Utopia, paradigmi o modello possibile, progetto, strategia, tattica, mezzi

Il popolo, i suoi movimenti, la leadership che è obbendienziale al popolo, che per anni e anni abbiamo raccolto la morte dei nostri nei campi del Chiapas, […] Andavano i nostri passi senza meta, soltanto vivevamo e morivamo (Entramos otra vez en la historia. Messaggio dell’EZLN in La Jornada, 22 febbraio 1994), si sveglia un giorno, dice Basta!, e si mette in piedi. Irrompe nella storia con la sua prassi di liberazione. Ma questa azione ha una logica, esigenza, specialmente guidata dal principio politico critico di fattibilità. Il possibile si confronta ad apparenti impossibilità pratiche che si devono sovvertire. La prassi di liberazione esige principi, coerenza, forza fino alla morte, pazienza infinita (come quella dei nostri popoli originari che per 500 anni affrontarono i Cortés, i Pizarro o gli Almagro, fino al trionfo con Evo Morales).
Rosa Luxemburg ha scritto un bel saggio sulla strategia contro i riformisti che non hanno principi (o teoria: chi ha oggi una teoria accettabile dopo la crisi dell’ideologia del socialismo reale?): […] I principi del socialismo […] pongono dei limiti molto fermi (feste Schränke) all’azione pratica, in rapporto tanto agli
Ci sono, quindi, diversi livelli da mettere in conto nella prassi critica, antiegemonica, (che affronta quindi il blocco storico al potere) – che è il risultato di molti momenti precedenti: livello A, 11 dello Schema).
In primo luogo, l’orizzonte più lontano, che possiamo chiamare utopico (quando si immagina descrittivamente uno stato di cose), o più correttamente postulato politico, così come quello del Foro Sociale Mondiale: Un altro mondo è possibile! O quello che enuncia: Un mondo dove entrino tutti i mondi. Sembrerebbero troppo vuoti, ma sono la condizione di possibilità di tutto il resto. Senza la speranza (tanto studiata da Ernst Bloch – Il principio speranza) di un futuro che si deve rendere possibile, non c’è prassi critica liberatrice. È necessario immaginare creativamente che Si, si può! per cambiare le cose; cioè, si deve tenere presente affermativamente sempre la potestas (la struttura istituzionale futura che sarà al servizio del popolo) che indica questo polo utopico. È il livello C 4-5 dello Schema.
In secondo luogo, nella pratica politica o nella teoria si va delineando un paradigma o modello di trasformazione possibile, il quale semplicemente e spesso non è una perdita di tempo, ma che non si può delineare sempre dettagliatamente. Di fronte alla democrazia liberale, lo Stato del Welfare o il keynesianismo economico (strutture situate in diversi campi), e di fronte alle democrazie di transizione in America Latina (a partire dal 1983) che generarono una classe politica che spesso si corrompe, si deve formulare un paradigma o un modello nuovo di ampia partecipazione, di egemonia popolare, di identità nazionale (specialmente per i paesi postcoloniali o periferici), di difesa degli interessi economici dei più deboli (rivendicazioni che sono impossibili da compiere da parte di un capitalismo neoliberale di strategia globalizzante come dominazione e spogliazione delle nazioni subalterne), di rinnovata efficienza amministrativa che si fonda su un nuovo patto sociale (e, inoltre, nelle nuove costituzioni che permettano nuove strutture di uno Stato trasformato).
In terzo luogo, a un livello ancora più concreto, è necessario lavorare su un progetto di trasformazioni fattibili (livello A, 7 dello Schema), propriamente politico ma critico, che è compito dei partiti politici progressisti, critici, di liberazione, di gruppi di scienziati (di scienze politiche, economisti, pedagoghi, medici, dirigenti sindacali, di movimenti sociali, ecc.) e in cui si esplicitano i fini concreti dell’azione liberatrice in tutte le sue sfere (materiali, di legittimazione, e di amministrazione statale). Il progetto può enunciarsi in criteri e in tesi concrete di realizzazione fattibile efficace, a breve termine, entro un ciclo di governo (quadriennio, sessennio), ma dovrebbe essere accompagnato da progetti a medio termine (un venticinque anni) e a lungo termine (in particolare sulle questioni ecologiche ed economiche transcapitalistiche) di partecipazione popolare.
