Trasformazioni ecologiche. La 'vita perpetua'
Il postulato politico nella sfera ecologica – campo delle relazioni dell’essere vivente umano con il suo mezzo fisico-naturale terrestre – si potrebbe enunciare così: Dobbiamo agire in modo tale che le nostre azioni e istituzioni permettano per sempre, perpetuamente, l’esistenza della vita sul pianeta Terra! Vedremo che nella sfera formale della legittimità democratica I. Kant propose il postulato della pace perpetua. Analogicamente estendiamo questa ipotesi di lavoro a tutte le sfere (materiali, formali e di fattibilità) della politica. La vita perpetua è il postulato ecologico-politico fondamentale. Essendo questo empiricamente impossibile (perché, benché sarà tra milioni di anni, la Terra non avrà più vita con il raffreddamento del sistema solare), si tratta di un criterio di orientamento politico che permette che a] in ogni relazione con la terra mater (la Pacha Mama dei quechua incaici) si usino dapprima risorse rinnovabili al posto delle non rinnovabili (come il petrolio, il gas e tutti i metalli); b] si innovino processi produttivi affinché abbiano un minimo di effetti ecologici negativi; c] si privilegino i processi che permettano di riciclare tutti i componenti a breve termine, su quelli a lungo termine; d] si contabilizzino come costi di produzione le spese che si investono per annullare gli indicati effetti negativi dello stesso processo produttivo e delle merci poste sul mercato Queste spese ecologiche saranno in futuro maggfori che tutto il costo di produzione restante.. Come può immaginarsi questa è una rivoluzione molto più grande di quanto mai immaginato al livello delle civilizzazioni finora esistenti.
Quanto detto potrebbe anche riformularsi più strettamente nella seguente maniera: a] Il tasso d’uso delle risorse rinnovabili non deve superare il tasso della loro rigenerazione. b] Il tasso d’uso delle risorse non rinnovabili non deve superare il tasso di rinvenimento dei loro sostituti rinnovabili. c] Il tasso di emissione di contaminanti non deve essere superiore al tasso che permette di riciclicarli – includendo l’investimento del processo di riscaldamento della Terra e le sue cause; cioè, il recupero degli effetti negativi passati. In questo senso, si potrebbe dire che a causa delle sue risorse e dei loro effetti negativi, l’economia si trasforma in un sottosistema dell’ecologia.
L’umanità ha vissuto politicamente in un’età di totale incoscienza del suo intervento civilizzatore come rischio per la vita sulla Terra. Il fuoco, mediazione di tutte le mediazioni tecniche, altererebbe l’atmosfera da circa seicentomila anni a causa dell’emissione di anidride carbonica. La stessa agricoltura da diecimila anni è stata la fine mortale per i boschi produttori di ossigeno. Per questo, quando nel 1972 Danella e Dennis Meadows pubblicarono I limiti della crescita, l’umanità prese coscienza del tema politico centrale della possibilità dell’estinzione della vita sul nostro pianeta. La Sequenza tipo del modello mondiale, poterono anticipare che a partire dalla metà del XXI secolo ci sarebbe un’ecatombe della popolazione, quando l’inquinamento arriverà al culmine, discendendo poi il processo produttivo industriale. Le successive scoperte mostrarono che la questione era ancora più grave e accelerata. Oggi affrontiamo la realtà di una assoluta irresponsabilità politica (specialmente del paese industriale più inquinante del mondo, gli Stati Uniti) di fronte all’evidenza degli effetti irreversibili ecologici (per lo meno durante le prossime migliaia di anni).
Il cambio di atteggiamento di fronte alla natura, il che significa una trasformazione al livello delle istituzioni moderne, ci mette a confronto a qualcosa di molto più radicale che un semplice progetto socio-storico differente. In effetti, la modernità, da 500 anni (a partire dall’invasione dell’America nel 1492), non fu soltanto l’inizio del capitalismo, del colonialismo, dell’eurocentrismo, bensì anche l’inizio di un tipo di civilizzazione. L’io conquisto di H. Cortés, l’io penso come un’anima senza corpo di R. Descartes, ha diminuito il valore della natura come una semplice res extensa meccanica, geometrica. La quantità ha distrutto la qualità. È necessaria una Rivoluzione ecologica mai prima sognata da nessun pensatore anche dei secoli XIX e XX. Non sarà il capitalismo, e anche il socialismo reale, che rispondono con disprezzo alla dignità assoluta della vita in generale, la vita come il prolungamento e la condizione del nostro corpo vivente (come diceva Marx nei Manoscritti del 1844) L’universalità dell’uomo appare praticamente proprio in quella universalità, che fa della intera natura il corpo inorganico dell’uomo, sia perché essa 1) è un mezzo immediato di sussistenza, sia perché 2) è la materia, l’oggetto e lo strumento della sua attività vitale […] Che l’uomo viva della natura vuol dire che la natura è il suo corpo? (Marx, Manoscritto del 1844) Non fu il criterio dell’aumento del tasso di profitto (nel capitalismo) e l’aumento del tasso di produzione (nel socialismo reale) ciò che portò al cataclismo ecologico?
Si tratta di immaginare una nuova civilizzazione transmoderna basata su un rispetto assoluto della vita in generale, e della vita umana in particolare, dove tutte le altre dimensioni dell’esistenza devono essere riprogrammate a partire dal postulato della vita perpetua. Questo tocca tutte le istituzioni politiche e le pone in esigenza di radicale trasformazione.
