A un occhiello sanguinava un garofano
Tutto cominciò per il sospetto (forse esagerato) che gli Dei non sapessero parlare. Secoli di vita randagia e ferina avevano atrofizzato quanto avevano di umano; la luna dell’Islam e la croce di Roma erano state implacabili con quei profughi. Fronti basse, dentature gialle, baffi radi da mulatto o da cinese e musi bestiali manifestavano la degenerazione della stirpe olimpica. Le loro vesti non si addicevano a una povertà onesta e dignitosa ma al lusso abietto delle bische e dei lupanari del porto. A un occhiello sanguinava un garofano; sotto una giacca attillata s’indovinava la forma di un pugnale. Di colpo capimmo che giocavano la loro ultima carta, che erano astuti, ignoranti e crudeli come vecchi animali da preda e che, se ci fossimo lasciati vincere dalla paura o dalla pietà, ci avrebbero distrutto.
Estraemmo le pesanti rivoltelle (all’improvviso nel sogno vi furono rivoltelle) e gioiosamente demmo morte agli Dei.

Crediti
 Jorge Luis Borges
 L'artefice
  Ragnarok
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Quotes per Jorge Luis Borges

I miei libri (che non sanno che io esisto)
sono parte di me come questo viso
dalle tempie grigie e dagli occhi grigi
che cerco vanamente nei cristalli
e che percorro con la mano concava.
Non senza una certa logica amarezza
penso che le parole essenziali
che mi esprimono sono in quelle pagine
che non sanno chi sono io, non in quelle che ho scritto.

Alcune cose sono belle per quel che sono.
In quel preciso momento.
Che durino minuti, ore, giorni o mesi, non importa.
Non sono belle per quello che potrebbero diventare.
Per il luogo da cui arrivano.
Sono belle lì, in quel momento perché sono così.
Sospese. Appena sfiorate.

Dal fondo remoto del corridoio lo specchio ci spiava. Scoprimmo (a notte alta questa scoperta è inevitabile) che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso. Bioy Casares ricordò allora che uno degli eresiarchi di Uqbar aveva giudicato che gli specchi e la copula sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini.  Finzioni

Oggi non ride
il mandorlo dell'orto.
È il tuo ricordo.

Non è l'inezia simbolica di sostituire un tre a un due né la metafora banale che convoca un tempo che si spegne e uno che nasce, né il compiersi di un processo astronomico a scuotere e scavare l'altopiano di questa notte e a costringerci all'attesa dei dodici rintocchi irreparabili. L'autentica ragione è il sospetto generale e confuso dell'enigma del Tempo; è lo stupore di fronte al miracolo che nonostante le infinite sorti, che nonostante siamo le gocce del fiume di Eraclito, qualcosa in noi perduri, immobile.