L’agire di chi teme la morte è allora improntato dall’ansia in attesa della morte oppure dalla lotta contro la morte, nella presunzione che il proprio io, finché vive, sia esente da mutamento: in effetti questa presunzione colpisce, oltre che il timoroso, anche il temerario, ossia colui che tenta di allontanare la morte accumulando e intensificando atti vitali, alla ricerca ansiosa di occasioni estreme di insicurezza, con la volontà di sfidare ovvero, addirittura, con l’assurda pretesa di sconfiggere la morte.
Diversamente dal timoroso e dal temerario, vero coraggio di fronte alla morte dimostra quel soggetto capace di mente vuota (mushin), il quale, sperimentando in ogni momento della vita l’insicurezza, la transitorietà, l’impermanenza come condizione normale, affronta la morte come un passaggio estremo, non come un termine ultimo.
Costui, infatti, grazie al suo farsi vuoto, vive ogni momento come un termine che si disfa, come un punto che si fa onda, come un attimo che si dilegua; in tal modo, cogliendo il nesso nascita-morte come costitutivo della vita, è portato a produrre azioni esenti sia dall’ansia paralizzante del timoroso sia dall’ansia aggressiva del temerario.
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