Il postulato politico nella sfera ecologica – campo delle relazioni dell’essere vivente umano con il suo mezzo fisico-naturale terrestre – si potrebbe enunciare così: Dobbiamo agire in modo tale che le nostre azioni e istituzioni permettano per sempre, perpetuamente, l’esistenza della vita sul pianeta Terra! Vedremo che nella sfera formale della legittimità democratica I. Kant propose il postulato della pace perpetua. Analogicamente estendiamo questa ipotesi di lavoro a tutte le sfere (materiali, formali e di fattibilità) della politica. La vita perpetua è il postulato ecologico-politico fondamentale. Essendo questo empiricamente impossibile (perché, benché sarà tra milioni di anni, la Terra non avrà più vita con il raffreddamento del sistema solare), si tratta di un criterio di orientamento politico che permette che a] in ogni relazione con la terra mater (la Pacha Mama dei quechua incaici) si usino dapprima risorse rinnovabili al posto delle non rinnovabili (come il petrolio, il gas e tutti i metalli); b] si innovino processi produttivi affinché abbiano un minimo di effetti ecologici negativi; c] si privilegino i processi che permettano di riciclare tutti i componenti a breve termine, su quelli a lungo termine; d] si contabilizzino come costi di produzione le spese che si investono per annullare gli indicati effetti negativi dello stesso processo produttivo e delle merci poste sul mercato Queste spese ecologiche saranno in futuro maggfori che tutto il costo di produzione restante.. Come può immaginarsi questa è una rivoluzione molto più grande di quanto mai immaginato al livello delle civilizzazioni finora esistenti.
Quanto detto potrebbe anche riformularsi più strettamente nella seguente maniera: a] Il tasso d’uso delle risorse rinnovabili non deve superare il tasso della loro rigenerazione. b] Il tasso d’uso delle risorse non rinnovabili non deve superare il tasso di rinvenimento dei loro sostituti rinnovabili. c] Il tasso di emissione di contaminanti non deve essere superiore al tasso che permette di riciclicarli – includendo l’investimento del processo di riscaldamento della Terra e le sue cause; cioè, il recupero degli effetti negativi passati. In questo senso, si potrebbe dire che a causa delle sue risorse e dei loro effetti negativi, l’economia si trasforma in un sottosistema dell’ecologia.
L’umanità ha vissuto politicamente in un’età di totale incoscienza del suo intervento civilizzatore come rischio per la vita sulla Terra. Il fuoco, mediazione di tutte le mediazioni tecniche, altererebbe l’atmosfera da circa seicentomila anni a causa dell’emissione di anidride carbonica. La stessa agricoltura da diecimila anni è stata la fine mortale per i boschi produttori di ossigeno. Per questo, quando nel 1972 Danella e Dennis Meadows pubblicarono I limiti della crescita, l’umanità prese coscienza del tema politico centrale della possibilità dell’estinzione della vita sul nostro pianeta. La Sequenza tipo del modello mondiale, poterono anticipare che a partire dalla metà del XXI secolo ci sarebbe un’ecatombe della popolazione, quando l’inquinamento arriverà al culmine, discendendo poi il processo produttivo industriale. Le successive scoperte mostrarono che la questione era ancora più grave e accelerata. Oggi affrontiamo la realtà di una assoluta irresponsabilità politica (specialmente del paese industriale più inquinante del mondo, gli Stati Uniti) di fronte all’evidenza degli effetti irreversibili ecologici (per lo meno durante le prossime migliaia di anni).
Il cambio di atteggiamento di fronte alla natura, il che significa una trasformazione al livello delle istituzioni moderne, ci mette a confronto a qualcosa di molto più radicale che un semplice progetto socio-storico differente. In effetti, la modernità, da 500 anni (a partire dall’invasione dell’America nel 1492), non fu soltanto l’inizio del capitalismo, del colonialismo, dell’eurocentrismo, bensì anche l’inizio di un tipo di civilizzazione. L’io conquisto di H. Cortés, l’io penso come un’anima senza corpo di R. Descartes, ha diminuito il valore della natura come una semplice res extensa meccanica, geometrica. La quantità ha distrutto la qualità. È necessaria una Rivoluzione ecologica mai prima sognata da nessun pensatore anche dei secoli XIX e XX. Non sarà il capitalismo, e anche il socialismo reale, che rispondono con disprezzo alla dignità assoluta della vita in generale, la vita come il prolungamento e la condizione del nostro corpo vivente (come diceva Marx nei Manoscritti del 1844) L’universalità dell’uomo appare praticamente proprio in quella universalità, che fa della intera natura il corpo inorganico dell’uomo, sia perché essa 1) è un mezzo immediato di sussistenza, sia perché 2) è la materia, l’oggetto e lo strumento della sua attività vitale […] Che l’uomo viva della natura vuol dire che la natura è il suo corpo? (Marx, Manoscritto del 1844) Non fu il criterio dell’aumento del tasso di profitto (nel capitalismo) e l’aumento del tasso di produzione (nel socialismo reale) ciò che portò al cataclismo ecologico?
