Il postulato della 'pace perpetua'. Responsabilità con gli esclusi: l'alterità

Al di là dell’eguaglianza della Rivoluzione borghese si trova la responsabilità con l’alterità, per i diritti distinti, differenti dell’Altro. Al di là della comunità politica degli eguali (dei bianchi, dei proprietari, del sistema metropolitano, del cittadino astratto, dell’elite) si trovano gli sfruttati, gli esclusi, i non-eguali (di razza non bianca, poveri, postcoloniali, differenti per la loro cultura, sesso, età), le masse popolari. Nuovi diritti tengono conto di loro.
Il postulato della sfera della legittimità è la pace perpetua, logicamente pensabile, empiricamente impossibile di essere realizzato perfettamente. Tuttavia, come criterio di orientamento ci apre l’orizzonte della sistemazione di tutti i conflitti non con l’uso della violenza (come nel caso degli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq, guerre ingiuste oltre che inutili; tentazione della potenza militarizzata senza principi normativi). La pace perpetua definisce la ragione discorsiva come quella incaricata di arrivare ad accordi; razionabilità davanti alla violenza, realizzando le rivendicazioni materiali e la partecipazione in uguaglianza di condizioni. Relegare la violenza come mezzo di accordi è proprio della legittimità democratica.
Gli interessi materiali (sociali, economici, ecologici, culturali, ecc.) determinano l’attore che partecipa alle istituzioni di legittimità (elezioni, rappresentanza, assemblee costituenti, sistema di diritto, congresso di deputati, giudici, ecc.). Per definizione, tuttavia, ogni sistema di legittimità o democratico non può essere perfetto. Inevitabilmente sono esclusi molti cittadini (fra questi, perché spesso non entrano nella definizione di cittadini, sono i salariati per J. Locke, le donne fino alle suffragette, i meticci, indios e schiavi per i creoli emancipati latinoamericani, ecc.). Per questo, l’eguaglianza della comunità politica borghese lasciava fuori la maggioranza della popolazione.
Chiamiamo solidarietà nella sfera del diritto la responsabilità per colui che non ha (o per colui al quale non gli si è concesso). L’affermazione dell’alterità dell’altro non è eguale all’eguaglianza liberale. Anche la lotta per il riconoscimento dell’altro come eguale (aspirando alla sua incorporazione nello Stesso) è qualcosa di diverso alla lotta per il riconoscimento dell’Altro come altro (aspirando quindi a un nuovo sistema del diritto successivo al riconoscimento della differenza). L’affermazione dell’alterità è molto più radicale che l’omogeneità del cittadino moderno. Si tratta dell’istituzionalizzazione di un diritto eterogeneo, differenziato, rispettoso di pratiche giuridiche diverse. Per esempio, nel diritto moderno (di lunga storia a partire dal diritto romano e medievale) colui che assassina un altro cittadino è incarcerato, a volte a vita. Tra i maya del Chiapas colui che uccide un altro membro della comunità è castigato, in primo luogo, alla coltivazione del terreno dell’assassinato al fine di alimentare la famiglia di quello che è rimasta senza sostegno. I maya mostrano l’irrazionalità del diritto moderno, poiché in questo diritto l’assassino e l’assassinato lasciano due famiglie senza sostegno, essendo castigate le famiglie senza protezione e non l’attore del gesto. D’altra parte, l’assassinato non guadagna nulla con l’imprigionamento del suo assassino, ma perde molto anche con la povertà e la miseria della sua famiglia. Si mostra così la superiorità di un diritto penale sull’altro, su questo aspetto.

Al di là dell’eguaglianza della Rivoluzione borghese si trova la responsabilità con l’alterità, per i diritti distinti, differenti dell’Altro. Al di là della comunità politica degli eguali (dei bianchi, dei proprietari, del sistema metropolitano, del cittadino astratto, dell’elite) si trovano gli sfruttati, gli esclusi, i non-eguali (di razza non bianca, poveri, postcoloniali, differenti per la loro cultura, sesso, età), le masse popolari. Nuovi diritti tengono conto di loro.
Il postulato della sfera della legittimità è la pace perpetua, logicamente pensabile, empiricamente impossibile di essere realizzato perfettamente. Tuttavia, come criterio di orientamento ci apre l’orizzonte della sistemazione di tutti i conflitti non con l’uso della violenza (come nel caso degli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq, guerre ingiuste oltre che inutili; tentazione della potenza militarizzata senza principi normativi). La pace perpetua definisce la ragione discorsiva come quella incaricata di arrivare ad accordi; razionabilità davanti alla violenza, realizzando le rivendicazioni materiali e la partecipazione in uguaglianza di condizioni. Relegare la violenza come mezzo di accordi è proprio della legittimità democratica.
