Il 17 agosto del 1969 finiva, almeno ufficialmente, il festival di Woodstock: tre giorni di pace e musica rock, cui assistettero un po’ meno di mezzo milione di persone.
Un evento di cui, anche chi non c’è stato, anche chi, come me, allora non era ancora nato, sappiamo tutto e del quale, però, non ci è rimasto pressoché nulla, se non qualche foto datata.
Le cose per le quali ci si scandalizzava allora, ancora vengono intese scandalose, inopportune, inaccettabili.
Una canna, una tetta fuori, un pisello nudo, un bacio tra due persone dello stesso sesso, il peace and love tra i popoli, la parità di genere, la multietnicità, la denuncia della follia della guerra, il vivere sostenibile.
Pensateci, in questa nostra Italia in piena campagna elettorale, in questo nostro 2022, i temi quali sono?
Leggi anti-immigrazione, difesa della così detta famiglia tradizionale, proibizionismo delle droghe leggere, la guerra come opzione accettata e accettabile, il trionfo del patriarcato, la negazione della dirompenza del climate change.
E quel che è più imbarazzante, almeno stando ai sondaggi, è che questa è l’opinione della maggioranza o, comunque, di una minoranza consistente di nostri connazionali: maggioranza, o quasi maggioranza, che spesso predica bene, specie elettoralmente, e, nella realtà, razzola malissimo.
Ancora qui siamo: all’apparenza di maniera e all’ipocrisia della tradizione.
Mezzo secolo passato, a voler usare un eufemismo, invano.
Tre giorni di pace e musica rock
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