Il principio democratico
La democrazia è essenzialmente un’istituzionalizzazione delle mediazioni che permettono di eseguire azioni e istituzioni, esercizi delegati del potere, legittimi. Si implementano con sistemi di istituzioni empiriche, inventate, provate e corrette dall’umanità durante millenni, al fine di raggiungere una accettazione forte da parte di tutti i cittadini. La finalità è un concorso legittimo. Tutto questo sistema istituzionale è costituito e incoraggiato da dentro da un principio normativo (che sussume il principio di validità universale dell’etica nel campo politico). Il valido nell’etica è il legittimo in politica (che unisce alla semplice validità etica istituzioni coercitive il cui monopolio deve averlo la potestas, al contrario ciascun soggetto singolare potrebbe tentare di castigare con la vendetta un’ingiustizia sofferta: sarebbe uno Stato di barbarie precedente allo Stato di diritto).
Il principio democratico è enunciato frequentemente dai filosofi moderni. Questo non li priva dal cadere in certi equivoci. Per esempio, J. J. Rousseau scrive, ne Il contratto sociale, che è necessario: Trovare una forma di associazione che protegga e difenda con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, mediante la quale ognuno unendosi a tutti non obbedisca tuttavia che a se stesso, e resti libero come prima.
La formulazione ha molte ambiguità. In primo luogo, questa forma di associazione (è il formale della procedura) non solo deve difendere ciascuna persona, bensì primariamente tutta la comunità, perché il punto di partenza non sono individui isolati bensì comunità storiche già sempre presupposte (un Robinson Crusoe non perso, ma da sempre isolato non potrebbe nascere (!) – è una contraddizione -, né potrebbe divenire umano nella solitudine: chi gli insegnerebbe, per esempio, a parlare?; c’è sempre una comunità come punto di partenza). In secondo luogo, e in effetti, quando il cittadino partecipa simmetricamente, dando ragioni per raggiungere il consenso, ciascuno si unisce a tutti non obbedendo che a se stesso (poiché liberamente ha deciso di emettere la legge che lo obbliga e deve obbedirle perché lui – o anche lei – l’ha emessa). Ma in questo caso non rimane libero come prima, perché adesso un’obbligazione civica lo lega, lo costituisce come libero ma entro un ordine giuridico di fraternità che gli impedisce una onnicomprensiva spontaneità. Adesso la libertà è comunicativa, e può esercitarsi legittimamente (ed è legittima la sua libertà se obbedisce alla legge che lui o lei stessa hanno emesso – se hanno partecipato simmetricamente nella sua istituzionalizzazione).
La democrazia, nel suo fondamento, è un principio normativo; è un tipo di obbligazione che è in vigore entro l’ambito della soggettività (sempre intersoggettiva) di ciascun cittadino, e che anima da dentro tutti i momenti architettonici della politica. Una minima descrizione potrebbe essere la seguente:
Dobbiamo operare politicamente sempre in maniera tale che ogni decisione di ogni azione, di ogni organizzazione o delle strutture di un’istituzione (micro o macro), al livello materiale o nel sistema formale del diritto (come il dettato di una legge) o nella sua applicazione giudiziaria, cioè nell’esercizio delegato del potere obbedienziale, sia frutto di un processo di accordo mediante consenso, nel quale possano partecipare gli interessati nella maniera più piena (di coloro di cui si abbia coscienza); questo accordo deve decidersi a partire da ragioni (senza violenza) con il maggiore grado di simmetria possibile dei partecipanti, in maniera pubblica e secondo l’istituzionalità (democratica) accordata prima. La decisione così presa si impone alla comunità e a ciascun membro come un dovere politico, che normativamente o con esigenza pratica (che sussume come politico il principio morale formale) obbliga legittimamente il cittadino.
Questo principio è vigente dal momento in cui la comunità decide di istituzionalizzarsi originariamente (prima anche della Costituzione), e deve essere compiuto in tutti i momenti dello spiegamento di tutti i processi politici senza alcuna eccezione. Il centralismo democratico (un circolo quadrato contraddittorio), la governabilità della democrazia dell’Impero, o l’ottenere il governo, essendo una minoranza (ingannando le maggioranze con legittimità apparenti come la weberiana o la liberale), debbono essere respinte e superate con un’attenzione continua al compimento perenne di questo principio normativo. Nell’ombra (il non-pubblico), dell’elite borghese al potere, del Dipartimento di Stato o del Comitato Centrale, non si potranno mai raggiungere accordi legittimi, democratici. È l’insegnamento maggiore della caduta del socialismo reale.