Gli interessi materiali (sociali, economici, ecologici, culturali, ecc.) determinano l’attore che partecipa alle istituzioni di legittimità (elezioni, rappresentanza, assemblee costituenti, sistema di diritto, congresso di deputati, giudici, ecc.). Per definizione, tuttavia, ogni sistema di legittimità o democratico non può essere perfetto. Inevitabilmente sono esclusi molti cittadini (fra questi, perché spesso non entrano nella definizione di cittadini, sono i salariati per J. Locke, le donne fino alle suffragette, i meticci, indios e schiavi per i creoli emancipati latinoamericani, ecc.). Per questo, l’eguaglianza della comunità politica borghese lasciava fuori la maggioranza della popolazione.
Chiamiamo solidarietà nella sfera del diritto la responsabilità per colui che non ha (o per colui al quale non gli si è concesso). L’affermazione dell’alterità dell’altro non è eguale all’eguaglianza liberale. Anche la lotta per il riconoscimento dell’altro come eguale (aspirando alla sua incorporazione nello Stesso) è qualcosa di diverso alla lotta per il riconoscimento dell’Altro come altro (aspirando quindi a un nuovo sistema del diritto successivo al riconoscimento della differenza). L’affermazione dell’alterità è molto più radicale che l’omogeneità del cittadino moderno. Si tratta dell’istituzionalizzazione di un diritto eterogeneo, differenziato, rispettoso di pratiche giuridiche diverse. Per esempio, nel diritto moderno (di lunga storia a partire dal diritto romano e medievale) colui che assassina un altro cittadino è incarcerato, a volte a vita. Tra i maya del Chiapas colui che uccide un altro membro della comunità è castigato, in primo luogo, alla coltivazione del terreno dell’assassinato al fine di alimentare la famiglia di quello che è rimasta senza sostegno. I maya mostrano l’irrazionalità del diritto moderno, poiché in questo diritto l’assassino e l’assassinato lasciano due famiglie senza sostegno, essendo castigate le famiglie senza protezione e non l’attore del gesto. D’altra parte, l’assassinato non guadagna nulla con l’imprigionamento del suo assassino, ma perde molto anche con la povertà e la miseria della sua famiglia. Si mostra così la superiorità di un diritto penale sull’altro, su questo aspetto.
Trasformazione del sistema del diritto. I nuovi diritti e il Potere giudiziario

I sistemi del diritto sono storici (2 dello Schema 19.1), e hanno sofferto continuamente cambi costanti. La questione è definire i criteri di questi cambi; discernere quei diritti che sono a] perenni, b] quelli che sono nuovi, e c] quelli che si scartano perché appartenenti a un’epoca passata. Questi tre tipi di diritti sono stati sempre integrati a tutte le raccolte o codici (dai mesopotamici della fine del terzo millennio a. C.). Tuttavia si discute ancora la logica dell’incorporazione di nuovi diritti, che sono quelli che irrompono come conflitto o rivendicazione di bisogni non soddisfatti dei nuovi movimenti sociali; lotte del popolo per i nuovi diritti.
La soluzione tradizionale, per avere un referente esterno da dove si possa porre in questione il diritto positivo (il corpo del diritto vigente: 2 dello Schema 19.1), consisteva nell’affermare l’esistenza di un diritto naturale In quello già indicato che il rappresentante si affermi come la sede del potere e non come colui che esercita informa delegata il potere obbedenziale.; il quale sarebbe come una lista di diritti propri dell’essere umano come tale, universalmente parlando. Questa soluzione eurocentrica (poiché di fatto rimonta al mondo ellenista e romano attraverso il mondo germanico-latino europeo e moderno) non è sostenibile. Accade che storicamente si scoprono nuovi diritti (3 dell’indicato Schema). In questo caso si scoprirebbe quel tale diritto nella lista a priori del diritto naturale. Ma in realtà questo disconoscimento del nuovo diritto nella lista del diritto naturale, precedente alla scoperta storica, mostra che il diritto naturale si riconosce solo post factum (dopo i fatti) e con la lotta di coloro che li scoprono empiricamente.
Per questo, questo diritto naturale è una ipotesi metafisica non necessaria e inutile. Nella realtà dei fatti esiste sempre, prima, come dato il diritto vigente, positivo (2 dello Schema). I nuovi diritti (3 dello Schema) non si tolgono dalla lista dei diritti naturali, emergono al contrario dalle lotte popolari (freccia d). I nuovi movimenti sociali prendono coscienza, a partire dalla corporalità vivente e dolente, di essere vittime escluse dal sistema del diritto sotto quell’aspetto che definisce sostantivamente la sua prassi critica o liberatrice. Le femministe suffragiste britanniche scoprono che le donne non votano per eleggere i loro rappresentanti politici. Questa negatività è vissuta come una mancanza-di-diritto a un diritto vissuto come necessario per l’intersoggettività delle donne coscienti (che sono arrivate al termine di ciò che Paulo Freire denominerebbe processo di conscientizzazione), ma inesistente positivamente.
