Cos'è il feticismo?
La strana parola feticismo viene dal portoghese. In questa lingua fetiço significa fatto. I fatti con la mano dagli uomini sono gli idoli. Feticismo e idolatria sono somiglianti. È un fare dei come prodotto dell’immaginazione dominatrice dell’essere umano; dei fatti, che presto gli si adora come il divino, l’assoluto, ciò che origina il resto. Per questo, il giovane Marx scrisse, quando la libertà di stampa era ristretta dal carattere dispotico del re prussiano, e criticando questo governo dominatore, un testo magnifico: «
Questo testo politico di Marx ci mostra che il feticismo in politica è in relazione con l’assolutizzazione della volontà del rappresentante (così lo voglio, così lo ordino; la volontà [del governante] è il fondamento [la ragione]) della comunità politica che dice di rappresentare. La connessione di fondazione della potestas (il potere che doveva essere esercita to informa delegata) si scollega dalla potentia (il potere dello stesso popolo), e per questo si assolutezza, pretende fondarsi su sé stesso, autoriflessivamente o autoreferenzialmente.
Nell’economia Marx ha spiegato più ampiamente questo rovesciamento che formulava come personificazione della cosa e cosificazione della persona, quando scrive: «Il lavoro vivo […] è incorporato al capitale e appare come un’attività che appartiene a questo […] non appena ha inizio il processo lavorativo […] Così, la forza produttiva de] lavoro sociale e le forme particolari di essa si presentano ora come forze produttive e forme del capitale [ …] C’è qui di nuovo quel rovesciamento di rapporti, per esprimere il quale abbiamo già indicato, nel corso dell’analisi del denaro, il termine feticismo».
Questo rovesciamento consiste nel fatto che essendo il lavoro vivo (o la soggettività corporale vivente del lavoratore: la persona) il fondamento di ogni valore (e il capitale non è altro che valorizzazione accumulata del valore), cioè del capitale (la cosa); adesso, al contrario, il prodotto cosale del lavoro vivo (il capitale) diventa persona o soggetto dell’apparenza, e il lavoratore si trasforma in una cosa (strumento) al servizio dell’aumento del capitale. Feticismo è questo rovesciamento spettrale: ciò che è fondato appare come fondamento e il fondamento come fondato. Questo è il mistero feticista del capitale, cioè un modo di occultamento che distorce l’interpretazione, la conoscenza della realtà rovesciandola.
Alla stessa maniera nella politica, la potestas o il potere istituzionalizzato, che è un esercizio delegato del potere originario della comunità o del popolo (la potentia), si afferma adesso come la sede, come il fondamento, come l’essere, come il potere politico propriamente detto. La volontà del governante, del rappresentante, delle istituzioni, dello Stato, che Marx esprime correttamente nella volontà della ragione, diventa il luogo del potere politico in nome dello stesso governo o governante. Coloro che comandano comandando. E comandano ad obbedienti (come esige M. Weber). La potentia è stata de-potenziata ed è diventata una massa passiva che riceve ordini dal potere politico (le classi dominanti, le elite del potere, le istituzioni politiche, lo Stato, il Leviatano). La potesta s si è divinizzata: si è separata dalla sua origine e si è rivolta a sé stessa, autoreferenzialmente.
Una volta feticizzato il potere (che è la concezione del potere della Modernità colonialista e dell’Impero, a partire da Th. Hobbes), l’azione del rappresentante, del governante (sia un Re, un parlamento liberale, uno Stato, ecc.), inevitabilmente, è un’azione dominatrice, e non un esercizio delegato del potere della comunità. È l’esercizio autoreferente dell’autorità dispotica (benché si sia fatta eleggere con procedimenti che hanno l’apparenza di avere rispettato le istituzioni, come l’elezione popolare dei rappresentanti). La stessa rappresentanza si corrompe. Elegge i dominatori. Tutta la politica è stata rovesciata, feticizzata.