In quarto luogo, il politico deve avere chiarezza strategica (Livello A, 8 dello Schema) nell’azione trasformatrice. In questo livello i progetti devono essere implementati amministrativamente e congiunturalmente tenendo conto della trasformazione delle istituzioni. Questo livello è frutto della sapienza pratica (la prudenza) degli attori politici, dentro un sistema democratico di produzione di decisioni consensuali, in gruppo, con la partecipazione dal basso (dei movimenti popolari, del popolo, dei quartieri, delle comunità rurali, ecc.). La strategia si deve elaborare congiuntamente e demoraticamente a tutti i livelli.
In quinto luogo, è necessario lavorare sulle tattiche efficaci (Livello A, 9), che sono le mediazioni per effettuare le strategie decise nella teoria, nella pratica della formazione dei loro quadri, nell’elezione dei candidati a rappresentanti, nella stessa propaganda, nell’orientamento ideologico e normativo di questo processo informativo, nel modo di agire, eccetera.
In sesto luogo, si devono scegliere i mezzi appropriati per tutto ciò che è indicato (Livello A, 10), ma quelli possibili a partire dalle esigenze che formano tutti i livelli già enunciati (compiendo i principi, i postulati, i modelli, ecc.). Una tattica puramente machiavellica (che non fu quella di N. Machiavelli), dove il fine giustifica il mezzo, è sempre infine distruttiva (dell’attore e del popolo), perché i mezzi fattibili (qui vale la Critica della ragione strumentale di M. Horkheimer), apparentemente più efficaci, che smettano di tenere in conto dei principi – ci dice R. Luxemburg – perdono gli stretti margini che le permetteranno coerenza, effetti positivi a lungo termine, e chiarezza nell’azione, e grazie a questo si stimolerà reciprocamente fiducia nel popolo – come si esprime Fidel Castro: «quando il popolo crea il popolo»; cioè, quando il politico, il cittadino stimola questa fede da sopra a sotto (in quanto è potere obbedenziale) e da sotto a sopra (come fede nell’azione onesta, con principi, che è la condizione della giusta leadership, normativa, efficace del potere delegato del governante). Machiavelli esigeva una certa virtù del politico che poneva argini alla forza impetuosa e distruttrice della fortuna (l’avvenimento politico quotidiano, caotico, imprevedibile, che si deve saper risolvere in uno stesso senso, non perdendo la bussola: il servizio al popolo come esercizio obbedenziale del potere).

Il popolo, i suoi movimenti, la leadership che è obbendienziale al popolo, che per anni e anni abbiamo raccolto la morte dei nostri nei campi del Chiapas, […] Andavano i nostri passi senza meta, soltanto vivevamo e morivamo (Entramos otra vez en la historia. Messaggio dell’EZLN in La Jornada, 22 febbraio 1994), si sveglia un giorno, dice Basta!, e si mette in piedi. Irrompe nella storia con la sua prassi di liberazione. Ma questa azione ha una logica, esigenza, specialmente guidata dal principio politico critico di fattibilità. Il possibile si confronta ad apparenti impossibilità pratiche che si devono sovvertire. La prassi di liberazione esige principi, coerenza, forza fino alla morte, pazienza infinita (come quella dei nostri popoli originari che per 500 anni affrontarono i Cortés, i Pizarro o gli Almagro, fino al trionfo con Evo Morales).