La democrazia è essenzialmente un’istituzionalizzazione delle mediazioni che permettono di eseguire azioni e istituzioni, esercizi delegati del potere, legittimi. Si implementano con sistemi di istituzioni empiriche, inventate, provate e corrette dall’umanità durante millenni, al fine di raggiungere una accettazione forte da parte di tutti i cittadini. La finalità è un concorso legittimo. Tutto questo sistema istituzionale è costituito e incoraggiato da dentro da un principio normativo (che sussume il principio di validità universale dell’etica nel campo politico). Il valido nell’etica è il legittimo in politica (che unisce alla semplice validità etica istituzioni coercitive il cui monopolio deve averlo la potestas, al contrario ciascun soggetto singolare potrebbe tentare di castigare con la vendetta un’ingiustizia sofferta: sarebbe uno Stato di barbarie precedente allo Stato di diritto).
Il principio democratico è enunciato frequentemente dai filosofi moderni. Questo non li priva dal cadere in certi equivoci. Per esempio, J. J. Rousseau scrive, ne Il contratto sociale, che è necessario: Trovare una forma di associazione che protegga e difenda con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, mediante la quale ognuno unendosi a tutti non obbedisca tuttavia che a se stesso, e resti libero come prima.
La formulazione ha molte ambiguità. In primo luogo, questa forma di associazione (è il formale della procedura) non solo deve difendere ciascuna persona, bensì primariamente tutta la comunità, perché il punto di partenza non sono individui isolati bensì comunità storiche già sempre presupposte (un Robinson Crusoe non perso, ma da sempre isolato non potrebbe nascere (!) – è una contraddizione -, né potrebbe divenire umano nella solitudine: chi gli insegnerebbe, per esempio, a parlare?; c’è sempre una comunità come punto di partenza). In secondo luogo, e in effetti, quando il cittadino partecipa simmetricamente, dando ragioni per raggiungere il consenso, ciascuno si unisce a tutti non obbedendo che a se stesso (poiché liberamente ha deciso di emettere la legge che lo obbliga e deve obbedirle perché lui – o anche lei – l’ha emessa). Ma in questo caso non rimane libero come prima, perché adesso un’obbligazione civica lo lega, lo costituisce come libero ma entro un ordine giuridico di fraternità che gli impedisce una onnicomprensiva spontaneità. Adesso la libertà è comunicativa, e può esercitarsi legittimamente (ed è legittima la sua libertà se obbedisce alla legge che lui o lei stessa hanno emesso – se hanno partecipato simmetricamente nella sua istituzionalizzazione).
La democrazia, nel suo fondamento, è un principio normativo; è un tipo di obbligazione che è in vigore entro l’ambito della soggettività (sempre intersoggettiva) di ciascun cittadino, e che anima da dentro tutti i momenti architettonici della politica. Una minima descrizione potrebbe essere la seguente:
Dobbiamo operare politicamente sempre in maniera tale che ogni decisione di ogni azione, di ogni organizzazione o delle strutture di un’istituzione (micro o macro), al livello materiale o nel sistema formale del diritto (come il dettato di una legge) o nella sua applicazione giudiziaria, cioè nell’esercizio delegato del potere obbedienziale, sia frutto di un processo di accordo mediante consenso, nel quale possano partecipare gli interessati nella maniera più piena (di coloro di cui si abbia coscienza); questo accordo deve decidersi a partire da ragioni (senza violenza) con il maggiore grado di simmetria possibile dei partecipanti, in maniera pubblica e secondo l’istituzionalità (democratica) accordata prima. La decisione così presa si impone alla comunità e a ciascun membro come un dovere politico, che normativamente o con esigenza pratica (che sussume come politico il principio morale formale) obbliga legittimamente il cittadino.
Questo principio è vigente dal momento in cui la comunità decide di istituzionalizzarsi originariamente (prima anche della Costituzione), e deve essere compiuto in tutti i momenti dello spiegamento di tutti i processi politici senza alcuna eccezione. Il centralismo democratico (un circolo quadrato contraddittorio), la governabilità della democrazia dell’Impero, o l’ottenere il governo, essendo una minoranza (ingannando le maggioranze con legittimità apparenti come la weberiana o la liberale), debbono essere respinte e superate con un’attenzione continua al compimento perenne di questo principio normativo. Nell’ombra (il non-pubblico), dell’elite borghese al potere, del Dipartimento di Stato o del Comitato Centrale, non si potranno mai raggiungere accordi legittimi, democratici. È l’insegnamento maggiore della caduta del socialismo reale.
