A casa nostra Santa Lucia non si festeggiava mai. Papà diceva sempre che la sua famiglia si poteva permettere di regalare solo qualche arancia e una manciata di zucchero, se andava bene.
«Però è comunque più di quanto non riceva io», protestavo.
Ogni anno ero costretta a sorbirmi la lista dei regali che i miei compagni ricevevano da Santa Lucia. La maestra voleva ascoltarci uno a uno. Non sapevo mai che raccontare, così mi eclissavo in bagno poco prima del mio turno.
Sapevo che la santa, protettrice degli occhi, premiava solo i bambini bravi. E io ero una buona nulla. Mia madre si assicurava di ricordarmelo ogni sabato pomeriggio, quando schizzavo via con la bici invece di aiutarla a fare i mestieri.
Una di quelle volte feci una lunga corsa fino al centro di Bergamo, in via XX Settembre, per piazzare la mia letterina sulla bara di Santa Lucia.
Parcheggiai la mia mountain bike scassata sul sagrato e mi precipitai nella chiesetta, solo per trovarmi davanti una coda infinita. Dozzine di bimbi e genitori in attesa di salutare la santa e consegnarle la lettera coi desideri. Io ero l’unica bambina a non essere accompagnata. Quando venne finalmente il mio turno, congiunsi le mani e strizzai gli occhi in preghiera: «Cara Santa Lucia, lo so che non dovrei buttar giù dalle scale tutti i cani neri. Che la devo smettere di fare la pipì a letto e la cacca in giardino. Ti prometto che quest’anno sarò brava e non farò più arrabbiare mamma e papà. Giurin giuretta».
Aprii gli occhi e mi trovai faccia a faccia con Lucia. Una statua di marmo distesa sulla bara di vetro, come Biancaneve. L’iscrizione recitava: «Santa Lucia, vergine e martire, morta a vent’anni per amore del Signore».
Infilai la mia busta nella buca della posta e le soffiai un bacio.
Eppure anche quell’anno non ricevetti nulla. Temevo che in fondo mia madre avesse ragione.
Negretta
Baci razzisti
SchieleArt • Imagno Reclining Female Nude with Green Cap, Leaning to the Right • 1914
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