Rosa Luxemburg ha scritto un bel saggio sulla strategia contro i riformisti che non hanno principi (o teoria: chi ha oggi una teoria accettabile dopo la crisi dell’ideologia del socialismo reale?): […] I principi del socialismo […] pongono dei limiti molto fermi (feste Schränke) all’azione pratica, in rapporto tanto agli
obiettivi
da perseguire quanto ai mezzi
di lotta da impiegare, quanto infine al modo
stesso della lotta […] pertanto, presso coloro che vanno a caccia solo di successi pratici, il naturale desiderio di avere le ‘mani libere’, cioè di separare la nostra pratica dalla teoria [leggi i principi ], e di renderla indipendente da questa. (Luxemburg, 1966, vol. 1, p. 128 [tr. it, p. 121]).Ci sono, quindi, diversi livelli da mettere in conto nella prassi critica, antiegemonica, (che affronta quindi il blocco storico al potere) – che è il risultato di molti momenti precedenti: livello A, 11 dello Schema).
In primo luogo, l’orizzonte più lontano, che possiamo chiamare utopico (quando si immagina descrittivamente uno stato di cose), o più correttamente postulato politico, così come quello del Foro Sociale Mondiale: Un altro mondo è possibile! O quello che enuncia: Un mondo dove entrino tutti i mondi. Sembrerebbero troppo vuoti, ma sono la condizione di possibilità di tutto il resto. Senza la speranza (tanto studiata da Ernst Bloch – Il principio speranza) di un futuro che si deve rendere possibile, non c’è prassi critica liberatrice. È necessario immaginare creativamente che Si, si può! per cambiare le cose; cioè, si deve tenere presente affermativamente sempre la potestas (la struttura istituzionale futura che sarà al servizio del popolo) che indica questo polo utopico. È il livello C 4-5 dello Schema.
In secondo luogo, nella pratica politica o nella teoria si va delineando un paradigma o modello di trasformazione possibile, il quale semplicemente e spesso non è una perdita di tempo, ma che non si può delineare sempre dettagliatamente. Di fronte alla democrazia liberale, lo Stato del Welfare o il keynesianismo economico (strutture situate in diversi campi), e di fronte alle democrazie di transizione in America Latina (a partire dal 1983) che generarono una classe politica che spesso si corrompe, si deve formulare un paradigma o un modello nuovo di ampia partecipazione, di egemonia popolare, di identità nazionale (specialmente per i paesi postcoloniali o periferici), di difesa degli interessi economici dei più deboli (rivendicazioni che sono impossibili da compiere da parte di un capitalismo neoliberale di strategia globalizzante come dominazione e spogliazione delle nazioni subalterne), di rinnovata efficienza amministrativa che si fonda su un nuovo patto sociale (e, inoltre, nelle nuove costituzioni che permettano nuove strutture di uno Stato trasformato).
In terzo luogo, a un livello ancora più concreto, è necessario lavorare su un progetto di trasformazioni fattibili (livello A, 7 dello Schema), propriamente politico ma critico, che è compito dei partiti politici progressisti, critici, di liberazione, di gruppi di scienziati (di scienze politiche, economisti, pedagoghi, medici, dirigenti sindacali, di movimenti sociali, ecc.) e in cui si esplicitano i fini concreti dell’azione liberatrice in tutte le sue sfere (materiali, di legittimazione, e di amministrazione statale). Il progetto può enunciarsi in criteri e in tesi concrete di realizzazione fattibile efficace, a breve termine, entro un ciclo di governo (quadriennio, sessennio), ma dovrebbe essere accompagnato da progetti a medio termine (un venticinque anni) e a lungo termine (in particolare sulle questioni ecologiche ed economiche transcapitalistiche) di partecipazione popolare.
In quarto luogo, il politico deve avere chiarezza strategica (Livello A, 8 dello Schema) nell’azione trasformatrice. In questo livello i progetti devono essere implementati amministrativamente e congiunturalmente tenendo conto della trasformazione delle istituzioni. Questo livello è frutto della sapienza pratica (la prudenza) degli attori politici, dentro un sistema democratico di produzione di decisioni consensuali, in gruppo, con la partecipazione dal basso (dei movimenti popolari, del popolo, dei quartieri, delle comunità rurali, ecc.). La strategia si deve elaborare congiuntamente e demoraticamente a tutti i livelli.
