[…] si domanda: l’unione della mente nostra colla realtà, del soggetto coll’oggetto è dessa una verace e fedele rappresentazione delle cose conosciute o non piuttosto una mera apparenza, un sogno, un’illusione destituita di realtà? Gli oggetti, che noi crediamo conoscere, son dessi in sé veracemente tali quali noi li pensiamo e li giudichiamo, o non sono punto conformi alle idee che noi ce ne siamo formati giusta il tenore delle leggi della nostra intelligenza? In altri termini la natura assoluta o noumenica delle cose è dessa conforme od affatto discorde dalla loro natura relativa e fenomenica?
Problema gravissimo e pauroso quant’altro mai è questo, che qui si agita intorno alla veracità e realtà oggettiva delle umane cognizioni; questione terribile di vita e di morte per l’umano pensiero, perché da essa pendono le sorti della scienza tutta, e la stessa vita pratica muta d’intendimento, di valore, di pregio a seconda della soluzione che altri dà al proposto problema. Poiché se l’uomo dopo tante fatiche e tanti sforzi per rintracciare il vero, fosse da un’inflessibile logica condotto a sentenziare che la verità reale ed oggettiva è un vano desiderio, anzi un tormento della nostra mente; che tutto il nostro sapere non è che illusione e vuoto fantasma, che noi non conosciamo che le apparenze, non già le realità quali esistono in natura; oh! in allora bisognerebbe pur dire, che la nostra esistenza è una maledizione, e lo spirito (osserva il Jacobi) dovrebbe aver paura del pensiero siccome della più orribile di tutte le cose.
Vita pratica muta d’intendimento
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