Si tratta di immaginare una nuova civilizzazione transmoderna basata su un rispetto assoluto della vita in generale, e della vita umana in particolare, dove tutte le altre dimensioni dell’esistenza devono essere riprogrammate a partire dal postulato della vita perpetua. Questo tocca tutte le istituzioni politiche e le pone in esigenza di radicale trasformazione.
Trasformazioni economiche. Il 'Regno della libertà'
Marx formulò il postulato economico come Regno della libertà. Potrebbe essere formulato così: Agisci economicamente in maniera tale che tenderai sempre a trasformare i processi produttivi a partire dall’orizzonte del lavoro zero (T0). L’economia perfetta non sarebbe quella di una concorrenza perfetta (come pensa F. Hayek), bensì un’economia in cui la tecnologia avesse rimpiazzato completamente il lavoro umano (lavoro zero: logicamente possibile, empiricamente impossibile). L’umanità si sarebbe liberata della disciplina sempre dura del lavoro e potrebbe godere dei beni culturali (il campo susseguente materiale). Leggiamo in un testo pieno di umanismo antieconomicista: «Il Regno della libertà (Reich der Freiheit) comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova […] oltre la sfera della produzione materiale vera e propria Cioè è un postulato; pensabile logicamente, empiricamente impossibile, criterio di orientamento pratico.. Come il selvaggio deve lottare con la natura per soddisfare i suoi bisogni, per conservare e riprodurre la sua vita, così deve fare anche l’uomo civile […] sotto tutti i possibili modi di produzione Anche nel socialismo, e anche in qualche altro sistema successivo più sviluppato che si potrebbe organizzare. […] La libertà [per la cultura] in questo campo può consistere soltanto in ciò, che l’uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente Questa razionalizzazione in nessun modo può essere una pianificazione perfetta (postulato falso del socialismo reale, perché non soltanto è impossibile empiricamente bensì che si orienta verso una tale negazione del mercato, non necessaria, che lo distrugge producendo peggiori effetti). La pianificazione deve essere la minima e la necessaria per soddisfare le richieste che Marx enuncia in seguito. questo loro ricambio organico con la natura lo portano sotto il loro comune controllo (gemeinschaftliche) Questo controllo suggerisce un intervento nel mercato, prudente, in vista del criterio che si indica nel testo., invece di essere da esso dominati come da una forza cieca [del capitale]; che essi eseguono il loro compito con il minimo possibile impiego di energia Il criterio è il minimo impiego di lavoro, di vita umana. e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana Qui entrano in gioco con la loro funzione i principi normativi dell’economia e della politica articolali, partendo dalla dignità della natura umana, il criterio assoluto di ogni normatività. Marx giudica i fatti a partire dai fatti normativi e dai postulati di orientamento. e più degne di essa. Ma questo rimane sempre un regno della necessità Cioè empiricamente il postulato sa della sua impossibilità nella realtà concreta, ma lo formula come un criterio di orientamento (un’idea regolativa). Al di là di esso comincia lo sviluppo delle capacità umane [culturali], che è fine a sé stesso, il vero regno della libertà […] condizione fondamentale di tutto ciò è la riduzione della giornata lavorativa» Il capitale, III, cap. 48 (Marx, 1956, MEW, 26, p. 828; ed. siglo XXI, III, vol. 8, p. 1044) – tr. it., p. 1102-1103.
Il fine dell’economia è la vita umana, fine che si deve raggiungere nel minor tempo possibile di uso della vita stessa (riduzione della giornata lavorativa), e no, al contrario, aumentare la giornata di alcuni (che soffrono), lasciando senza lavoro gli altri (che muoiono nella povertà), e imporre come finalità dell’economia l’accumulazione crescente del profitto, immolando per mezzo di esso l’umanità (vittima della miseria) e la vita sulla Terra (con il problema ecologico) Il problema ecologico non è un problema di tecnologia (che produce inquinamento), bensì un problema economico del capitale. Il criterio di aumento del plusvalore relativo consiste nell’aumentare la migliore tecnologia per ridurre il valore del prodotto unitario, che nella concorrenza per il minor prezzo, sposta i capitali concorrenti. Ma questo criterio di sussunzione tecnologica nel processo produttivo non è ecologico (la migliore tecnologia per la vita perpetua sulla Terra) bensì economico capitalista (la diminuzione immediata del valore del prodotto). La tecnologia distruttrice dell’ecologia è frutto di questo criterio mortale, distruttore della vita: la concorrenza tra capitali sotto l’esigenza di aumento del tasso di profitto. E questo ultimo è economico, non tecnologico. Il limite assoluto del capitale e dell’Età Moderna, che ha compiuto 500 anni, e per questo l’esigenza di un passaggio a una nuova età dell’umanità, consiste nell’estinzione della specie umana sotto la forma di un suicidio collettivo, nei due aspetti già indicati (miseria e distruzione ecologica).
