Gli ultimi anni Settanta, e poi gli anni Ottanta e i seguenti, non sono stati soltanto la fine di una certa prospettiva politica: sono stati la fine di una storia dell’Umanesimo che durava da secoli. Io credo che la mutazione che c’è stata in quegli anni sia molto più profonda di quello che riusciamo a pensare. Per me, è stata dolorosissima; ma è stata anche l’occasione per dire: va bene, può anche darsi che la nostra idea di uomo non abbia nessun fondamento, che sia un costrutto ideologico. E poi?. Così, ho ricominciato a pensare. Ma non più a partire da la situazione internazionale è fatta così e così e quindi noi, compagni, dobbiamo fare questo e quest’altro. Ho cominciato a pensare: io cammino per la strada; un altro deve passare per la stessa strettoia. Chi ci passa? Ci passo io, ci passa lui? E soprattutto: in base a che cosa io ho la priorità e lui no, e perché alla fine lo lascio passare, e perché lui non mi ringrazia, non mi saluta? Perché, invece, io saluto le persone? Cose assolutamente elementari, primitive, che però rimettevano in gioco, per me, proprio un’idea di uomo che si era completamente appiattita e irrigidita. Bisognava ripensarla e ricostruirla a partire dallo sguardo che la mattina scambi con il tizio che fa colazione con te al bar.
Un costrutto ideologico
Crediti
Quotes per Umberto Fiori
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