Noi faremo quel che noi vorremo [dice il governo]. Sic volo, sic iubeo, stat pro ratione voluntas
». È in tutto e per tutto un linguaggio da dominatori (Herrschersprache) […] Senza dubbio essa [la provincia] ha il diritto, sotto prescritte circostanze, di crearsi codesti dei, ma subito dopo la creazione deve scordare, come l’adoratore del feticcio, che sono dei di sua manifattura […] Abbiamo qui lo spettacolo straordinario, fondato forse sulla natura della Dieta, che la provincia deve combattere non attraverso, bensì contro i propri rappresentanti.Questo testo politico di Marx ci mostra che il feticismo in politica è in relazione con l’assolutizzazione della volontà del rappresentante (così lo voglio, così lo ordino; la volontà [del governante] è il fondamento [la ragione]) della comunità politica che dice di rappresentare. La connessione di fondazione della potestas (il potere che doveva essere esercita to informa delegata) si scollega dalla potentia (il potere dello stesso popolo), e per questo si assolutezza, pretende fondarsi su sé stesso, autoriflessivamente o autoreferenzialmente.
Nell’economia Marx ha spiegato più ampiamente questo rovesciamento che formulava come personificazione della cosa e cosificazione della persona, quando scrive: «Il lavoro vivo […] è incorporato al capitale e appare come un’attività che appartiene a questo […] non appena ha inizio il processo lavorativo […] Così, la forza produttiva de] lavoro sociale e le forme particolari di essa si presentano ora come forze produttive e forme del capitale [ …] C’è qui di nuovo quel rovesciamento di rapporti, per esprimere il quale abbiamo già indicato, nel corso dell’analisi del denaro, il termine feticismo».
Questo rovesciamento consiste nel fatto che essendo il lavoro vivo (o la soggettività corporale vivente del lavoratore: la persona) il fondamento di ogni valore (e il capitale non è altro che valorizzazione accumulata del valore), cioè del capitale (la cosa); adesso, al contrario, il prodotto cosale del lavoro vivo (il capitale) diventa persona o soggetto dell’apparenza, e il lavoratore si trasforma in una cosa (strumento) al servizio dell’aumento del capitale. Feticismo è questo rovesciamento spettrale: ciò che è fondato appare come fondamento e il fondamento come fondato. Questo è il mistero feticista del capitale, cioè un modo di occultamento che distorce l’interpretazione, la conoscenza della realtà rovesciandola.
Alla stessa maniera nella politica, la potestas o il potere istituzionalizzato, che è un esercizio delegato del potere originario della comunità o del popolo (la potentia), si afferma adesso come la sede, come il fondamento, come l’essere, come il potere politico propriamente detto. La volontà del governante, del rappresentante, delle istituzioni, dello Stato, che Marx esprime correttamente nella volontà della ragione, diventa il luogo del potere politico in nome dello stesso governo o governante. Coloro che comandano comandando. E comandano ad obbedienti (come esige M. Weber). La potentia è stata de-potenziata ed è diventata una massa passiva che riceve ordini dal potere politico (le classi dominanti, le elite del potere, le istituzioni politiche, lo Stato, il Leviatano). La potesta s si è divinizzata: si è separata dalla sua origine e si è rivolta a sé stessa, autoreferenzialmente.
Una volta feticizzato il potere (che è la concezione del potere della Modernità colonialista e dell’Impero, a partire da Th. Hobbes), l’azione del rappresentante, del governante (sia un Re, un parlamento liberale, uno Stato, ecc.), inevitabilmente, è un’azione dominatrice, e non un esercizio delegato del potere della comunità. È l’esercizio autoreferente dell’autorità dispotica (benché si sia fatta eleggere con procedimenti che hanno l’apparenza di avere rispettato le istituzioni, come l’elezione popolare dei rappresentanti). La stessa rappresentanza si corrompe. Elegge i dominatori. Tutta la politica è stata rovesciata, feticizzata.
Feticizzazione del potere
Il feticismo comincia con l’avvilimento soggettivo del singolo rappresentante, che ha il gusto, il piacere, il desiderio, la pulsione sadica dell’esercizio onnipotente del potere feticizzato sui cittadini disciplinati e obbedienti (poiché i non obbedienti sono oggetto della repressione poliziesca, definizione della politica come legalità coattiva dello Stato esterno liberale di Kant, che per questo non esige l’adesione soggettiva della moralità, ciò che C. Schmitt indica con certezza come distruzione radicale del contenuto della politica, o che J. Habermas spiega come mancanza di fondamento sufficiente della legittimità). Questo esercizio è sempre dominazione. Atto del signore davanti allo schiavo romano, davanti al servo feudale, davanti al cittadino che sopporta stoicamente questo esercizio dispotico del potere, coltivando virtù in questa vita e sperando per la prossima ma meritata felicità (come insegnava Kant, il maestro di Konigsberg, città dell’Hansa).