Quindi i nuovi diritti si impongono a posteriori, con la lotta dei movimenti, che scoprono la mancanza-di come nuovodiritto-a certe pratiche ignorate o proibite dal diritto vigente. All’inizio, questo nuovo diritto si dà solamente nella soggettività degli oppressi o esclusi. Davanti al trionfo del movimento ribelle si impone storicamente il nuovo diritto, e si aggrega come un nuovo diritto alla lista dei diritti positivi (b del momento 2 dello Schema 19.1).
Allo stesso tempo che si incorporano nuovi diritti al sistema dei diritti vigenti, cadono in discredito alcuni diritti appartenenti a un’età superata della storia della comunità politica, del popolo (c del momento 2 dell’indicato Schema). Il diritto dominante (ius dorninativus) del signore feudale sul servo (freccia e) sparisce nella modernità capitalistica; lo stesso che il signore davanti allo schiavo nello schiavismo.
Un’ultima istituzione tanto antica come quelle che promulgavano le leggi (ossia il re, il senato, ecc.) chiude il sistema del diritto come Stato di diritto. Si tratta dei giudici. A volte i re o lo stesso senato realizzano l’esercizio del giudizio degli accusati, a partire dal diritto. Già nei Codici della Mesopotamia del terzo millennio a. c., la funzione dei giudici era stata chiaramente stipulata. Nella modernità la funzione giudiziaria, come potere giudiziario che giudica un proprio ruolo riguardo al potere legislativo, si rende indipendente dagli altri due, e permette la mutua fiscalizzazione. La sua autonomia è essenziale per lo Stato di diritto, che giudicano le condotte e le istituzioni alla luce del sistema di diritto, delle leggi promulgate, attraverso l’intervento dei giudici, il che impedisce il farsi giustizia con le proprie mani, superando così la Legge del Taglione: occhio per occhio, dente per dente, costume barbaro, precedente al diritto, usato ancora nel nostro tempo in Stati che cadono nel terrorismo di Stato. La sua corruzione è gravissima perché compromette ogni ordine politico.
L’impunità è un indebolimento del potere del popolo, perché è nel suo nome che si deve applicare la legge e si deve castigare l’ingiustizia. Per questo, è necessario sviluppare ancora l’autonomia del potere giudiziario, rendendolo oggetto di una diretta elezione popolare, dei corpi legittimi di avvocati e dell’intervento del potere cittadino (e non di un’elezione condivisa da coloro che devono anche essere giudicati: il potere legislativo e l’esecutivo).

I sistemi del diritto sono storici (2 dello Schema 19.1), e hanno sofferto continuamente cambi costanti. La questione è definire i criteri di questi cambi; discernere quei diritti che sono a] perenni, b] quelli che sono nuovi, e c] quelli che si scartano perché appartenenti a un’epoca passata. Questi tre tipi di diritti sono stati sempre integrati a tutte le raccolte o codici (dai mesopotamici della fine del terzo millennio a. C.). Tuttavia si discute ancora la logica dell’incorporazione di nuovi diritti, che sono quelli che irrompono come conflitto o rivendicazione di bisogni non soddisfatti dei nuovi movimenti sociali; lotte del popolo per i nuovi diritti.
La soluzione tradizionale, per avere un referente esterno da dove si possa porre in questione il diritto positivo (il corpo del diritto vigente: 2 dello Schema 19.1), consisteva nell’affermare l’esistenza di un diritto naturale In quello già indicato che il rappresentante si affermi come la sede del potere e non come colui che esercita informa delegata il potere obbedenziale.; il quale sarebbe come una lista di diritti propri dell’essere umano come tale, universalmente parlando. Questa soluzione eurocentrica (poiché di fatto rimonta al mondo ellenista e romano attraverso il mondo germanico-latino europeo e moderno) non è sostenibile. Accade che storicamente si scoprono nuovi diritti (3 dell’indicato Schema). In questo caso si scoprirebbe quel tale diritto nella lista a priori del diritto naturale. Ma in realtà questo disconoscimento del nuovo diritto nella lista del diritto naturale, precedente alla scoperta storica, mostra che il diritto naturale si riconosce solo post factum (dopo i fatti) e con la lotta di coloro che li scoprono empiricamente.
Per questo, questo diritto naturale è una ipotesi metafisica non necessaria e inutile. Nella realtà dei fatti esiste sempre, prima, come dato il diritto vigente, positivo (2 dello Schema). I nuovi diritti (3 dello Schema) non si tolgono dalla lista dei diritti naturali, emergono al contrario dalle lotte popolari (freccia d). I nuovi movimenti sociali prendono coscienza, a partire dalla corporalità vivente e dolente, di essere vittime escluse dal sistema del diritto sotto quell’aspetto che definisce sostantivamente la sua prassi critica o liberatrice. Le femministe suffragiste britanniche scoprono che le donne non votano per eleggere i loro rappresentanti politici. Questa negatività è vissuta come una mancanza-di-diritto a un diritto vissuto come necessario per l’intersoggettività delle donne coscienti (che sono arrivate al termine di ciò che Paulo Freire denominerebbe processo di conscientizzazione), ma inesistente positivamente.