In quinto luogo, è necessario lavorare sulle tattiche efficaci (Livello A, 9), che sono le mediazioni per effettuare le strategie decise nella teoria, nella pratica della formazione dei loro quadri, nell’elezione dei candidati a rappresentanti, nella stessa propaganda, nell’orientamento ideologico e normativo di questo processo informativo, nel modo di agire, eccetera.
In sesto luogo, si devono scegliere i mezzi appropriati per tutto ciò che è indicato (Livello A, 10), ma quelli possibili a partire dalle esigenze che formano tutti i livelli già enunciati (compiendo i principi, i postulati, i modelli, ecc.). Una tattica puramente machiavellica (che non fu quella di N. Machiavelli), dove il fine giustifica il mezzo, è sempre infine distruttiva (dell’attore e del popolo), perché i mezzi fattibili (qui vale la Critica della ragione strumentale di M. Horkheimer), apparentemente più efficaci, che smettano di tenere in conto dei principi – ci dice R. Luxemburg – perdono gli stretti margini che le permetteranno coerenza, effetti positivi a lungo termine, e chiarezza nell’azione, e grazie a questo si stimolerà reciprocamente fiducia nel popolo – come si esprime Fidel Castro: «quando il popolo crea il popolo»; cioè, quando il politico, il cittadino stimola questa fede da sopra a sotto (in quanto è potere obbedenziale) e da sotto a sopra (come fede nell’azione onesta, con principi, che è la condizione della giusta leadership, normativa, efficace del potere delegato del governante). Machiavelli esigeva una certa virtù del politico che poneva argini alla forza impetuosa e distruttrice della fortuna (l’avvenimento politico quotidiano, caotico, imprevedibile, che si deve saper risolvere in uno stesso senso, non perdendo la bussola: il servizio al popolo come esercizio obbedenziale del potere).
Organizzazione dei nuovi movimenti sociali e lotta rivendicativa

La prassi di liberazione non è solipsista, effettuata da un soggetto unico e geniale: il leader (che deve distinguersi dalla lea dership obbedenziale). È sempre un atto intersoggettivo, collettivo, di consenso reciproco (che non nega la leadership, come abbiamo indicato, ma che non lascia indietro l’avanguardismo). È un’azione di retroguardia dello stesso popolo, che educa i movimenti sociali nella loro autonomia democratica, nella loro evoluzione politica, nell’essere attori reciprocamente responsabili del loro destino. Il politico liberatore, l’intellettuale organico di A. Gramsci, è più un promotore, un organizzatore, una luce che illumina un cammino che il popolo nel suo procedere costruisce, dispiega, perfeziona. La leadership politica è servizio, obbedienza, coerenza, intelligenza, disciplina, dedizione.
Per realizzare la volontà-di-vita i movimenti popolari, il popolo, si devono organizzare. L’organizzazione è già un passaggio dalla potentia (il potere del popolo, dei movimenti sociali) alla potestas (il potere che si dà istituzioni per esercitare concretamente in forma delegata il potere). Senza questa separazione, senza questo sdoppiamento (potere in-sé potenziale e potere per-sé istituzionale), senza organizzazione il potere del popolo è pura potenza, possibilità, insistenza oggettiva, volontarismo ideale, anarchismo. Organizzare un movimento, un popolo, è creare funzioni eterogenee, differenziate, dove ciascun membro apprende a compiere responsabilità differenti, ma dentro l’unità del consenso del popolo. È un livello intermedio, sociale, civile dell’esistenza dell’esercizio delegato del potere (è un’istituzione politica della società civile: lo Stato in senso ampio, gramsciano). Nell’organizzazione la comunità omogenea e indifferenziata, e pertanto impotente (volontà consensuali senza fattibilità, perché la fattibilità è concrezione funzionale differenziale), raggiunge la possibilità dell’esercizio del potere. Diventa potente: può-porre i mezzi per la propria sopravvivenza.
