La verità viene dalla lingua già persa o ancora a venire. Viene dalla voce che si cerca dietro la voce. Una lingua inaudita, un giro linguistico irripetibile, un’incisione praticata nella lingua dalla lama di un fuori, fatto al tempo stesso di non-lingua e di lingua a venire. Lo «stile» della verità, o la verità in quanto stile, non deve nulla all’ornamento né allo sfruttamento dei significati disponibili. Non può venire che dal di fuori – tocca e taglia da un di fuori che è propriamente il fuori di ogni significazione, che è così il senso fuori di se stesso.
Per venire dal di fuori bisogna che l’incisione debba qualcosa alla chance e al kairos, il cui favore consiste nell’offrirsi solamente a colui che si espone al di fuori e che, di conseguenza, è giunto al punto di non voler più il suo voler-dire: il favore di un eccesso su ogni «dire» possibile. Ma per disporsi a questo favore, alla sua rarità, è necessario un ritrarsi della lingua. È necessario essere stati condotti al di qua della lingua: là dove il linguaggio stesso sa già che in definitiva non c’è niente da dire, niente che non implichi un nulla di significato, e che grazie a questo nulla tocca la cosa stessa, cioè la cosa fuori e la cosa del fuori.

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