Quando il potere si definisce istituzionale, oggettivamente o sistematicamente come dominazione, nel migliore dei casi proclamato come potere del popolo, dal popolo, e per il popolo (come nel caso del centralismo democratico del Comitato Centrale del socialismo reale, o nel liberalismo, dove le classi borghesi – che per definizione sono sempre minoritarie – raggiungono la maggioranza con procedimenti elettorali occultanti rispetto alle masse obnubilate dai meccanismi feticisti della mediocrazia), le rivendicazioni popolari non potranno mai essere compiute, perché il potere funziona come un’istanza separata, estrinseca, dominatrice dall’alto sul popolo. In effetti, dapprima si è espropriata la comunità, il popolo, del suo potere originario (potentia), e dopo si proclama di servirlo da fuori, dall’alto come l’aquila, come un Mostro, come il Leviatano, che fa esclamare ai popoli: non comprendono nulla tutti i malvagi, che divorano il mio popolo come il pane? (Salmo, 14, 4, narrativa molto ricorrente in K. Marx, appartenente a una famiglia di rabbini ebrei di Treviri).
Il feticismo comincia con l’avvilimento soggettivo del singolo rappresentante, che ha il gusto, il piacere, il desiderio, la pulsione sadica dell’esercizio onnipotente del potere feticizzato sui cittadini disciplinati e obbedienti (poiché i non obbedienti sono oggetto della repressione poliziesca, definizione della politica come legalità coattiva dello Stato esterno liberale di Kant, che per questo non esige l’adesione soggettiva della moralità, ciò che C. Schmitt indica con certezza come distruzione radicale del contenuto della politica, o che J. Habermas spiega come mancanza di fondamento sufficiente della legittimità). Questo esercizio è sempre dominazione. Atto del signore davanti allo schiavo romano, davanti al servo feudale, davanti al cittadino che sopporta stoicamente questo esercizio dispotico del potere, coltivando virtù in questa vita e sperando per la prossima ma meritata felicità (come insegnava Kant, il maestro di Konigsberg, città dell’Hansa).
Quando il potere si definisce istituzionale, oggettivamente o sistematicamente come dominazione, nel migliore dei casi proclamato come potere del popolo, dal popolo, e per il popolo (come nel caso del centralismo democratico del Comitato Centrale del socialismo reale, o nel liberalismo, dove le classi borghesi – che per definizione sono sempre minoritarie – raggiungono la maggioranza con procedimenti elettorali occultanti rispetto alle masse obnubilate dai meccanismi feticisti della mediocrazia), le rivendicazioni popolari non potranno mai essere compiute, perché il potere funziona come un’istanza separata, estrinseca, dominatrice dall’alto sul popolo. In effetti, dapprima si è espropriata la comunità, il popolo, del suo potere originario (potentia), e dopo si proclama di servirlo da fuori, dall’alto come l’aquila, come un Mostro, come il Leviatano, che fa esclamare ai popoli: non comprendono nulla tutti i malvagi, che divorano il mio popolo come il pane? (Salmo, 14, 4, narrativa molto ricorrente in K. Marx, appartenente a una famiglia di rabbini ebrei di Treviri).
