirò il generale Moncada – ma inoltre combattono con più voglia. Alle due del pomeriggio, mentre la terra tremava per i colpi di cannone di entrambi i lati, si congedò da Úrsula con la certezza che stava combattendo una battaglia persa.
– Prego Dio che stanotte Aureliano non sia in casa – disse -.
Se così fosse, dagli un abbraccio da parte mia, perché non spero di vederlo mai più.
Quella notte fu catturato mentre cercava di fuggire da Macondo, dopo aver scritto una lunga lettera al colonnello Aureliano Buendía, in cui gli ricordava i comuni propositi di umanizzare la guerra, e gli augurava una vittoria definitiva contro la corruzione dei militari e le ambizioni dei politici di entrambi i partiti. Il giorno successivo il colonnello Aureliano Buendía pranzò con lui a casa di Úrsula, dove fu recluso fino a che un consiglio di guerra rivoluzionario decidesse il suo destino. Fu una riunione familiare. Ma mentre gli avversari dimenticavano la guerra per evocare ricordi del passato, Úrsula ebbe la cupa impressione che suo figlio fosse un intruso. L’aveva avuta da quando lo aveva visto entrare protetto da un rumoroso apparato militare che rivoltò le camere da letto da cima a fondo fino a convincersi che non vi fosse alcun rischio. Il colonnello Aureliano Buendía non solo lo accettò, ma impartì ordini di una severità categorica, e non permise a nessuno di avvicinarsi a meno di tre metri, nemmeno a Úrsula, finché i membri della sua scorta non ebbero finito di stabilire le guardie intorno alla casa.
Indossava una uniforme di tela ordinaria, senza insegne di alcun tipo, e degli stivali alti con speroni impiastrati di fango e sangue secco.
Portava alla cintura una pistola con la fondina slacciata, e la mano sempre appoggiata all’impugnatura rivelava la stessa tensione vigile e risoluta dello sguardo. La sua testa, ora con profonde stempiature, sembrava cotta a fuoco lento.
Il suo volto, screpolato dal sale dei Caraibi, aveva acquisito una durezza metallica. Era preservato contro la vecchiaia imminente da una vitalità che aveva qualcosa a che fare con la freddezza delle viscere. Era più alto di quando era partito, più pallido e ossuto, e manifestava i primi sintomi di resistenza alla nostalgia. Dio mio – si disse Úrsula, allarmata -. Ora sembra un uomo capace di tutto. Lo era. Il mantello azteco che portò ad Amaranta, le evocazioni che fece durante il pranzo, le divertenti aneddoti che raccontò, erano semplici brace del suo umorismo di un’altra epoca.
Tra nostalgia e durezza: il colonnello si trasforma
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