Tutti si pretendono educatori
Siamo lontani dalle mete di Freud, il suo nome è servito a coprire molte cose, ci sono state deviazioni, gli epigoni non hanno sempre seguito fedelmente il modello, si è creata confusione. Dopo la sua morte, nel ’39, anche certi suoi allievi hanno preteso di fare psicoanalisi in modo diverso, riducendo il suo insegnamento a qualche formuletta banale: la tecnica come rito, la pratica ristretta al trattamento del comportamento, e, come meta, il riadattamento dell’individuo al suo ambiente sociale. Cioè la negazione di Freud, una psicoanalisi di comodo, da salotto. Lui l’aveva previsto. Diceva: ci sono tre posizioni insostenibili, tre impegni impossibili, governare, educare, e fare psicoanalisi. Oggi, non importa chi ha responsabilità di governo, e tutti si pretendono educatori. Quanto agli psicoanalisti, ahimè, prosperano. Come i maghi e i guaritori. Proporre alla gente di aiutarla significa il successo assicurato e la clientela fuori dalla porta. La psicoanalisi è altro. Io la definisco un sintomo. Rivelatore del malessere della civiltà in cui viviamo. Certo non è una filosofia, io aborro la filosofia, è tanto tempo che non dice più niente di interessante. Non è nemmeno una fede, e non mi va di chiamarla scienza. Diciamo che è una pratica e che si occupa di quello che non va. Maledettamente difficile, perché pretende d’introdurre nella vita di tutti i giorni l’impossibile, l’immaginario. Finora ha ottenuto certi risultati, ma non ha ancora regole e si presta a ogni sorta di equivoco. La novità che la psicanalisi rivela è un sapere insaputo a sé stesso.

Crediti
 Jacques Lacan
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Quotes per Jacques Lacan

L'Edipo non potrà tenere indefinitamente il cartellone di una società in cui sempre di più si perde il senso della tragedia.

La funzione della parola è sia di celare che di scoprire. Ma anche limitandoci a ciò che la parola fa conoscere, la natura del linguaggio non permette di isolarla dalle risonanze che sempre indicano di leggerla su diversi pentagrammi. È questa partizione inerente all'ambiguità del linguaggio che sola spiega la molteplicità degli accessi possibili al segreto della parola.

C'è un'inerzia dell'immaginario che vediamo intervenire nel discorso del soggetto, che lo disturba, il discorso che fa sì che non mi rendo conto che, quando voglio bene a qualcuno, gli voglio male, che quando lo amo, è me stesso che amo, o che, quando credo di amarmi, è proprio allora che ne amo un altro.

Il desiderio umano ha la proprietà di essere fissato, adattato, raccordato non già a un oggetto ma sempre essenzialmente a un fantasma. Dire a qualcuno io la desidero significa dirgli molto precisamente io la implico nel mio fantasma fondamentale.

L'uomo che parla, il soggetto non appena si mette a parlare, è già, per il tramite della parola, implicato nel proprio corpo. La radice della conoscenza è questo coinvolgimento nel corpo.