Derivazioni dalla feticizzazione del potere
In primo luogo, la feticizzazione del potere, come abbiamo visto, consiste in una Volontà-di-potere come dominazione sul popolo, sugli altri, sui deboli, sui poveri. Ogni altra definizione è squalificata come idealista, non realista, moralista, inefficace. La politica è, in questo caso, l’arte dell’esercizio del potere sugli antagonisti di coloro che, nel migliore dei casi, sono sottomessi egemonicamente alla volontà delle istituzioni feticizzate in favore di alcuni membri particolari della comunità o, nel caso dei paesi postcoloniali (come i latinoamericani), agli Stati metropolitani. Lo stesso potere feticizzato, non potendo fondarsi sulla forza del popolo, deve appoggiarsi sui gruppi che sottomettono violentemente il popolo – quando il consenso dominante ha perduto effettività per produrre l’obbedienza delle masse, cioè quando i tipi di legittimità di Weber smettono di avere accettazione – o nei poteri metropolitani o imperiali. I Carlos Menem o i Carlos Salinas de Gortari godevano di un giudizio molto favorevole negli Stati Uniti o nel Banco Mondiale o nel FMI. Sono governanti dispotici verso il basso e sottomessi e vili verso l’alto. Sono vicerè, neppure re.
In secondo luogo, per potere esercitare un potere autoreferente, feticizzazione della potestas, è necessario prima e continuamente indebolire il potere politico originario della comunità (la potentia). La potestas distrugge la potentia; cioè, disunisce la comunità, impedisce il consenso dal basso del popolo; crea conflitti. Dividere per regnare dice l’adagio feticista. Il potere autoreferente può solo trionfare, se distrugge il potere originario e normativo di ogni politica: il potere della comunità politica. Per questo i dittatori (come Hitler o Pinochet da una parte, e Stalin dall’altra, mantenendo le enormi differenze) reprimono i cittadini, le società civili, la comunità politica, il popolo. Nulla né nessuno può fondare un’azione antidemocratica. Il potere feticizzato è essenzialmente antidemocratico, come vedremo, perché si autofonda sulla propria volontà dispotica.
In terzo luogo, il potere feticizzato aspetta ricompense. Nel mondo feudale, per esempio, l’onore riconosciuto pubblicamente era il frutto dell’esercizio dispotico del potere del signore feudale sui servi e sulle città. La sua Volontà-di-potere si saziava con il riconoscimento politico ed ecclesiale della sua dominazione. Nella società capitalistica, invece, essendo il capitale il valore supremo, il trionfo si misura con l’arricchimento dei cittadini. Il pagamento di colui che dedica la sua vita alla professione della politica (come membro cospicuo di un partito o come rappresentante in un Congresso), quando il potere si è corrotto, cioè si è feticizzato, è l’arricchimento. E come i salari, benché siano alti non sono mai sufficienti (per l’avarizia incommensurabile di colui che gode nel piacere dell’esercizio del potere senza alcuna limitazione), l’accumulazione di ricchezza con mezzi non legittimi si presenta la più rapida possibile. La corruzione del furto del bene pubblico (per l’arricchimento illegale, come per esempio la scoperta di 60 milioni di dollari in una banca svizzera per conto di un politico legato al potere nepotista: corruzione come furto al popolo), e anche la volontà di dominazione che surrettiziamente scivola verso la dominazione erotica della donna subalterna. Si tratta di una confusione soggettiva incosciente in cui si intrecciano la libido o il piacere dell’esercizio dispotico del potere sull’altro, con l’avarizia nell’accumulazione dei suoi beni, e nella dominazione erotica dei suoi corpi.
In quarto luogo, si corrompono le burocrazie politiche dei partiti quando usano per i loro fini la mediazione necessaria dell’esercizio del potere. Smettono di essere rappresentanti che agiscono per delegazione, e si trasformano in despoti che esigono al popolo di rendere omaggio alla loro autorità. Si è ripetuto il rovesciamento. Il popolo invece di essere servito dal rappresentante, diventa il suo servitore. Appaiono le élite o la classe politica come autoreferenti senza rispondere più alla comunità politica.
In quinto luogo, all’interno dei partiti le diverse correnti (chiamate volgarmente tribù) lottano per le loro quote di potere, per avere candidati alle elezioni di rappresentanti (in definitiva competono affinché la maggioranza dei loro membri occupino un posto nel sistema della istituzione politica dello Stato, e con questo abbiano uno stipendio assicurato). Questo indica che si sono corrotti, perché hanno dimenticato la loro responsabilità, come attori che devono prepararsi ed agire, di essere rappresentanti, un esercizio delegato od obbendenziale del potere riguardo alla potentia dello stesso popolo. Nella misura in cui gli importa l’onorabilità del proprio partito, il bene comune della comunità, praticando misure violente, disoneste, contorte o fraudolente per arrivare ad essere rappresentanti con rendita, esprimono profonda corruzione. Il popolo ha sfiducia di candidati o autorità la cui coerenza etica (nella loro famiglia, nella loro tasca, nella loro condotta nel partito, nella strada, ecc.) mostra contraddizioni. Un partito moderno non è un meccanismo elettorale, bensì un corpo di servitori pubblici, con un’ideologia stabilita, prodotta, studiata, portata a termini in azioni politiche sempre pubbliche.