Per cacciare, nel paleolitico, l’essere umano si dovette organizzare: uno prepara le armi, l’altro il terreno, l’altro dà il grido di attacco, un altro va per il fianco destro, l’altro per il sinistro, un altro afferra la preda, l’altro la distribuisce, tutti saziano la loro fame: vivono. Per l’aumento della vita (ecologica, economica, culturale, religiosa, ecc.) è imprescindibile la differenziazione di funzioni, l’organizzazione. Oggi questa organizzazione deve essere democratica, in tutte le istanze e sempre, con la partecipazione simmetrica di tutti i coinvolti dalla dominazione e dall’esclusione. Rosa Luxemburg anticipava il crollo del socialismo reale a questo livello organizzativo: «Non possiamo concepire maggior pericolo per il Partito Socialista Russo che i piani di organizzazione proposta […]. Nulla potrebbe sottomettere di più un movimento operaio ancora tanto giovane ad un’elite […] che questa corazza burocratica del centralismo nella quale lo si imprigiona per ridurlo a un automa diretto da un comitato […] Il gioco dei demagoghi sarà più facile se nell’attuale fase della lotta l’iniziativa spontanea e il senso politico del settore autocoscienze operaio saranno stati coartati nel loro autosviluppo e nella loro espansione con la tutela del comitato centrale autoritario»
Ancora adesso nel sandinismo c’era l’abitudine di abbassare gli ordini da sopra alle masse sandiniste. Solo con lo zapatismo si è superato definitivamente l’avanguardismo. La democrazia non è uno slogan, deve essere un momento necessario della soggettività del politico, un’istituzione che si pratichi a tutti i livelli dell’organizzazione dei movimenti popolari, in sé stessi, tra essi e come esigenza di fronte ai partiti politici progressisti, critici e liberatori.

La prassi di liberazione non è solipsista, effettuata da un soggetto unico e geniale: il leader (che deve distinguersi dalla lea dership obbedenziale). È sempre un atto intersoggettivo, collettivo, di consenso reciproco (che non nega la leadership, come abbiamo indicato, ma che non lascia indietro l’avanguardismo). È un’azione di retroguardia dello stesso popolo, che educa i movimenti sociali nella loro autonomia democratica, nella loro evoluzione politica, nell’essere attori reciprocamente responsabili del loro destino. Il politico liberatore, l’intellettuale organico di A. Gramsci, è più un promotore, un organizzatore, una luce che illumina un cammino che il popolo nel suo procedere costruisce, dispiega, perfeziona. La leadership politica è servizio, obbedienza, coerenza, intelligenza, disciplina, dedizione.
Per realizzare la volontà-di-vita i movimenti popolari, il popolo, si devono organizzare. L’organizzazione è già un passaggio dalla potentia (il potere del popolo, dei movimenti sociali) alla potestas (il potere che si dà istituzioni per esercitare concretamente in forma delegata il potere). Senza questa separazione, senza questo sdoppiamento (potere in-sé potenziale e potere per-sé istituzionale), senza organizzazione il potere del popolo è pura potenza, possibilità, insistenza oggettiva, volontarismo ideale, anarchismo. Organizzare un movimento, un popolo, è creare funzioni eterogenee, differenziate, dove ciascun membro apprende a compiere responsabilità differenti, ma dentro l’unità del consenso del popolo. È un livello intermedio, sociale, civile dell’esistenza dell’esercizio delegato del potere (è un’istituzione politica della società civile: lo Stato in senso ampio, gramsciano). Nell’organizzazione la comunità omogenea e indifferenziata, e pertanto impotente (volontà consensuali senza fattibilità, perché la fattibilità è concrezione funzionale differenziale), raggiunge la possibilità dell’esercizio del potere. Diventa potente: può-porre i mezzi per la propria sopravvivenza.