Quindi i nuovi diritti si impongono a posteriori, con la lotta dei movimenti, che scoprono la mancanza-di come nuovodiritto-a certe pratiche ignorate o proibite dal diritto vigente. All’inizio, questo nuovo diritto si dà solamente nella soggettività degli oppressi o esclusi. Davanti al trionfo del movimento ribelle si impone storicamente il nuovo diritto, e si aggrega come un nuovo diritto alla lista dei diritti positivi (b del momento 2 dello Schema 19.1).
Allo stesso tempo che si incorporano nuovi diritti al sistema dei diritti vigenti, cadono in discredito alcuni diritti appartenenti a un’età superata della storia della comunità politica, del popolo (c del momento 2 dell’indicato Schema). Il diritto dominante (ius dorninativus) del signore feudale sul servo (freccia e) sparisce nella modernità capitalistica; lo stesso che il signore davanti allo schiavo nello schiavismo.
Un’ultima istituzione tanto antica come quelle che promulgavano le leggi (ossia il re, il senato, ecc.) chiude il sistema del diritto come Stato di diritto. Si tratta dei giudici. A volte i re o lo stesso senato realizzano l’esercizio del giudizio degli accusati, a partire dal diritto. Già nei Codici della Mesopotamia del terzo millennio a. c., la funzione dei giudici era stata chiaramente stipulata. Nella modernità la funzione giudiziaria, come potere giudiziario che giudica un proprio ruolo riguardo al potere legislativo, si rende indipendente dagli altri due, e permette la mutua fiscalizzazione. La sua autonomia è essenziale per lo Stato di diritto, che giudicano le condotte e le istituzioni alla luce del sistema di diritto, delle leggi promulgate, attraverso l’intervento dei giudici, il che impedisce il farsi giustizia con le proprie mani, superando così la Legge del Taglione: occhio per occhio, dente per dente, costume barbaro, precedente al diritto, usato ancora nel nostro tempo in Stati che cadono nel terrorismo di Stato. La sua corruzione è gravissima perché compromette ogni ordine politico.
L’impunità è un indebolimento del potere del popolo, perché è nel suo nome che si deve applicare la legge e si deve castigare l’ingiustizia. Per questo, è necessario sviluppare ancora l’autonomia del potere giudiziario, rendendolo oggetto di una diretta elezione popolare, dei corpi legittimi di avvocati e dell’intervento del potere cittadino (e non di un’elezione condivisa da coloro che devono anche essere giudicati: il potere legislativo e l’esecutivo).
Democrazia rappresentativa articolata con la democrazia partecipativa

Se si fosse sempre una democrazia diretta, come nel momento classico della Repubblica di Venezia (con il suo Gran Consiglio) – modello modificato dallo Stato inglese moderno del XVII secolo – la legittimità rimarrebbe giustificata di fatto, perché tutti avrebbero partecipato alla discussione del consenso (una volta che si fosse votato a partire dall’accettazione della maggioranza come istituzione necessaria, perché anche nella democrazia diretta non si può presupporre sempre l’unanimità). Ma una volta accettato che i cittadini di una comunità politica, il popolo, sono centinaia di migliaia o milioni, la rappresentanza si mostra come ristituzione inevitabile e necessaria.
Il postulato politico in questo caso si enuncia come la pretesa dell’identità del rappresentato e del rappresentante [rappresentato = rappresentante]. Questa identità (come trasparenza perfetta in un’intersoggettività tra i molti rappresentati e il rappresentante, politico per vocazione, professione o occasione) è logicamente pensabile, ma empiricamente impossibile. Davanti alla necessità della rappresentanza e alla sua impossibile trasparenza assoluta, si deve accettare la finitezza della condizione umana che si manifesta in tutte le istituzioni politiche (che per questo non sono intrinsecamente corrotte, ma possono corrompersi facilmente) , il compito è di reinventare sempre, di migliorare, di trasformare i tipi di rappresentanza quanto più prossimi ai rappresentati. Sperimentando empiricamente le rivendicazioni popolari, comprendendole profondamente, formulandole per soddisfarle, nella fedeltà alla verità di questo progetto di servizio, nell’informazione continua dei rappresentati, il rappresentante compie il criterio regolativo: raggiungere una sempre migliore rappresentanza.
Per questo la Costituzione deve creare istituzioni di partecipazione (dal basso all’alto). Strumenti privilegiati sono le comunità di quartiere e i partiti politici. Quando il partito si corrompe (quando utilizza come vantaggio la quota di potere delegato come potere proprio della burocrazia) il sistema politico come totalità si corrompe. Per questo il discredito attuale dei partiti. Tuttavia, questi sono necessari, come scuola di opinione politica, di ideologia, di progetti materiali e amministrativi giustificati razionalmente ed empiricamente. Senza i partiti i migliori dirigenti possibili del popolo non hanno un’opinione illuminata né critica; soccombono allo spontaneismo davanti alle burocrazie (situazione inevitabile dei socialismi reali che negarono la necessità della pluralità dei partiti).