In sesto luogo, si può avere corruzione tra gruppi popolari. Per esempio, il corporativismo è la ricerca del compimento di interessi privati (per esempio, di un sindacato petrolifero che cerca il proprio profitto con prebende in disprezzo del bene di tutto il popolo per non mobilitare gli operai contro la privatizzazione del petrolio), per mezzo della collaborazione con il potere feticizzato di coloro che governano. Molti prendono il controllo dall’alto, per beneficiarsi delle briciole del potere corrotto, rendendolo possibile. Benché tutta la società sia parte di qualche corporazione che lotta per i propri interessi particolari non si compiranno le rivendicazioni del popolo; semplicemente ci saranno molte bande di ladroni lottando tra di loro senza poter concertare un accordo minimo che potesse avere il nome di potere politico dal basso, a partire dal popolo, come potentia. Le regole interne di una banda di ladroni non hanno nulla a che vedere con la normatività politica.
In settimo luogo, possono anche corrompersi interi popoli, come quando la popolazione dell’Impero mantiene il silenzio, guarda da un altro lato, davanti all’immolazione di popoli innocenti come quelli dell’Afghanistan, dell’Iraq o della Palestina, come quando il popolo tedesco nella sua immensa maggioranza non si rese conto dello sterminio degli ebrei nell’Olocausto.
In primo luogo, la feticizzazione del potere, come abbiamo visto, consiste in una Volontà-di-potere come dominazione sul popolo, sugli altri, sui deboli, sui poveri. Ogni altra definizione è squalificata come idealista, non realista, moralista, inefficace. La politica è, in questo caso, l’arte dell’esercizio del potere sugli antagonisti di coloro che, nel migliore dei casi, sono sottomessi egemonicamente alla volontà delle istituzioni feticizzate in favore di alcuni membri particolari della comunità o, nel caso dei paesi postcoloniali (come i latinoamericani), agli Stati metropolitani. Lo stesso potere feticizzato, non potendo fondarsi sulla forza del popolo, deve appoggiarsi sui gruppi che sottomettono violentemente il popolo – quando il consenso dominante ha perduto effettività per produrre l’obbedienza delle masse, cioè quando i tipi di legittimità di Weber smettono di avere accettazione – o nei poteri metropolitani o imperiali. I Carlos Menem o i Carlos Salinas de Gortari godevano di un giudizio molto favorevole negli Stati Uniti o nel Banco Mondiale o nel FMI. Sono governanti dispotici verso il basso e sottomessi e vili verso l’alto. Sono vicerè, neppure re.
In secondo luogo, per potere esercitare un potere autoreferente, feticizzazione della potestas, è necessario prima e continuamente indebolire il potere politico originario della comunità (la potentia). La potestas distrugge la potentia; cioè, disunisce la comunità, impedisce il consenso dal basso del popolo; crea conflitti. Dividere per regnare dice l’adagio feticista. Il potere autoreferente può solo trionfare, se distrugge il potere originario e normativo di ogni politica: il potere della comunità politica. Per questo i dittatori (come Hitler o Pinochet da una parte, e Stalin dall’altra, mantenendo le enormi differenze) reprimono i cittadini, le società civili, la comunità politica, il popolo. Nulla né nessuno può fondare un’azione antidemocratica. Il potere feticizzato è essenzialmente antidemocratico, come vedremo, perché si autofonda sulla propria volontà dispotica.