La trasformazione delle istituzioni dei sistemi economici (del campo economico) cade sotto la responsabilità della politica in quanto incrociano il campo politico (e i suoi sistemi istituzionali concreti) e distorcono tutti i momenti della politica (il cittadino miserabile non ha le condizioni politiche di autonomia, libertà, responsabilità che sono i suoi diritti; l’estinzione della vita è così, evidentemente, il fine assoluto della politica). L’intervento nei sistemi del campo economico è parte della funzione politica (contro l’economicismo di mercato del sistema capitalista e del sistema politico liberale) Il sistema politico liberale (nel campo politico) lascia l’istituzione storica del mercato (parte del sistema capitalista, nel campo economico) tutta la responsabilità economica e nega, almeno in teoria, l’utilità della politica ad intervenire in questo sistema (e campo). Il mercato, come struttura di conoscenza per F. Hayek, e grazie alle leggi sagge e naturali di concorrenza, crea equilibrio e risolve da solo i problemi economici. Il politico, a partire da A. Smith, non deve avere la superbia di mettere mano in questo ambito (soltanto la mano del dio provvidente ha questo diritto). se si ha chiarezza sull’impossibilità del mercato di produrre equilibrio e giustizia per tutti, evitando l’accumulazione di ricchezza in mani di pochi e aumento di povertà nelle grandi maggioranze. Lo studio e l’implementazione di un reddito non lavorativo per diritto di cittadinanza dovrà imporsi a tutte le famiglie di uno Stato. L’idea è che ogni cittadino, per il diritto di esserlo, riceve un reddito che gli permette di vivere. È una possibilità studiata in dettaglfo. Cfr. R. Gilbert e D. Raventós, El subsidio universal garantizado: notas para continuar.
Il principio normativo che regge l’intervento nelle operazioni e istituzioni del sistema economico (oggi capitalista) deve essere sempre che la produzione, riproduzione e aumento della vita umana è il criterio che valuta il processo produttivo e i suoi effetti come totalità, includendo il mercato, i capitali nazionali e transnazionali, il capitale finanziario, eccetera: «[È] il diritto politico all’intervento nei mercati e, pertanto, all’intervento sul potere delle burocrazie private transnazionali. Non si tratta di rivivere una pianificazione centrale totalizzata, ma una pianificazione globale e un indirizzo dell’economia nel suo insieme». Hinkelammert-Mora, 2005, Cfr. in particolare Hacia una teoria del valor-vida-humana (cap. XIII, 5, pp. 377 e segg.)
Allo stesso tempo, i movimenti sociali, il popolo, ha cominciato a inventare un’economia solidale crescente Cfr. I.uiz Rapelto Migliaro, 1982, Empresas de trabajadores y economía de mercato, Santiago (Cile}, PET, vol. 1; dello stesso autore, i985, Economia de solidaridad y mercato democratico, Santiago, PET, voU. 2-3; José Luis Coraggio, 2004, La gente o el capital. Desarrollo local y economia del trabajo, Buenos Aires, Espacio Editoria}; F. Hinkclammert-U. Duchrow, 2004, La vida o el capitai. Altematioos a la dictadura global de la propriedad, México, Driada. essendo in situazioni critiche di estrema povertà, prodotta da un ortodosso fondamentalismo economico (come indica anche G. Soros), neo-liberale. È una dimensione da tenere in conto, perché tra gli interstizi dei feudi medievali in Europa nacquero le città, luogo disprezzato e secondario dove i servi lavoravano con le loro mani e creavano una nuova civilizzazione. Ci troveremo in una situazione simile?
Le trasformazioni concrete dei diversi momenti del sistema istituzionale economico, che sono responsabilità della politica, devono essere oggetto di sviluppi dettagliati a partire da un modello politico ed economico di corresponsabilità con i movimenti e partiti politici, dei loro progetti concreti, e con le loro proposte strategiche. Quanto detto pone soltanto la questione nel suo contesto. Un criterio fondamentale che si impone necessariamente in America latina è la difesa delle risorse nazionali davanti all’avanzamento delle trasnazionali estrattive, produttive e finanziarie, che lasceranno intere popolazioni senza risorse future per riprodurre la loro vita. Le generazioni future ce ne chiederanno conto! Nella lotta per l’acqua in Bolivia si combatte una battaglia fondamentale per la vita, per la nuda vita, per la salvaguardia dei diritti di un popolo alla sopravvivenza. Nel suo trionfo, trionfa la vita.
Marx formulò il postulato economico come Regno della libertà. Potrebbe essere formulato così: Agisci economicamente in maniera tale che tenderai sempre a trasformare i processi produttivi a partire dall’orizzonte del lavoro zero (T0). L’economia perfetta non sarebbe quella di una concorrenza perfetta (come pensa F. Hayek), bensì un’economia in cui la tecnologia avesse rimpiazzato completamente il lavoro umano (lavoro zero: logicamente possibile, empiricamente impossibile). L’umanità si sarebbe liberata della disciplina sempre dura del lavoro e potrebbe godere dei beni culturali (il campo susseguente materiale). Leggiamo in un testo pieno di umanismo antieconomicista: «Il Regno della libertà (Reich der Freiheit) comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova […] oltre la sfera della produzione materiale vera e propria Cioè è un postulato; pensabile logicamente, empiricamente impossibile, criterio di orientamento pratico.. Come il selvaggio deve lottare con la natura per soddisfare i suoi bisogni, per conservare e riprodurre la sua vita, così deve fare anche l’uomo civile […] sotto tutti i possibili modi di produzione Anche nel socialismo, e anche in qualche altro sistema successivo più sviluppato che si potrebbe organizzare. […] La libertà [per la cultura] in questo campo può consistere soltanto in ciò, che l’uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente Questa razionalizzazione in nessun modo può essere una pianificazione perfetta (postulato falso del socialismo reale, perché non soltanto è impossibile empiricamente bensì che si orienta verso una tale negazione del mercato, non necessaria, che lo distrugge producendo peggiori effetti). La pianificazione deve essere la minima e la necessaria per soddisfare le richieste che Marx enuncia in seguito. questo loro ricambio organico con la natura lo portano sotto il loro comune controllo (gemeinschaftliche) Questo controllo suggerisce un intervento nel mercato, prudente, in vista del criterio che si indica nel testo., invece di essere da esso dominati come da una forza cieca [del capitale]; che essi eseguono il loro compito con il minimo possibile impiego di energia Il criterio è il minimo impiego di lavoro, di vita umana. e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana Qui entrano in gioco con la loro funzione i principi normativi dell’economia e della politica articolali, partendo dalla dignità della natura umana, il criterio assoluto di ogni normatività. Marx giudica i fatti a partire dai fatti normativi e dai postulati di orientamento. e più degne di essa. Ma questo rimane sempre un regno della necessità Cioè empiricamente il postulato sa della sua impossibilità nella realtà concreta, ma lo formula come un criterio di orientamento (un’idea regolativa). Al di là di esso comincia lo sviluppo delle capacità umane [culturali], che è fine a sé stesso, il vero regno della libertà […] condizione fondamentale di tutto ciò è la riduzione della giornata lavorativa» Il capitale, III, cap. 48 (Marx, 1956, MEW, 26, p. 828; ed. siglo XXI, III, vol. 8, p. 1044) – tr. it., p. 1102-1103.