Sarebbe necessario, quindi, creare un quarto potere, non esistente finora nello Stato. Nella Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela del 1999, al capitolo IV del secondo Titolo (Dei Diritti politici e del Referendum popolare), dice l’articolo 6.2: «Tutti i cittadini e cittadine hanno il diritto di partecipare liberamente alle questioni pubbliche, direttamente o tramite loro rappresentanti eletti/te. La partecipazione del popolo alla formazione, esecuzione e al controllo della gestione pubblica è lo strumento necessario per ottenere il protagonismo, che garantisce il suo completo sviluppo, tanto individuale quanto collettivo». A ciò si aggiunge l’articolo 70: «Sono mezzi di partecipazione e protagonismo del popolo nell’esercizio della propria sovranità, nel contesto politico: l’elezione di cariche pubbliche, il referendum, la consultazione popolare, la revoca del mandato, l’iniziativa legislativa, costituzionale e costituente, la giunta aperta e l’assemblea dei cittadini e delle cittadine le cui decisioni saranno di carattere vincolante».
In effetti, i] quarto Titolo si occupa Del potere pubblico. Nella seconda parte dell’articolo 136, si legge una novità storico mondiale nelle pratiche politiche dell’umanità fino adesso: «Il Potere Pubblico Nazionale si divide in Legislativo, Esecutivo, Giudiziario, Civico ed Elettorale».
Nel capitolo IV si tratta Del potere civico. Questo potere si esercita con Il Consiglio Morale Repubblicano (art. 273), integrato dal Difensore del Popolo, dal Ministero Pubblico e dal Controllore Generale della Repubblica. I suoi membri sono eletti da un Comitato di Valutazione delle candidature del Potere Civico che nomina lo stesso Consiglio Morale Repubblicano, il quale presenta una terna (per ciascun membro da eleggere) all’Assemblea Generale, che li elegge con due terzi dei suoi membri. Se non c’è elezione nell’Assemblea, allora l’elezione si sottometterà alla consultazione popolare (art. 279). L’aspetto più interessante è che si potrebbe dare il caso di una consultazione popolare e questo è un precedente importante di partecipazione. In tutti i modi il potere esecutivo e legislativo non iniziano il procedimento dell’elezione dei membri di questo quarto Potere, ma non è eletto direttamente dal popolo. È ancora a metà cammino.
Il referendum, la consultazione popolare, la revoca del mandato, il potere civico e l’elettorale, la maniera di eleggere i giudici del Tribunale Supremo di Giustizia a partire dal potere civico e le organizzazioni della società civile, con il quale un semplice cittadino può iniziare il procedimento per promulgare una legge, tutto questo ci indica uno spirito politico nuovo: quello della partecipazione civica in una democrazia in cui la sovranità è del popolo che può esercitarla permanentemente, non solo in queste eruzioni vulcaniche che sono le elezioni sessennali. La democrazia rappresentativa (che tende ad essere un movimento dall’alto verso il basso) deve essere articolata con la democrazia partecipativa (come movimento fiscalizzatore dal basso verso l’alto).
Per la stessa H. Arendt, coincidendo con il Marx che esalta la Comune di Parigi del 1870, la democrazia diretta in gruppi che si organizzano all’interno della contea Il nostro municipio negli Stati Uniti (istituzione necessaria per Jefferson) – nella Costituzione bolivariana: consigli comunali aperti, aggruppamenti di quartieri, comunità di base, ecc.- è un’istituzione di partecipazione civica faccia-a-faccia, che non organizzandosi, secondo il nominato Jefferson, corromperebbe tutte le istituzioni previste dalla Costituzione Cfr. Sulla Rivoluzione, 6 (Arendt, 1988, p. 222 e segg.) [tr. it., p. 266 e segg.]. cioè, sarebbe necessario creare nuove istituzioni di partecipazione, per fiscalizzare la rappresentanza.
Sembrerà paradossale che la partecipazione (del semplice cittadino, di organizzazioni sociali e della società civile) debba organizzarsi anche attraverso le istituzioni. Il realismo critico-politico non teme di crearle, ma in questo caso non debbono rispondere agli interessi dei partiti politici (né della classe politica), poiché debbono servire da strutture di fiscalizzazione delle istituzioni di rappresentazione, principalmente architettate attorno al Potere legislativo ed esecutivo, ma anche al Potere giudiziario (al quale il Potere civico, in casi molto gravi, potrà anche revocare il mandato). Sara necessario creare una nuova struttura statale più complessa, con molte determinazioni La freccia a dello Schema 19.2 indica la gestione del potere delegato nelle istituzioni della rappresentazione. La freccia b, invece, manifesta la gestione di fiscalizzazione (fino al rinnovamento del mandato) dei rappresentanti. Questo eviterebbe il feticismo delle burocrazie partitiche. da parte della rappresentanza e della partecipazione, dentro la governabilità, per evitare il monopolio dei partiti politici e della classe politica nella gestione dell’esercizio delegato del potere, davanti al quale il popolo argentino gridava il 20 dicembre 2001: Se ne vadano tutti! Questo clamore ricorda che il potere è il popolo. Per questo appare, in certi momenti limite, questa presenza del popolo come popolo nello stadio di ribellione.