Edificazione del principio democratico
Ogni principio deve essere applicato empiricamente. I classici chiamavano prudenza (p??s??? in greco) la sapienza pratica, che induceva il cittadino a sapere applicare correttamente al caso concreto i principi universali – l’universalità del principio non toglie, bensì chiarifica, l’inevitabile incertezza di ogni decisione politica, per cui è sempre fallibile. Attualmente, senza respingere questa posizione, dobbiamo integrarla intersoggettivamente.
L’applicazione al caso concreto si fa contrariamente, secondo il principio democratico (per simmetrica partecipazione degli interessati, dando ragioni per arrivare ad accordi). Ma mai si può, se non eccezionalmente, arrivare all’unanimità. Ma per questo ci saranno sempre minoranze in disaccordo, in dissenso. Qui si deve prendere coscienza di strumenti molteplici che usa l’applicazione del principio, dei quali nessuno separatamente preso è democratico se non lo ispira dall’interno il principio nonnativo in quanto normativo (cioè, che obbliga soggettivarnente i cittadini).
Nessuna decisione è perfetta (per questo ci sarebbe bisogno di un’intelligenza infinita, una fraternità pura, un tempo infinito, impossibili per la finitezza umana). Ogni decisione (che comanda sulle azioni e fonda le istituzioni) non è perfetta; cioè, è imperfetta; presto, sempre comporterà, anche non intenzionalmente, qualche effetto negativo. In generale, le minoranze o l’opposizione captano questi effetti negativi, perché li soffrono. Nella soluzione degli effetti negativi è il futuro, la trasformazione, il progresso qualitativo della vita. Rispettare la minoranza è onorare il futuro; è accettare possibili errori inevitabili; è potere correggerli (la correzione si effettua usando gli stessi principi normativi enunciati).
Ogni votazione per chiudere una discussione è per definizione un interrompere un processo non iniziato. Pertanto la decisione adottata per votazione non è la verità pratica. Soltanto è l’accordo raggiunto fino al momento (imperfetto, con effetti negativi inevitabili). È semplicemente uno strumento della finitezza umana in vista del progresso, per migliori decisioni nel futuro.
Per tutto questo, contro J. Habermas, la prudenza monologica del singolo ha sempre importanza, perché alla fine l’accordo è la somma organica di decisioni monologiche dettate dalla singola prudenza. Inoltre, il dissidente (che può avere ragione, fonte di progressi futuri) ha una convinzione della sua proposta non con l’accordo (perché è dissidente), bensì a partire dalla sua singola valutazione del caso (giudizio quindi prudenziale). In riassunto, il principio democratico discorsivo, comunitario, non risparmia la responsabilità singolare di ciascun cittadino, che deve avere l’abilità di esprimere il suo dissenso, quando lo ritiene fondato (a partire dalla conclusione della propria coscienza politica).
Lo stesso si dica della rappresentanza. Di fronte all’impossibilità della democrazia diretta, è necessario scegliere rappresentanti. L’elezione libera e segreta di rappresentanti è un’istituzione inventata dall’antichità. Non è identica a un’elezione perfetta, né è intrinsecamente democratica. È un momento istituzionale che, incoraggiata dal principio democratico, serve, insieme ad altre istituzioni, da mediazione non esente da possibile corruzione.
La totalità del sistema liberale, per esempio, è egualmente un sistema concreto. In nessuna maniera è un principio normativo e neppure un esempio da imitare. È frutto di un processo storico che ciascuna comunità metropolitana e colonialista (Regno Unito, Francia, Stati Uniti, ecc.) provarono con successo. I sistemi democratici postcoloniali e periferici dovranno studiare istituzioni concrete e creare nuovi sistemi concreti, fattibili, appropriati a partire dal principio democratico.
Ogni principio deve essere applicato empiricamente. I classici chiamavano prudenza (p??s??? in greco) la sapienza pratica, che induceva il cittadino a sapere applicare correttamente al caso concreto i principi universali – l’universalità del principio non toglie, bensì chiarifica, l’inevitabile incertezza di ogni decisione politica, per cui è sempre fallibile. Attualmente, senza respingere questa posizione, dobbiamo integrarla intersoggettivamente.