Per cacciare, nel paleolitico, l’essere umano si dovette organizzare: uno prepara le armi, l’altro il terreno, l’altro dà il grido di attacco, un altro va per il fianco destro, l’altro per il sinistro, un altro afferra la preda, l’altro la distribuisce, tutti saziano la loro fame: vivono. Per l’aumento della vita (ecologica, economica, culturale, religiosa, ecc.) è imprescindibile la differenziazione di funzioni, l’organizzazione. Oggi questa organizzazione deve essere democratica, in tutte le istanze e sempre, con la partecipazione simmetrica di tutti i coinvolti dalla dominazione e dall’esclusione. Rosa Luxemburg anticipava il crollo del socialismo reale a questo livello organizzativo: «Non possiamo concepire maggior pericolo per il Partito Socialista Russo che i piani di organizzazione proposta […]. Nulla potrebbe sottomettere di più un movimento operaio ancora tanto giovane ad un’elite […] che questa corazza burocratica del centralismo nella quale lo si imprigiona per ridurlo a un automa diretto da un comitato […] Il gioco dei demagoghi sarà più facile se nell’attuale fase della lotta l’iniziativa spontanea e il senso politico del settore autocoscienze operaio saranno stati coartati nel loro autosviluppo e nella loro espansione con la tutela del comitato centrale autoritario»
Ancora adesso nel sandinismo c’era l’abitudine di abbassare gli ordini da sopra alle masse sandiniste. Solo con lo zapatismo si è superato definitivamente l’avanguardismo. La democrazia non è uno slogan, deve essere un momento necessario della soggettività del politico, un’istituzione che si pratichi a tutti i livelli dell’organizzazione dei movimenti popolari, in sé stessi, tra essi e come esigenza di fronte ai partiti politici progressisti, critici e liberatori.
Organizzazione dei partiti politici progressisti

I partiti politici progressisti, critici, liberatori devono essere come l’albero maya, che affonda le sue radici nella terra mater (il popolo), eleva il suo tronco sulla superficie terrestre (la società civile) e dispiega il suo fogliame e i suoi frutti al cielo (nella società politica, nello Stato in senso ristretto). Il partito è per questo il luogo dove il rappresentante può rigenerare la sua delegazione del potere costruito dal basso. Il membro-base del partito deve potere interpellare, redarguire, criticare il correligionario rappresentante quando tradisce i principi e non compie le promesse. È dove si discute e si produce la teoria politica del partito, si schizzano le utopie, si formulano i progetti concreti, la strategia per raggiungere i fini proposti e gli ulteriori livelli della prassi di liberazione. È dove si decidono democraticamente i candidati ad elezioni popolari. È dove si forma l’opinione decantata, discussa, fondata di un tipo di società, un modello concreto che tiene in conto lo sviluppo storico del presente politico, geopolitico, nazionale, mondiale.
Per disgrazia i partiti politici in America Latina, a partire dall’installazione delle democrazie di transizione dal 1983, feticizzano la classe politica, che esercita monopolisticamente il potere. È necessario trasformarla profondamente. Spesso, questi partiti sono solo macchinari elettorali, che come fossili antediluviani si pongono in funzionamento quando si scorge all’orizzonte qualche elezione di funzionari pagati. La tentazione dello stipendio, il godimento dell’esercizio feticizzato del potere, lancia i gruppi, o settori o movimenti interni alla ripartizione proporzionale (in proporzione alla loro corruzione, è chiaro), allo strapparsi candidature possibili di fronte alla scandalizzata e pubblica presenza del popolo, che dicono di volere rappresentare e servire. Il partito macchinario elettorale è putrido; è inutile per la critica, la trasformazione o la liberazione dei movimenti popolari, per il popolo degli oppressi ed esclusi. È uno scandalo! Democratizzare un partito impedendo le prebende che ha come destino la classe politica monopolista è universalizzare i suoi quadri, dissolvere le sue divisioni interne, e permettere movimenti di opinione nella discussione della teoria, progetti, proposte concrete (ma non solo né principalmente nell’elezione dei candidati). Forse una Gioventù del Partito, non convocata dalle aggruppazioni interne, ma dal partito come un tutto, possa, a medio termine, dare uno spirito di corpo ai partiti frutti di alleanze particolaristiche, personalistiche, da capetti, corporative e non di sistemi ideali con contenuti sostenibili davanti al popolo, specialmente tra i poveri. La corruzione dei partiti è frutto di una perdita di chiarezza ideologica del paradigma per il quale si lotta, inesistenza di progetti ricercati e discussi, mancanza di coerenza etica nei quadri.