Se si fosse sempre una democrazia diretta, come nel momento classico della Repubblica di Venezia (con il suo Gran Consiglio) – modello modificato dallo Stato inglese moderno del XVII secolo – la legittimità rimarrebbe giustificata di fatto, perché tutti avrebbero partecipato alla discussione del consenso (una volta che si fosse votato a partire dall’accettazione della maggioranza come istituzione necessaria, perché anche nella democrazia diretta non si può presupporre sempre l’unanimità). Ma una volta accettato che i cittadini di una comunità politica, il popolo, sono centinaia di migliaia o milioni, la rappresentanza si mostra come ristituzione inevitabile e necessaria.
Il postulato politico in questo caso si enuncia come la pretesa dell’identità del rappresentato e del rappresentante [rappresentato = rappresentante]. Questa identità (come trasparenza perfetta in un’intersoggettività tra i molti rappresentati e il rappresentante, politico per vocazione, professione o occasione) è logicamente pensabile, ma empiricamente impossibile. Davanti alla necessità della rappresentanza e alla sua impossibile trasparenza assoluta, si deve accettare la finitezza della condizione umana che si manifesta in tutte le istituzioni politiche (che per questo non sono intrinsecamente corrotte, ma possono corrompersi facilmente) , il compito è di reinventare sempre, di migliorare, di trasformare i tipi di rappresentanza quanto più prossimi ai rappresentati. Sperimentando empiricamente le rivendicazioni popolari, comprendendole profondamente, formulandole per soddisfarle, nella fedeltà alla verità di questo progetto di servizio, nell’informazione continua dei rappresentati, il rappresentante compie il criterio regolativo: raggiungere una sempre migliore rappresentanza.
Per questo la Costituzione deve creare istituzioni di partecipazione (dal basso all’alto). Strumenti privilegiati sono le comunità di quartiere e i partiti politici. Quando il partito si corrompe (quando utilizza come vantaggio la quota di potere delegato come potere proprio della burocrazia) il sistema politico come totalità si corrompe. Per questo il discredito attuale dei partiti. Tuttavia, questi sono necessari, come scuola di opinione politica, di ideologia, di progetti materiali e amministrativi giustificati razionalmente ed empiricamente. Senza i partiti i migliori dirigenti possibili del popolo non hanno un’opinione illuminata né critica; soccombono allo spontaneismo davanti alle burocrazie (situazione inevitabile dei socialismi reali che negarono la necessità della pluralità dei partiti).
Sarebbe necessario, quindi, creare un quarto potere, non esistente finora nello Stato. Nella Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela del 1999, al capitolo IV del secondo Titolo (Dei Diritti politici e del Referendum popolare), dice l’articolo 6.2: «Tutti i cittadini e cittadine hanno il diritto di partecipare liberamente alle questioni pubbliche, direttamente o tramite loro rappresentanti eletti/te. La partecipazione del popolo alla formazione, esecuzione e al controllo della gestione pubblica è lo strumento necessario per ottenere il protagonismo, che garantisce il suo completo sviluppo, tanto individuale quanto collettivo». A ciò si aggiunge l’articolo 70: «Sono mezzi di partecipazione e protagonismo del popolo nell’esercizio della propria sovranità, nel contesto politico: l’elezione di cariche pubbliche, il referendum, la consultazione popolare, la revoca del mandato, l’iniziativa legislativa, costituzionale e costituente, la giunta aperta e l’assemblea dei cittadini e delle cittadine le cui decisioni saranno di carattere vincolante».
In effetti, i] quarto Titolo si occupa Del potere pubblico. Nella seconda parte dell’articolo 136, si legge una novità storico mondiale nelle pratiche politiche dell’umanità fino adesso: «Il Potere Pubblico Nazionale si divide in Legislativo, Esecutivo, Giudiziario, Civico ed Elettorale».
Nel capitolo IV si tratta Del potere civico. Questo potere si esercita con Il Consiglio Morale Repubblicano (art. 273), integrato dal Difensore del Popolo, dal Ministero Pubblico e dal Controllore Generale della Repubblica. I suoi membri sono eletti da un Comitato di Valutazione delle candidature del Potere Civico che nomina lo stesso Consiglio Morale Repubblicano, il quale presenta una terna (per ciascun membro da eleggere) all’Assemblea Generale, che li elegge con due terzi dei suoi membri. Se non c’è elezione nell’Assemblea, allora l’elezione si sottometterà alla consultazione popolare (art. 279). L’aspetto più interessante è che si potrebbe dare il caso di una consultazione popolare e questo è un precedente importante di partecipazione. In tutti i modi il potere esecutivo e legislativo non iniziano il procedimento dell’elezione dei membri di questo quarto Potere, ma non è eletto direttamente dal popolo. È ancora a metà cammino.