L’applicazione al caso concreto si fa contrariamente, secondo il principio democratico (per simmetrica partecipazione degli interessati, dando ragioni per arrivare ad accordi). Ma mai si può, se non eccezionalmente, arrivare all’unanimità. Ma per questo ci saranno sempre minoranze in disaccordo, in dissenso. Qui si deve prendere coscienza di strumenti molteplici che usa l’applicazione del principio, dei quali nessuno separatamente preso è democratico se non lo ispira dall’interno il principio nonnativo in quanto normativo (cioè, che obbliga soggettivarnente i cittadini).
Nessuna decisione è perfetta (per questo ci sarebbe bisogno di un’intelligenza infinita, una fraternità pura, un tempo infinito, impossibili per la finitezza umana). Ogni decisione (che comanda sulle azioni e fonda le istituzioni) non è perfetta; cioè, è imperfetta; presto, sempre comporterà, anche non intenzionalmente, qualche effetto negativo. In generale, le minoranze o l’opposizione captano questi effetti negativi, perché li soffrono. Nella soluzione degli effetti negativi è il futuro, la trasformazione, il progresso qualitativo della vita. Rispettare la minoranza è onorare il futuro; è accettare possibili errori inevitabili; è potere correggerli (la correzione si effettua usando gli stessi principi normativi enunciati).
Ogni votazione per chiudere una discussione è per definizione un interrompere un processo non iniziato. Pertanto la decisione adottata per votazione non è la verità pratica. Soltanto è l’accordo raggiunto fino al momento (imperfetto, con effetti negativi inevitabili). È semplicemente uno strumento della finitezza umana in vista del progresso, per migliori decisioni nel futuro.
Per tutto questo, contro J. Habermas, la prudenza monologica del singolo ha sempre importanza, perché alla fine l’accordo è la somma organica di decisioni monologiche dettate dalla singola prudenza. Inoltre, il dissidente (che può avere ragione, fonte di progressi futuri) ha una convinzione della sua proposta non con l’accordo (perché è dissidente), bensì a partire dalla sua singola valutazione del caso (giudizio quindi prudenziale). In riassunto, il principio democratico discorsivo, comunitario, non risparmia la responsabilità singolare di ciascun cittadino, che deve avere l’abilità di esprimere il suo dissenso, quando lo ritiene fondato (a partire dalla conclusione della propria coscienza politica).
Lo stesso si dica della rappresentanza. Di fronte all’impossibilità della democrazia diretta, è necessario scegliere rappresentanti. L’elezione libera e segreta di rappresentanti è un’istituzione inventata dall’antichità. Non è identica a un’elezione perfetta, né è intrinsecamente democratica. È un momento istituzionale che, incoraggiata dal principio democratico, serve, insieme ad altre istituzioni, da mediazione non esente da possibile corruzione.
La totalità del sistema liberale, per esempio, è egualmente un sistema concreto. In nessuna maniera è un principio normativo e neppure un esempio da imitare. È frutto di un processo storico che ciascuna comunità metropolitana e colonialista (Regno Unito, Francia, Stati Uniti, ecc.) provarono con successo. I sistemi democratici postcoloniali e periferici dovranno studiare istituzioni concrete e creare nuovi sistemi concreti, fattibili, appropriati a partire dal principio democratico.
Il principio politico di fattibilità strategica
Tocchiamo un tema centrale della politica, alla quale N. Machiavelli ha dato tanta importanza ne Il principe. La politica è definita da alcuni come l’arte del possibile. Si tratta di una possibilità empirica, ma molto particolare. Il suo limite è l’impossibile. Hegel ci parla dei progetti politici impossibili, quando indica che quelle astrazioni hanno di certo prodotto […] il sovvertimento di tutto ciò che esiste e […] voler dare per base ad esso, semplicemente la pretesa razionalità. Marx, al contrario, mostra l’impossibilità della politica (e dello stesso capitalismo) quando si lascia tutto nelle mani delle relazioni mercantili, sacrificando la vita umana esclusivamente al progresso del capitale, che in F. Hinkelammert si formula nella seguente maniera: La società capitalista è impossibile perché è autodistruttrice, pertanto, il progresso scatenato dentro la società borghese può essere solamente orientato in funzione della vita umana.
