Ancora una parola, per finire, su quel mondo verso il quale ho cercato degli accessi, verso il quale ho forse trovato un nuovo accesso — il mondo antico. Il mio gusto, il quale forse è l’opposto del gusto tollerante, è ben lungi anche qui dall’approvare in blocco: generalmente esso non ama approvare, preferisce contraddire, ed anche negare completamente… Questo è vero per delle intere civiltà, questo è vero per certi libri, — questo è vero anche per delle città e dei paesaggi. In fondo non vi è che un piccolissimo numero di libri antichi che abbiano contato nella mia vita; i più celebri non ne fanno parte. Il mio senso dello stile, dell’epigramma nello stile, si è svegliato quasi spontaneamente al mio contatto con Sallustio. Non ho dimenticato la sorpresa del mio venerato professore, Corssen, quando fu forzato di dare il miglior voto al suo più cattivo latinista — avevo imparato tutto di un sol colpo. Serrato, severo, con un fondo il più possibile sostanzioso, una fredda cattiveria riguardo alla «bella parola» ed anche riguardo al «bel sentimento» — è a tutte queste qualità che io mi sono rivelato. Fino dal mio Zarathustra si riconoscerà una ambizione molto seria di stile romano, di «aere perennius» nello stile. Non è avvenuto diversamente al mio primo contatto con Orazio. Fino ad ora nessun poeta mi ha procurato un rapimento artistico uguale a quello che ho subito provato alla lettura di un’ode di Orazio. In certe lingue non è neanche possibile di volere ciò che è qui realizzato. Questo mosaico di parole, dove ognuna per il suo timbro, per il suo posto nella frase, l’idea che esprime, fa raggiare la sua forza a destra, a sinistra e sull’insieme, questo minimo nella somma, e il numero dei segni e questo massimo che si raggiunge così nell’energia dei segni — tutto ciò è romano, e, se si vuole credermi, nobile per eccellenza. Tutto il resto della poesia diventa, a lato di questo, qualche cosa di popolare, — un semplice chiacchiericcio di sentimenti…

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