Il referendum, la consultazione popolare, la revoca del mandato, il potere civico e l’elettorale, la maniera di eleggere i giudici del Tribunale Supremo di Giustizia a partire dal potere civico e le organizzazioni della società civile, con il quale un semplice cittadino può iniziare il procedimento per promulgare una legge, tutto questo ci indica uno spirito politico nuovo: quello della partecipazione civica in una democrazia in cui la sovranità è del popolo che può esercitarla permanentemente, non solo in queste eruzioni vulcaniche che sono le elezioni sessennali. La democrazia rappresentativa (che tende ad essere un movimento dall’alto verso il basso) deve essere articolata con la democrazia partecipativa (come movimento fiscalizzatore dal basso verso l’alto).
Per la stessa H. Arendt, coincidendo con il Marx che esalta la Comune di Parigi del 1870, la democrazia diretta in gruppi che si organizzano all’interno della contea Il nostro municipio negli Stati Uniti (istituzione necessaria per Jefferson) – nella Costituzione bolivariana: consigli comunali aperti, aggruppamenti di quartieri, comunità di base, ecc.- è un’istituzione di partecipazione civica faccia-a-faccia, che non organizzandosi, secondo il nominato Jefferson, corromperebbe tutte le istituzioni previste dalla Costituzione Cfr. Sulla Rivoluzione, 6 (Arendt, 1988, p. 222 e segg.) [tr. it., p. 266 e segg.]. cioè, sarebbe necessario creare nuove istituzioni di partecipazione, per fiscalizzare la rappresentanza.
Sembrerà paradossale che la partecipazione (del semplice cittadino, di organizzazioni sociali e della società civile) debba organizzarsi anche attraverso le istituzioni. Il realismo critico-politico non teme di crearle, ma in questo caso non debbono rispondere agli interessi dei partiti politici (né della classe politica), poiché debbono servire da strutture di fiscalizzazione delle istituzioni di rappresentazione, principalmente architettate attorno al Potere legislativo ed esecutivo, ma anche al Potere giudiziario (al quale il Potere civico, in casi molto gravi, potrà anche revocare il mandato). Sara necessario creare una nuova struttura statale più complessa, con molte determinazioni La freccia a dello Schema 19.2 indica la gestione del potere delegato nelle istituzioni della rappresentazione. La freccia b, invece, manifesta la gestione di fiscalizzazione (fino al rinnovamento del mandato) dei rappresentanti. Questo eviterebbe il feticismo delle burocrazie partitiche. da parte della rappresentanza e della partecipazione, dentro la governabilità, per evitare il monopolio dei partiti politici e della classe politica nella gestione dell’esercizio delegato del potere, davanti al quale il popolo argentino gridava il 20 dicembre 2001: Se ne vadano tutti! Questo clamore ricorda che il potere è il popolo. Per questo appare, in certi momenti limite, questa presenza del popolo come popolo nello stadio di ribellione.
Il 'diritto all'informazione veritiera' e la mediocrazia

L’opinione pubblica interpreta tutti gli avvenimenti politici. È il giudizio finale (che compie miticamente Osiride nella grande sala della dea della giustizia egizia Ma’at, narrativa che ha cinquanta secoli, originata in Menfi) della politica, dei politici, del governante, dei candidati, delle opere politiche, ecc. Si tratta niente meno che del giudizio valutativo ermeneutico di quanto realizzato da un rappresentante. Ciò che forma e conforma questo giudizio ha l’ultima istanza del daffare politico nella sua totalità. Il giudizio si enuncia approssimativamente così: È stato un cattivo governante!, o È un eccellente candidato!. Grazie a questi giudizi, il primo passa alla storia negativamente e il secondo è eletto. I mezzi di comunicazione (grandi imprese transnazionali legate ai capitali stranieri nei paesi periferici e postcoloniali, con i loro interessi spesso contrari ai popoli oppressi) formano questi giudizi di valore. Hanno un immenso potere dietro di tutti i poteri dello Stato. È un superpotere. Un magnate della comunicazione è Primo Ministro in Italia – è la dominazione dell’economia della comunicazione sulla politica e sul popolo.
Ciò di cui si tratta è di democratizzare i mezzi di comunicazione. Ciascuna università, associazione, municipio, sindacato, etnia, comunità, quartiere, ecc. potrebbe avere la sua televisione, la sua radio e la sua stampa scritta. La rottura del monopolio in mano a pochi permetterebbe di restituire all’opinione pubblica il suo posto centrale nel sistema di legittimazione, perché le decisioni, elezioni, progetti, ecc. si determinano in ultima istanza nel segreto della soggettività, quando si è formato un giudizio proprio su quello si deve decidere e fare. Il consenso suppone la prudenza (opovnois dicevano i classici) del singolo. E la mediocrazia impatta su ciascuna singola coscienza nella privacy del suo focolare; della sua vita quotidiana, conformandola molto più che l’istituzione educativo-scolastica.