Questo possibile controllare l’azione o l’istituzione (il capitale è anche un’istituzione) indica il momento normativo del principio di fattibilità, appunto nel campo politico, che non è altro che inquadrare l’azione sistemica efficace entro i parametri degli altri due principi politici normativi già enunciati.
Il principio normativo di fattibilità politica potrebbe essere approssimativamente enunciato nella seguente maniera: Dobbiamo operare strategicamente tenendo in conto che le azioni e le istituzioni politiche devono essere sempre considerate come possibilità fattibili, al di là della semplice possibilità conservatrice e al di qua della possibilità-impossibile dell’anarchico estremo (di destra nel caso di R. Nozick o di sinistra di M. Bakunin); cioè, i mezzi e i fini, che hanno successo, dell’azione e delle istituzioni debbono ottenersi dentro gli stretti margini – come indicava R. Luxemburg: a] i cui contenuti sono delimitati e motivati dall’interno per mezzo del principio materiale politico (la vita immediata della comunità), e b] la cui legittimità sia stata determinata dal principio democratico. Lo stesso vale per i mezzi, le tattiche, le strategie per compiere i fini dentro il progetto politico concreto tentato.
Il principio politico di fattibilità si inquadra dentro l’orizzonte delimitato dai primi due principi normativi politici per determinare la possibilità dei fini (fissa un limite negativamente: Non devi fare questo perché è impossibile empiricamente! ), ma esercita un’azione specifica, propria, nel giudizio sui mezzi, che compiano non soltanto formalmente i fini (usando la razionalità formale descritta da M. Weber), bensì materiale e procedurale per quanto riguarda la consistenza intrinseca del mezzo in quanto normativo. (Usa questo mezzo perché afferma la vita, è legittimo ed efficace per il fine!). Non si deve torturare l’oppositore politico perché confessi la strategia degli oppositori. Questa impossibilità normativo-politica della tortura indica che non tutti i mezzi sono possibili (usarli, giudicarli, determinarli) per i fini (normativi) della politica. L’obiezione si esprimerebbe approssimativamente così: Che utilità ha la normatività che diminuisce le possibilità strategiche?. La risposta sarebbe: A breve termine sembrerebbe diminuire le possibilità; ma a medio e a lungo termine dà coerenza evitando contraddizioni, permette una fondazione stabile per convincere il gruppo di attori, crea legittimità, evita conflitti di origine materiale, permette agli attori un’onesta pretesa politica di giustizia, dà all’azione, all’istituzione o all’ordine raggiunto una maggiore permanenza, governabilità e stabilità. In riassunto, rinforza il potere (come potentia e come potestas) raggiungendo il poter-porre mezzi con piena accettazione di tutti i cittadini.
La pretesa di fattibilità politica dell’azione strategica, quindi, deve rispettare le condizioni normative materiali e formali in ciascuno dei suoi passi, inoltre, con le esigenze proprie dell’efficacia politica, nella gestione della scarsità e della governabilità, per permettere alla fattibilità normativa del potere di dare vita a un ordine politico che, nel lungo termine, raggiunga permanenza e stabilità, dovendo non soltanto ottenere, effettuando la sua azione, effetti positivi (causa del merito e dell’onore), bensì specialmente dovendo assumersi responsabilità per gli effetti negativi (causa di critica o castigo), nel cui caso non smetterà di correggerli, affinché gli effetti negativi, benché siano indiretti o non intenzionali, non producano fatti definitivamente irreversibili. Dovrà considerarsi per questo, in primo luogo, a] l’efficacia di fronte alla scarsità delle risorse (quantitativamente finite davanti a una comunità con bisogni sempre crescenti) per quanto riguarda la decisione e l’uso dei mezzi, e, in secondo luogo, b] la governabilità (a partire dalla complessità delle istituzioni), partendo dall’incertezza contingente di ciò che non si può decidere nelle azioni e nelle istituzioni.