Il fine dell’economia è la vita umana, fine che si deve raggiungere nel minor tempo possibile di uso della vita stessa (riduzione della giornata lavorativa), e no, al contrario, aumentare la giornata di alcuni (che soffrono), lasciando senza lavoro gli altri (che muoiono nella povertà), e imporre come finalità dell’economia l’accumulazione crescente del profitto, immolando per mezzo di esso l’umanità (vittima della miseria) e la vita sulla Terra (con il problema ecologico) Il problema ecologico non è un problema di tecnologia (che produce inquinamento), bensì un problema economico del capitale. Il criterio di aumento del plusvalore relativo consiste nell’aumentare la migliore tecnologia per ridurre il valore del prodotto unitario, che nella concorrenza per il minor prezzo, sposta i capitali concorrenti. Ma questo criterio di sussunzione tecnologica nel processo produttivo non è ecologico (la migliore tecnologia per la vita perpetua sulla Terra) bensì economico capitalista (la diminuzione immediata del valore del prodotto). La tecnologia distruttrice dell’ecologia è frutto di questo criterio mortale, distruttore della vita: la concorrenza tra capitali sotto l’esigenza di aumento del tasso di profitto. E questo ultimo è economico, non tecnologico. Il limite assoluto del capitale e dell’Età Moderna, che ha compiuto 500 anni, e per questo l’esigenza di un passaggio a una nuova età dell’umanità, consiste nell’estinzione della specie umana sotto la forma di un suicidio collettivo, nei due aspetti già indicati (miseria e distruzione ecologica).
La trasformazione delle istituzioni dei sistemi economici (del campo economico) cade sotto la responsabilità della politica in quanto incrociano il campo politico (e i suoi sistemi istituzionali concreti) e distorcono tutti i momenti della politica (il cittadino miserabile non ha le condizioni politiche di autonomia, libertà, responsabilità che sono i suoi diritti; l’estinzione della vita è così, evidentemente, il fine assoluto della politica). L’intervento nei sistemi del campo economico è parte della funzione politica (contro l’economicismo di mercato del sistema capitalista e del sistema politico liberale) Il sistema politico liberale (nel campo politico) lascia l’istituzione storica del mercato (parte del sistema capitalista, nel campo economico) tutta la responsabilità economica e nega, almeno in teoria, l’utilità della politica ad intervenire in questo sistema (e campo). Il mercato, come struttura di conoscenza per F. Hayek, e grazie alle leggi sagge e naturali di concorrenza, crea equilibrio e risolve da solo i problemi economici. Il politico, a partire da A. Smith, non deve avere la superbia di mettere mano in questo ambito (soltanto la mano del dio provvidente ha questo diritto). se si ha chiarezza sull’impossibilità del mercato di produrre equilibrio e giustizia per tutti, evitando l’accumulazione di ricchezza in mani di pochi e aumento di povertà nelle grandi maggioranze. Lo studio e l’implementazione di un reddito non lavorativo per diritto di cittadinanza dovrà imporsi a tutte le famiglie di uno Stato. L’idea è che ogni cittadino, per il diritto di esserlo, riceve un reddito che gli permette di vivere. È una possibilità studiata in dettaglfo. Cfr. R. Gilbert e D. Raventós, El subsidio universal garantizado: notas para continuar.
Il principio normativo che regge l’intervento nelle operazioni e istituzioni del sistema economico (oggi capitalista) deve essere sempre che la produzione, riproduzione e aumento della vita umana è il criterio che valuta il processo produttivo e i suoi effetti come totalità, includendo il mercato, i capitali nazionali e transnazionali, il capitale finanziario, eccetera: «[È] il diritto politico all’intervento nei mercati e, pertanto, all’intervento sul potere delle burocrazie private transnazionali. Non si tratta di rivivere una pianificazione centrale totalizzata, ma una pianificazione globale e un indirizzo dell’economia nel suo insieme». Hinkelammert-Mora, 2005, Cfr. in particolare Hacia una teoria del valor-vida-humana (cap. XIII, 5, pp. 377 e segg.)
