Il famoso coro […] «Va, pensiero, sull’ali dorate», si suppone che ritragga al vivo i sentimenti del popolo ebraico in cattività, smanioso di attingere la libertà ancor rimandata. Di più, si suppone che […] anziché la cattività degli ebrei adombri le sofferenze del popolo italiano gemente ancora sotto il giogo austriaco e ansioso di riscattarsene. In realtà non è vera nessuna delle due proposizioni. Vera, s’intende, in senso musicale […]. Il coro «Va pensiero» spiega, bensì, tutta la gamma più ricca, e con una insolita intensità e potenza espressiva, d’uno struggente desiderio d’un bene perduto che s’innalza fino all’illuminante dignità del sentimento della speranza. E dir questo è già dire qualcosa che, trattandosi di musica, dice anche troppo e troppo specificato. Ma siamo sempre nell’ambito di sentimenti, e di figure che la musica può esprimere. Mentre la musica non può, in alcun modo, esprimere la circostanza specifica. […] Non si potrà dire che il coro è più bello perché offriva la possibilità di riconoscervi i salienti d’una situazione che si stava vivendo: si potrà dire, tutt’al più, che è tanto più bello in quanto quei sentimenti, che sono eterni allo spirito umano, anche quando non c’è nessuno che lo opprima – perché l’oppressione può essere un fatto del tutto interiore – ricevevano una espressione piena, talmente piena che comprendeva anche il suggerimento di una analogia con un fatto vivo e attuale. Il fatto poi che il coro, dopo un ampio arioso, seguito da un’aria e quindi da un nuovo coro più e meglio risentito che ad essa s’intreccia, s’impenni a un senso di decisa riscossa, giustifica quel che qui s’intende per dramma musicale. Tra i due momenti, quello di ansia e di speranza, e quello di riscossa, esiste un potente scatto dialettico: e questo è azione, è teatro.
Va, pensiero, sull’ali dorate
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