In terzo luogo, il potere feticizzato aspetta ricompense. Nel mondo feudale, per esempio, l’onore riconosciuto pubblicamente era il frutto dell’esercizio dispotico del potere del signore feudale sui servi e sulle città. La sua Volontà-di-potere si saziava con il riconoscimento politico ed ecclesiale della sua dominazione. Nella società capitalistica, invece, essendo il capitale il valore supremo, il trionfo si misura con l’arricchimento dei cittadini. Il pagamento di colui che dedica la sua vita alla professione della politica (come membro cospicuo di un partito o come rappresentante in un Congresso), quando il potere si è corrotto, cioè si è feticizzato, è l’arricchimento. E come i salari, benché siano alti non sono mai sufficienti (per l’avarizia incommensurabile di colui che gode nel piacere dell’esercizio del potere senza alcuna limitazione), l’accumulazione di ricchezza con mezzi non legittimi si presenta la più rapida possibile. La corruzione del furto del bene pubblico (per l’arricchimento illegale, come per esempio la scoperta di 60 milioni di dollari in una banca svizzera per conto di un politico legato al potere nepotista: corruzione come furto al popolo), e anche la volontà di dominazione che surrettiziamente scivola verso la dominazione erotica della donna subalterna. Si tratta di una confusione soggettiva incosciente in cui si intrecciano la libido o il piacere dell’esercizio dispotico del potere sull’altro, con l’avarizia nell’accumulazione dei suoi beni, e nella dominazione erotica dei suoi corpi.
In quarto luogo, si corrompono le burocrazie politiche dei partiti quando usano per i loro fini la mediazione necessaria dell’esercizio del potere. Smettono di essere rappresentanti che agiscono per delegazione, e si trasformano in despoti che esigono al popolo di rendere omaggio alla loro autorità. Si è ripetuto il rovesciamento. Il popolo invece di essere servito dal rappresentante, diventa il suo servitore. Appaiono le élite o la classe politica come autoreferenti senza rispondere più alla comunità politica.
In quinto luogo, all’interno dei partiti le diverse correnti (chiamate volgarmente tribù) lottano per le loro quote di potere, per avere candidati alle elezioni di rappresentanti (in definitiva competono affinché la maggioranza dei loro membri occupino un posto nel sistema della istituzione politica dello Stato, e con questo abbiano uno stipendio assicurato). Questo indica che si sono corrotti, perché hanno dimenticato la loro responsabilità, come attori che devono prepararsi ed agire, di essere rappresentanti, un esercizio delegato od obbendenziale del potere riguardo alla potentia dello stesso popolo. Nella misura in cui gli importa l’onorabilità del proprio partito, il bene comune della comunità, praticando misure violente, disoneste, contorte o fraudolente per arrivare ad essere rappresentanti con rendita, esprimono profonda corruzione. Il popolo ha sfiducia di candidati o autorità la cui coerenza etica (nella loro famiglia, nella loro tasca, nella loro condotta nel partito, nella strada, ecc.) mostra contraddizioni. Un partito moderno non è un meccanismo elettorale, bensì un corpo di servitori pubblici, con un’ideologia stabilita, prodotta, studiata, portata a termini in azioni politiche sempre pubbliche.
In sesto luogo, si può avere corruzione tra gruppi popolari. Per esempio, il corporativismo è la ricerca del compimento di interessi privati (per esempio, di un sindacato petrolifero che cerca il proprio profitto con prebende in disprezzo del bene di tutto il popolo per non mobilitare gli operai contro la privatizzazione del petrolio), per mezzo della collaborazione con il potere feticizzato di coloro che governano. Molti prendono il controllo dall’alto, per beneficiarsi delle briciole del potere corrotto, rendendolo possibile. Benché tutta la società sia parte di qualche corporazione che lotta per i propri interessi particolari non si compiranno le rivendicazioni del popolo; semplicemente ci saranno molte bande di ladroni lottando tra di loro senza poter concertare un accordo minimo che potesse avere il nome di potere politico dal basso, a partire dal popolo, come potentia. Le regole interne di una banda di ladroni non hanno nulla a che vedere con la normatività politica.
In settimo luogo, possono anche corrompersi interi popoli, come quando la popolazione dell’Impero mantiene il silenzio, guarda da un altro lato, davanti all’immolazione di popoli innocenti come quelli dell’Afghanistan, dell’Iraq o della Palestina, come quando il popolo tedesco nella sua immensa maggioranza non si rese conto dello sterminio degli ebrei nell’Olocausto.
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