Allo stesso tempo, i movimenti sociali, il popolo, ha cominciato a inventare un’economia solidale crescente Cfr. I.uiz Rapelto Migliaro, 1982, Empresas de trabajadores y economía de mercato, Santiago (Cile}, PET, vol. 1; dello stesso autore, i985, Economia de solidaridad y mercato democratico, Santiago, PET, voU. 2-3; José Luis Coraggio, 2004, La gente o el capital. Desarrollo local y economia del trabajo, Buenos Aires, Espacio Editoria}; F. Hinkclammert-U. Duchrow, 2004, La vida o el capitai. Altematioos a la dictadura global de la propriedad, México, Driada. essendo in situazioni critiche di estrema povertà, prodotta da un ortodosso fondamentalismo economico (come indica anche G. Soros), neo-liberale. È una dimensione da tenere in conto, perché tra gli interstizi dei feudi medievali in Europa nacquero le città, luogo disprezzato e secondario dove i servi lavoravano con le loro mani e creavano una nuova civilizzazione. Ci troveremo in una situazione simile?
Le trasformazioni concrete dei diversi momenti del sistema istituzionale economico, che sono responsabilità della politica, devono essere oggetto di sviluppi dettagliati a partire da un modello politico ed economico di corresponsabilità con i movimenti e partiti politici, dei loro progetti concreti, e con le loro proposte strategiche. Quanto detto pone soltanto la questione nel suo contesto. Un criterio fondamentale che si impone necessariamente in America latina è la difesa delle risorse nazionali davanti all’avanzamento delle trasnazionali estrattive, produttive e finanziarie, che lasceranno intere popolazioni senza risorse future per riprodurre la loro vita. Le generazioni future ce ne chiederanno conto! Nella lotta per l’acqua in Bolivia si combatte una battaglia fondamentale per la vita, per la nuda vita, per la salvaguardia dei diritti di un popolo alla sopravvivenza. Nel suo trionfo, trionfa la vita.
Trasformazioni culturali
Il Regno (economico) della Libertà apre lo spazio della sfera materiale della cultura alla politica; poiché il tempo libero è tempo che dovrebbe essere dedicato alla creazione culturale (e non passivo assorbimento della propaganda pubblicitaria dei media). La politica liberale ha supposto tacitamente e euro-centricamente che la cultura occidentale fosse la civilizzazione universale, quella che nel suo sviluppo moderno si sarebbe imposta a tutte le altre culture, selvagge, sottosviluppate o arretrate. La Modernità, che con la conquista dei Caraibi e del Messico in primo luogo, impose la sua cultura come quella superiore, e produsse genocidi culturali spaventosi sulle grandi culture millenarie (azteca, maya, inca, bantù, cinese, indù, islamica, ecc.). Anche il capitalismo suppone che la cultura occidentale sia l’unica universale. Le sue merci sono prodotti culturali occidentali che portano valori di questa cultura, film di Hollywood, un hamburger, una moda di vestiti o di scarpe. Le merci standard sono state concepite con criteri europeo-nordamericani. Hanno industrializzato i loro antichi prodotti artigianali pre-capitalistici e hanno distrutto tutti gli artigianati delle altre culture e le assorbono per mezzo di una etnofagia.
La politica deve egualmente intervenire (ciò che ha sempre fatto dalla Rivoluzione borghese in Inghilterra o in Francia) al livello culturale, perché la modernità ci ha abituato a disprezzare ciò che viene dalla periferia a venerare il moderno, l’occidentale. Dovette essere un artista tedesco che scoprì la bellezza e l’essere oggetto artistico delle rovine e degli oggetti ancora conservati dell’alta civilizzazione maya. Il disprezzo dell’indigeno, il malinchismo, è un atteggiamento suicida dell’élite creola colonizzata.
Il recupero dell’affermazione della propria dignità, la propria cultura, la lingua, la religione La modernista secolarizzata ha negato il valore delle religioni non-europee, e anche l’illuminismo, producendo l’ideologia secolarizzata, distrusse il nucleo stesso delle culture precedenti di America latina, d’Africa e dell’Asia e parallele al dispiegarsi della modernità. Il secolarismo fu anche uno strumento di dominazione, perché le narrazioni religiose sono frequentemente il nucleo etico-mitico fondamentale delle grandi culture periferiche, post-coloniali., i valori etici, la relazione rispettosa con la natura, si oppone all’ideale politico liberale di un egualitarismo del cittadino omogeneo. Quando l’eguaglianza distrugge la diversità, si deve difendere la differenza culturale. Quando l’uso della differenza culturale è una maniera di dominare gli altri, si deve difendere l’eguaglianza della dignità umana. Le popolazioni, nazioni, etnie, gruppi sociali che abitavano uno stesso territorio sotto l’organizzazione istituzionale di una società politica (uno Stato) furono definite come membri di una totalità politica uni-culturale. In realtà nessuno Stato moderno (Spagna, Regno Unito, Francia, Italia, ecc.) ha come base una nazione, una etnia o una lingua, bensì varie culture, con lingue, storie e finanche religioni diverse. È una finzione l’unità culturale dello Stato moderno. Sono in realtà Stati pluri-culturali. Si tratta, quindi, di riconoscere la pluri-culturalità della comunità politica e cominciare un’educazione in un dialogo interculturale rispettoso delle differenze. In America latina, Stati come Messico, Perù, Ecuador, Bolivia, Guatemala che nutrono nel loro seno grandi culture millenarie, colonne della storia dell’umanità, devono cambiare le loro costituzioni, i loro sistemi economici e di diritto, l’esercizio giudiziario, l’educazione scolastica, il trattamento della malattia, l’esercizio municipale delegato del potere politico, dando autonomia in tutti questi campi alle comunità indigene, ai livelli economico, culturale e politico.