Ma non si deve soltanto permettere la partecipazione simmetrica di molti mezzi popolari di comunicazione, si deve inoltre definire un diritto fino al momento inesistente: il diritto del cittadino all’informazione veritiera. Affinché questo diritto abbia un effetto reale, coattivo, si dovrebbe istituzionalizzare un tribunale, non solo della libertà di stampa (che difende legittimamente i mezzi davanti allo Stato) La libertà di stampa difende un diritto dei mezzi davanti allo Stato, a pat1ire dalla fine del XVIII secolo. Il diritto all’informazione veritiera difende il cittadino davanti alla mediocrazia: è un nuovo diritto., ma anche di questa informazione veritiera (che difende il cittadino davanti all’informazione occultatrice, fallace, bugiarda, tendenziosa, ecc.). Il diritto alla replica è un aspetto di questo diritto, ma ce ne sono altri che si devono sviluppare. Ci dovrebbe essere un capitolo delle Costituzioni del futuro, poiché i paesi dipendenti soffrono l’attacco costante della distorsione dei messaggi da parte della mediocrazia delle corporazioni transnazionali della comunicazione, degli Stati metropolitani del centro del sistema-mondo (come direbbe I. Wallerstein).
La comunicazione (come il sottosuolo, le fonti di energia, la salute, l’educazione) è un bene pubblico che il popolo deve controllare per il suo beneficio con istituzioni politiche. Si può delegare parzialmente senza perdere mai questo controllo. Oggi la mediocrazia esercita il suo potere contro gli interessi del popolo.

L’opinione pubblica interpreta tutti gli avvenimenti politici. È il giudizio finale (che compie miticamente Osiride nella grande sala della dea della giustizia egizia Ma’at, narrativa che ha cinquanta secoli, originata in Menfi) della politica, dei politici, del governante, dei candidati, delle opere politiche, ecc. Si tratta niente meno che del giudizio valutativo ermeneutico di quanto realizzato da un rappresentante. Ciò che forma e conforma questo giudizio ha l’ultima istanza del daffare politico nella sua totalità. Il giudizio si enuncia approssimativamente così: È stato un cattivo governante!, o È un eccellente candidato!. Grazie a questi giudizi, il primo passa alla storia negativamente e il secondo è eletto. I mezzi di comunicazione (grandi imprese transnazionali legate ai capitali stranieri nei paesi periferici e postcoloniali, con i loro interessi spesso contrari ai popoli oppressi) formano questi giudizi di valore. Hanno un immenso potere dietro di tutti i poteri dello Stato. È un superpotere. Un magnate della comunicazione è Primo Ministro in Italia – è la dominazione dell’economia della comunicazione sulla politica e sul popolo.
Ciò di cui si tratta è di democratizzare i mezzi di comunicazione. Ciascuna università, associazione, municipio, sindacato, etnia, comunità, quartiere, ecc. potrebbe avere la sua televisione, la sua radio e la sua stampa scritta. La rottura del monopolio in mano a pochi permetterebbe di restituire all’opinione pubblica il suo posto centrale nel sistema di legittimazione, perché le decisioni, elezioni, progetti, ecc. si determinano in ultima istanza nel segreto della soggettività, quando si è formato un giudizio proprio su quello si deve decidere e fare. Il consenso suppone la prudenza (opovnois dicevano i classici) del singolo. E la mediocrazia impatta su ciascuna singola coscienza nella privacy del suo focolare; della sua vita quotidiana, conformandola molto più che l’istituzione educativo-scolastica.
Ma non si deve soltanto permettere la partecipazione simmetrica di molti mezzi popolari di comunicazione, si deve inoltre definire un diritto fino al momento inesistente: il diritto del cittadino all’informazione veritiera. Affinché questo diritto abbia un effetto reale, coattivo, si dovrebbe istituzionalizzare un tribunale, non solo della libertà di stampa (che difende legittimamente i mezzi davanti allo Stato) La libertà di stampa difende un diritto dei mezzi davanti allo Stato, a pat1ire dalla fine del XVIII secolo. Il diritto all’informazione veritiera difende il cittadino davanti alla mediocrazia: è un nuovo diritto., ma anche di questa informazione veritiera (che difende il cittadino davanti all’informazione occultatrice, fallace, bugiarda, tendenziosa, ecc.). Il diritto alla replica è un aspetto di questo diritto, ma ce ne sono altri che si devono sviluppare. Ci dovrebbe essere un capitolo delle Costituzioni del futuro, poiché i paesi dipendenti soffrono l’attacco costante della distorsione dei messaggi da parte della mediocrazia delle corporazioni transnazionali della comunicazione, degli Stati metropolitani del centro del sistema-mondo (come direbbe I. Wallerstein).
La comunicazione (come il sottosuolo, le fonti di energia, la salute, l’educazione) è un bene pubblico che il popolo deve controllare per il suo beneficio con istituzioni politiche. Si può delegare parzialmente senza perdere mai questo controllo. Oggi la mediocrazia esercita il suo potere contro gli interessi del popolo.
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