Tocchiamo un tema centrale della politica, alla quale N. Machiavelli ha dato tanta importanza ne Il principe. La politica è definita da alcuni come l’arte del possibile. Si tratta di una possibilità empirica, ma molto particolare. Il suo limite è l’impossibile. Hegel ci parla dei progetti politici impossibili, quando indica che quelle astrazioni hanno di certo prodotto […] il sovvertimento di tutto ciò che esiste e […] voler dare per base ad esso, semplicemente la pretesa razionalità. Marx, al contrario, mostra l’impossibilità della politica (e dello stesso capitalismo) quando si lascia tutto nelle mani delle relazioni mercantili, sacrificando la vita umana esclusivamente al progresso del capitale, che in F. Hinkelammert si formula nella seguente maniera: La società capitalista è impossibile perché è autodistruttrice, pertanto, il progresso scatenato dentro la società borghese può essere solamente orientato in funzione della vita umana.
Questo possibile controllare l’azione o l’istituzione (il capitale è anche un’istituzione) indica il momento normativo del principio di fattibilità, appunto nel campo politico, che non è altro che inquadrare l’azione sistemica efficace entro i parametri degli altri due principi politici normativi già enunciati.
Il principio normativo di fattibilità politica potrebbe essere approssimativamente enunciato nella seguente maniera: Dobbiamo operare strategicamente tenendo in conto che le azioni e le istituzioni politiche devono essere sempre considerate come possibilità fattibili, al di là della semplice possibilità conservatrice e al di qua della possibilità-impossibile dell’anarchico estremo (di destra nel caso di R. Nozick o di sinistra di M. Bakunin); cioè, i mezzi e i fini, che hanno successo, dell’azione e delle istituzioni debbono ottenersi dentro gli stretti margini – come indicava R. Luxemburg: a] i cui contenuti sono delimitati e motivati dall’interno per mezzo del principio materiale politico (la vita immediata della comunità), e b] la cui legittimità sia stata determinata dal principio democratico. Lo stesso vale per i mezzi, le tattiche, le strategie per compiere i fini dentro il progetto politico concreto tentato.
Il principio politico di fattibilità si inquadra dentro l’orizzonte delimitato dai primi due principi normativi politici per determinare la possibilità dei fini (fissa un limite negativamente: Non devi fare questo perché è impossibile empiricamente! ), ma esercita un’azione specifica, propria, nel giudizio sui mezzi, che compiano non soltanto formalmente i fini (usando la razionalità formale descritta da M. Weber), bensì materiale e procedurale per quanto riguarda la consistenza intrinseca del mezzo in quanto normativo. (Usa questo mezzo perché afferma la vita, è legittimo ed efficace per il fine!). Non si deve torturare l’oppositore politico perché confessi la strategia degli oppositori. Questa impossibilità normativo-politica della tortura indica che non tutti i mezzi sono possibili (usarli, giudicarli, determinarli) per i fini (normativi) della politica. L’obiezione si esprimerebbe approssimativamente così: Che utilità ha la normatività che diminuisce le possibilità strategiche?. La risposta sarebbe: A breve termine sembrerebbe diminuire le possibilità; ma a medio e a lungo termine dà coerenza evitando contraddizioni, permette una fondazione stabile per convincere il gruppo di attori, crea legittimità, evita conflitti di origine materiale, permette agli attori un’onesta pretesa politica di giustizia, dà all’azione, all’istituzione o all’ordine raggiunto una maggiore permanenza, governabilità e stabilità. In riassunto, rinforza il potere (come potentia e come potestas) raggiungendo il poter-porre mezzi con piena accettazione di tutti i cittadini.
La pretesa di fattibilità politica dell’azione strategica, quindi, deve rispettare le condizioni normative materiali e formali in ciascuno dei suoi passi, inoltre, con le esigenze proprie dell’efficacia politica, nella gestione della scarsità e della governabilità, per permettere alla fattibilità normativa del potere di dare vita a un ordine politico che, nel lungo termine, raggiunga permanenza e stabilità, dovendo non soltanto ottenere, effettuando la sua azione, effetti positivi (causa del merito e dell’onore), bensì specialmente dovendo assumersi responsabilità per gli effetti negativi (causa di critica o castigo), nel cui caso non smetterà di correggerli, affinché gli effetti negativi, benché siano indiretti o non intenzionali, non producano fatti definitivamente irreversibili. Dovrà considerarsi per questo, in primo luogo, a] l’efficacia di fronte alla scarsità delle risorse (quantitativamente finite davanti a una comunità con bisogni sempre crescenti) per quanto riguarda la decisione e l’uso dei mezzi, e, in secondo luogo, b] la governabilità (a partire dalla complessità delle istituzioni), partendo dall’incertezza contingente di ciò che non si può decidere nelle azioni e nelle istituzioni.
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