Il presidente E. Zedillo parlò di attacco alla sovranità quando ci fu la sollevazione zapatista nel Chiapas. In primo luogo la sovranità è della comunità politica, del popolo – non dello Stato. In secondo luogo, le comunità indigene sono da sempre, prima dell’invasione di H. Cortés, in possesso della sovranità popolare inalienabile. Sollevarsi in difesa dei loro diritti culturali è un diritto precedente allo stesso Stato messicano. Ci deve, allora, essere una Rivoluzione culturale, come proclama Evo Morales in Bolivia, dove ciascuna comunità possa affermare la sua cultura, parlare la sua lingua, esercitare il suo diritto, difendere la sua sicurezza, avere autorità proprie elette secondo i suoi costumi (almeno al livello municipale), il suo sistema scolastico, l’uso del suo sistema di salute, il suo sistema economico, eccetera.
Inoltre, il popolo tutto dovrà essere educato con un sistema pedagogico che superi l’eurocentrismo in tutti i suoi rami del sapere (in primo luogo, nella storia), che esponga coerentemente la lunga e complessa storia plurinazionale e latinoamericana nella storia mondiale. Dovrebbe essere un’educazione ai principi eticonormativi pluri-culturali; un’educazione tecnica ed economica appropriata per il proprio grado di sviluppo, che dovrebbe essere autonomo e in primo luogo auto-centrato, per dopo poter competere con qualche possibilità di successo.
Dovrebbe essere un’educazione alla solidarietà con i più bisognosi, coloro che sono vittime dell’attuale sistema ecologico, economico e culturale, i più poveri. Solidarietà che supera la semplice fraternità della Rivoluzione borghese. Solidarietà con le vittime delle istituzioni che devono trasformarsi. Quando il politico assume come amici gli esclusi, i nemici del sistema divengono suoi amici, e i suoi antichi amici i suoi nuovi nemici. Come ostaggio del sistema – direbbe E. Levinas – il politico responsabile per l’Altro è adesso perseguitato. Colui che occupa il posto del povero, in sua difesa, è oggetto del castigo dei potenti. Il politico, che assume la politica come vocazione, sapendo che la nobile funzione della politica si pone dapprima al servizio dei poveri, degli ultimi, affronta la persecuzione come gloria.
Hermann Cohen, il fondatore della scuola filosofica di Marburgo, nella quale studiò M. Heidegger, ha una bella espressione sulla fecondità anche teorica della solidarietà: «Il metodo Si sta riferendo al metodo dei profeti di Israele, ìn concreto, come metodo politico. consiste nel sapere porsi nel luogo dei poveri e da lì effettuare una diagnosi della patologia dello Stato» La religione della ragione, prologo (Cohen, 1919). [La traduzione italiana di A. Poma (Religione della ragione. Fonti dell’ebraismo, Torino, San Paolo, 1994) riporta un brano leggermente diverso: «Nel povero il loro [dei profeti] sguardo sociale riconosce la sintomatologia patologica dello Stato» (p. 82). Qui si è preferito tradurre il brano da come Dussel lo cita per non creare difformità rispetto a quanto egli intende sostenere; N. d. T.
Il Regno (economico) della Libertà apre lo spazio della sfera materiale della cultura alla politica; poiché il tempo libero è tempo che dovrebbe essere dedicato alla creazione culturale (e non passivo assorbimento della propaganda pubblicitaria dei media). La politica liberale ha supposto tacitamente e euro-centricamente che la cultura occidentale fosse la civilizzazione universale, quella che nel suo sviluppo moderno si sarebbe imposta a tutte le altre culture, selvagge, sottosviluppate o arretrate. La Modernità, che con la conquista dei Caraibi e del Messico in primo luogo, impose la sua cultura come quella superiore, e produsse genocidi culturali spaventosi sulle grandi culture millenarie (azteca, maya, inca, bantù, cinese, indù, islamica, ecc.). Anche il capitalismo suppone che la cultura occidentale sia l’unica universale. Le sue merci sono prodotti culturali occidentali che portano valori di questa cultura, film di Hollywood, un hamburger, una moda di vestiti o di scarpe. Le merci standard sono state concepite con criteri europeo-nordamericani. Hanno industrializzato i loro antichi prodotti artigianali pre-capitalistici e hanno distrutto tutti gli artigianati delle altre culture e le assorbono per mezzo di una etnofagia.
La politica deve egualmente intervenire (ciò che ha sempre fatto dalla Rivoluzione borghese in Inghilterra o in Francia) al livello culturale, perché la modernità ci ha abituato a disprezzare ciò che viene dalla periferia a venerare il moderno, l’occidentale. Dovette essere un artista tedesco che scoprì la bellezza e l’essere oggetto artistico delle rovine e degli oggetti ancora conservati dell’alta civilizzazione maya. Il disprezzo dell’indigeno, il malinchismo, è un atteggiamento suicida dell’élite creola colonizzata.