È necessario rigenerare i partiti a partire da una discussione soggettiva e oggettivo-dottrinaria, grazie alla quale la condotta quotidiana del politico sia vissuta in coerenza con i principi, con la responsabilità compartita a beneficio degli sfruttati, dei poveri, a creare le condizioni di rispetto della simmetria nella partecipazione democratica, con il compromesso che si risvolti le camicia, si tolga le scarpe, ed entri a sporcarsi, a riempirsi le mani di bolle … insieme al popolo. È necessario una nuova generazione di politici, magari giovani, che assumano con entusiasmo il nobile officio della politica!
L’organizzazione dei partiti deve riflettere questa esigenza dei tempi nei paesi impoveriti della periferia. I venti che vengono dal Sud (quelli di Nestor Kirchner, Tabaré Vázquez, Luiz Inacio Lula, Evo Morales, Hugo Chávez, Fidel Castro e tanti altri) ci mostrano che le cose possono cambiare. Il popolo riassume la sovranità! La scelta dei propri dirigenti, dei candidati, la produzione rinnovata delle sue dottrine fondative, progetti di politica educativa, industriale, ecologica, proposte concrete, è necessario che siano il frutto di procedimenti democratici con orizzontalità simmetrica nella partecipazione di tutti i membri, specialmente, con la rappresentazione nei partiti delle comunità di quartiere, di base, Municipi aperti del popolo dove la democrazia diretta insegni al cittadino umile come si partecipa realmente nella politica popolare (partecipazione che dovrebbe poi organizzarsi anche verso l’alto fino al potere cittadino, come il supremo potere fiscale dei restanti poteri dello Stato).
Michael Walzer, nella sua opera Esodo e Rivoluzione, cita questo testo: «Primo, ovunque si viva, probabilmente si vive in Egitto; secondo, che esiste un posto migliore, un mondo più attraente, una terra promessa; e terzo, che la strada che porta alla terra promessa attraversa il deserto. L’unico modo di raggiungerla è unirsi e marciare insieme»
Egitto è la totalità del sistema vigente dominatore. La terra promessa è il futuro della liberazione. Il deserto è il sinuoso e incerto cammino strategico del politico: duro, angolare, pieno di pericoli… ma c’è da prendere una bussola per non perdere la direzione e arrivare all’oasi dove sono manna, latte e miele – come canta l’inno sandinista.

I partiti politici progressisti, critici, liberatori devono essere come l’albero maya, che affonda le sue radici nella terra mater (il popolo), eleva il suo tronco sulla superficie terrestre (la società civile) e dispiega il suo fogliame e i suoi frutti al cielo (nella società politica, nello Stato in senso ristretto). Il partito è per questo il luogo dove il rappresentante può rigenerare la sua delegazione del potere costruito dal basso. Il membro-base del partito deve potere interpellare, redarguire, criticare il correligionario rappresentante quando tradisce i principi e non compie le promesse. È dove si discute e si produce la teoria politica del partito, si schizzano le utopie, si formulano i progetti concreti, la strategia per raggiungere i fini proposti e gli ulteriori livelli della prassi di liberazione. È dove si decidono democraticamente i candidati ad elezioni popolari. È dove si forma l’opinione decantata, discussa, fondata di un tipo di società, un modello concreto che tiene in conto lo sviluppo storico del presente politico, geopolitico, nazionale, mondiale.