Il recupero dell’affermazione della propria dignità, la propria cultura, la lingua, la religione La modernista secolarizzata ha negato il valore delle religioni non-europee, e anche l’illuminismo, producendo l’ideologia secolarizzata, distrusse il nucleo stesso delle culture precedenti di America latina, d’Africa e dell’Asia e parallele al dispiegarsi della modernità. Il secolarismo fu anche uno strumento di dominazione, perché le narrazioni religiose sono frequentemente il nucleo etico-mitico fondamentale delle grandi culture periferiche, post-coloniali., i valori etici, la relazione rispettosa con la natura, si oppone all’ideale politico liberale di un egualitarismo del cittadino omogeneo. Quando l’eguaglianza distrugge la diversità, si deve difendere la differenza culturale. Quando l’uso della differenza culturale è una maniera di dominare gli altri, si deve difendere l’eguaglianza della dignità umana. Le popolazioni, nazioni, etnie, gruppi sociali che abitavano uno stesso territorio sotto l’organizzazione istituzionale di una società politica (uno Stato) furono definite come membri di una totalità politica uni-culturale. In realtà nessuno Stato moderno (Spagna, Regno Unito, Francia, Italia, ecc.) ha come base una nazione, una etnia o una lingua, bensì varie culture, con lingue, storie e finanche religioni diverse. È una finzione l’unità culturale dello Stato moderno. Sono in realtà Stati pluri-culturali. Si tratta, quindi, di riconoscere la pluri-culturalità della comunità politica e cominciare un’educazione in un dialogo interculturale rispettoso delle differenze. In America latina, Stati come Messico, Perù, Ecuador, Bolivia, Guatemala che nutrono nel loro seno grandi culture millenarie, colonne della storia dell’umanità, devono cambiare le loro costituzioni, i loro sistemi economici e di diritto, l’esercizio giudiziario, l’educazione scolastica, il trattamento della malattia, l’esercizio municipale delegato del potere politico, dando autonomia in tutti questi campi alle comunità indigene, ai livelli economico, culturale e politico.
Il presidente E. Zedillo parlò di attacco alla sovranità quando ci fu la sollevazione zapatista nel Chiapas. In primo luogo la sovranità è della comunità politica, del popolo – non dello Stato. In secondo luogo, le comunità indigene sono da sempre, prima dell’invasione di H. Cortés, in possesso della sovranità popolare inalienabile. Sollevarsi in difesa dei loro diritti culturali è un diritto precedente allo stesso Stato messicano. Ci deve, allora, essere una Rivoluzione culturale, come proclama Evo Morales in Bolivia, dove ciascuna comunità possa affermare la sua cultura, parlare la sua lingua, esercitare il suo diritto, difendere la sua sicurezza, avere autorità proprie elette secondo i suoi costumi (almeno al livello municipale), il suo sistema scolastico, l’uso del suo sistema di salute, il suo sistema economico, eccetera.
Inoltre, il popolo tutto dovrà essere educato con un sistema pedagogico che superi l’eurocentrismo in tutti i suoi rami del sapere (in primo luogo, nella storia), che esponga coerentemente la lunga e complessa storia plurinazionale e latinoamericana nella storia mondiale. Dovrebbe essere un’educazione ai principi eticonormativi pluri-culturali; un’educazione tecnica ed economica appropriata per il proprio grado di sviluppo, che dovrebbe essere autonomo e in primo luogo auto-centrato, per dopo poter competere con qualche possibilità di successo.
Dovrebbe essere un’educazione alla solidarietà con i più bisognosi, coloro che sono vittime dell’attuale sistema ecologico, economico e culturale, i più poveri. Solidarietà che supera la semplice fraternità della Rivoluzione borghese. Solidarietà con le vittime delle istituzioni che devono trasformarsi. Quando il politico assume come amici gli esclusi, i nemici del sistema divengono suoi amici, e i suoi antichi amici i suoi nuovi nemici. Come ostaggio del sistema – direbbe E. Levinas – il politico responsabile per l’Altro è adesso perseguitato. Colui che occupa il posto del povero, in sua difesa, è oggetto del castigo dei potenti. Il politico, che assume la politica come vocazione, sapendo che la nobile funzione della politica si pone dapprima al servizio dei poveri, degli ultimi, affronta la persecuzione come gloria.
Hermann Cohen, il fondatore della scuola filosofica di Marburgo, nella quale studiò M. Heidegger, ha una bella espressione sulla fecondità anche teorica della solidarietà: «Il metodo Si sta riferendo al metodo dei profeti di Israele, ìn concreto, come metodo politico. consiste nel sapere porsi nel luogo dei poveri e da lì effettuare una diagnosi della patologia dello Stato» La religione della ragione, prologo (Cohen, 1919). [La traduzione italiana di A. Poma (Religione della ragione. Fonti dell’ebraismo, Torino, San Paolo, 1994) riporta un brano leggermente diverso: «Nel povero il loro [dei profeti] sguardo sociale riconosce la sintomatologia patologica dello Stato» (p. 82). Qui si è preferito tradurre il brano da come Dussel lo cita per non creare difformità rispetto a quanto egli intende sostenere; N. d. T.
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