Per disgrazia i partiti politici in America Latina, a partire dall’installazione delle democrazie di transizione dal 1983, feticizzano la classe politica, che esercita monopolisticamente il potere. È necessario trasformarla profondamente. Spesso, questi partiti sono solo macchinari elettorali, che come fossili antediluviani si pongono in funzionamento quando si scorge all’orizzonte qualche elezione di funzionari pagati. La tentazione dello stipendio, il godimento dell’esercizio feticizzato del potere, lancia i gruppi, o settori o movimenti interni alla ripartizione proporzionale (in proporzione alla loro corruzione, è chiaro), allo strapparsi candidature possibili di fronte alla scandalizzata e pubblica presenza del popolo, che dicono di volere rappresentare e servire. Il partito macchinario elettorale è putrido; è inutile per la critica, la trasformazione o la liberazione dei movimenti popolari, per il popolo degli oppressi ed esclusi. È uno scandalo! Democratizzare un partito impedendo le prebende che ha come destino la classe politica monopolista è universalizzare i suoi quadri, dissolvere le sue divisioni interne, e permettere movimenti di opinione nella discussione della teoria, progetti, proposte concrete (ma non solo né principalmente nell’elezione dei candidati). Forse una Gioventù del Partito, non convocata dalle aggruppazioni interne, ma dal partito come un tutto, possa, a medio termine, dare uno spirito di corpo ai partiti frutti di alleanze particolaristiche, personalistiche, da capetti, corporative e non di sistemi ideali con contenuti sostenibili davanti al popolo, specialmente tra i poveri. La corruzione dei partiti è frutto di una perdita di chiarezza ideologica del paradigma per il quale si lotta, inesistenza di progetti ricercati e discussi, mancanza di coerenza etica nei quadri.
È necessario rigenerare i partiti a partire da una discussione soggettiva e oggettivo-dottrinaria, grazie alla quale la condotta quotidiana del politico sia vissuta in coerenza con i principi, con la responsabilità compartita a beneficio degli sfruttati, dei poveri, a creare le condizioni di rispetto della simmetria nella partecipazione democratica, con il compromesso che si risvolti le camicia, si tolga le scarpe, ed entri a sporcarsi, a riempirsi le mani di bolle … insieme al popolo. È necessario una nuova generazione di politici, magari giovani, che assumano con entusiasmo il nobile officio della politica!
L’organizzazione dei partiti deve riflettere questa esigenza dei tempi nei paesi impoveriti della periferia. I venti che vengono dal Sud (quelli di Nestor Kirchner, Tabaré Vázquez, Luiz Inacio Lula, Evo Morales, Hugo Chávez, Fidel Castro e tanti altri) ci mostrano che le cose possono cambiare. Il popolo riassume la sovranità! La scelta dei propri dirigenti, dei candidati, la produzione rinnovata delle sue dottrine fondative, progetti di politica educativa, industriale, ecologica, proposte concrete, è necessario che siano il frutto di procedimenti democratici con orizzontalità simmetrica nella partecipazione di tutti i membri, specialmente, con la rappresentazione nei partiti delle comunità di quartiere, di base, Municipi aperti del popolo dove la democrazia diretta insegni al cittadino umile come si partecipa realmente nella politica popolare (partecipazione che dovrebbe poi organizzarsi anche verso l’alto fino al potere cittadino, come il supremo potere fiscale dei restanti poteri dello Stato).
Michael Walzer, nella sua opera Esodo e Rivoluzione, cita questo testo: «Primo, ovunque si viva, probabilmente si vive in Egitto; secondo, che esiste un posto migliore, un mondo più attraente, una terra promessa; e terzo, che la strada che porta alla terra promessa attraversa il deserto. L’unico modo di raggiungerla è unirsi e marciare insieme»
Egitto è la totalità del sistema vigente dominatore. La terra promessa è il futuro della liberazione. Il deserto è il sinuoso e incerto cammino strategico del politico: duro, angolare, pieno di pericoli… ma c’è da prendere una bussola per non perdere la direzione e arrivare all’oasi dove sono manna, latte e miele – come canta l’inno sandinista.
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